La Stampa, 7 agosto 2023
Dietro al post di De Angelis c’è un attacco frontale a La Russa
Dalla vicenda De Angelis, Palazzo Chigi vuole restare il più lontano possibile, «è un problema del presidente della Regione Lazio», ripetono i fedelissimi di Giorgia Meloni. Eppure il caso nato da un post dove si nega la verità delle sentenze della strage di Bologna costringe tutti a fare i conti con la difficile transizione dal post fascismo al “partito conservatore” che la premier spera di realizzare in un futuro non troppo lontano. Dietro alle parole di Marcello De Angelis, uomo della comunicazione di Francesco Rocca, si nasconde una guerra interna alla destra, che rischia di complicare i piani della premier. Un messaggio della vecchia guardia alla generazione Atreju: non dimenticatevi di noi.
Per Meloni quella del collaboratore del presidente della Regione Lazio, con una storia familiare legata all’eversione nera, era un’uscita sicuramente evitabile. Intanto per i toni, ma anche per ragioni di opportunità politica: il 2 agosto era passato, con tutta la sua carica polemica e gli imbarazzi del caso.
In molti sono convinti che questa storia nasca in realtà da una lotta interna alla destra. Per capirlo occorre concentrarsi sulla seconda parte del post pubblicato da De Angelis sulla sua pagina Facebook: «Che non c’entrino Fioravanti, Mambro e Ciavardini lo sanno tutti: giornalisti, magistrati e “cariche istituzionali”; e se io dico la verità, loro, ahimè, mentono. Ma come i martiri cristiani io non accetterò mai di rinnegare la verità per salvarmi dai leoni». Al di là dei paragoni forti, il riferimento alle “cariche istituzionali” non sarebbe diretto a Sergio Mattarella, che peraltro non è la prima volta che definisce “fascista” la strage di Bologna, ma piuttosto a Ignazio La Russa. Il presidente del Senato, nel commemorare le vittime dell’attentato del 2 agosto, ha detto: «Va doverosamente ricordata la definitiva verità giudiziaria che ha attribuito alla matrice neofascista la responsabilità di questa strage». Una svolta per un dirigente storico della destra italiana, che quella matrice ha sempre negato, e sulla quale Meloni, in un messaggio inviato poco dopo, ha sorvolato, parlando genericamente di «terrorismi». È lui quindi colui il quale avrebbe «rinnegato la verità per salvarsi dai leoni», secondo la prosa enfatica di De Angelis? Gli indizi portano tutti lì. Anche perché nelle ore successive al discorso tenuto in Senato, La Russa ha dovuto subire la reazione indignata di tanti militanti della destra che hanno considerato quella frase un cedimento al “pensiero dominante”.
La Russa si è difeso con i suoi dicendo, in sostanza, «sono la seconda carica dello Stato, non posso trascurare il fatto che ci siano state delle sentenze». Il co-fondatore di Fratelli d’Italia, sempre con i militanti ex missini, ha provato poi a fare delle distinzioni, «ho parlato di “verità giudiziaria” e non di “verità storica”, ho pesato le parole». Ma le giustificazioni non sono servite ad affievolire le proteste. Tanto più che, come detto, Meloni aveva dimostrato, agli occhi dei duri e puri, che si poteva benissimo evitare di citare la matrice fascista, senza perdere il senso delle istituzioni. La Russa, infatti, avrebbe in quella maniera messo in difficoltà la premier.
La vicenda De Angelis rischia adesso di vanificare gli equilibrismi di Meloni e di riportare il dibattito sulle zone grigie del Movimento sociale e dell’eversione di destra, un terreno che mal si concilia con la svolta conservatrice che la premier vuole imporre al suo partito. Gli sforzi diplomatici intorno al 2 agosto peraltro non sono stati fatti soltanto a Palazzo Chigi. È servita molta pazienza e spirito di mediazione, per esempio, al capogruppo alla Camera Tommaso Foti per disinnescare un altro potenziale pericolo per il cammino istituzionale di FdI: la mozione sulla guerra fredda in Italia, presentata il 2 agosto alla Camera da Federico Mollicone, altro storico esponente della destra romana oggi presidente della Commissione cultura. Il testo di Mollicone, convinto assertore della “pista palestinese”, alternativa a quella della sentenza che ha condannato i terroristi neri, è stato infatti oggetto di un lungo lavoro di editing, a quanto raccontano in via della Scrofa, per evitare l’accusa di “revisionismo”, che è arrivata in forma molto attenuata rispetto a quanto temuto.
Meloni in queste ore ha preferito il silenzio pubblico, la posizione ufficiale del partito è «questo è un problema di Rocca». Una ricostruzione che non convince gli alleati, Forza Italia e Lega, che interrogati, rispondono «parlate con FdI», sottolineando il peso di Arianna Meloni, la sorella della premier, nelle scelte fatte dal governatore. De Angelis non è iscritto a Fratelli d’Italia, è stato senatore di Alleanza Nazionale, ma ha rotto con il partito dopo la rimozione dalla direzione del Secolo d’Italia. L’amicizia con Meloni è antica, la premier è stata fidanzata con suo fratello Renato, anche se Marcello militava nella destra sociale, la corrente che si opponeva a quella dei “gabbiani” di Fabio Rampelli, nella quale è cresciuta la premier. Proprio per quel legame personale è difficile immaginare che De Angelis abbia voluto mettere in difficoltà Meloni. Chi invece sta provando in tutti i modi ad aprire un fronte a destra è Gianni Alemanno, che accusa Meloni di tradimento ed è pronto a fondare un suo movimento. L’ex sindaco di Roma, non a caso, è stato il primo e praticamente l’unico a difendere pubblicamente De Angelis.
C’è anche una questione di equilibri di maggioranza: Lega e Forza Italia vivono con particolare imbarazzo questa fase e non da oggi. «Non abbiamo condiviso la nomina di De Angelis», spiegano dal Carroccio, parole simili a quelle utilizzate da Forza Italia. Un fronte a destra, e uno al centro, la vicenda De Angelis è più complicata di un post su Facebook. —