il Fatto Quotidiano, 7 agosto 2023
Il record di fiducie (27) prima delle ferie estive
Un, due, tre, voto di fiducia. Perché va bene per tutte le stagioni politiche. E soprattutto leva di torno un sacco di rogne: gli emendamenti. In vista dell’estate, con i trolley dei parlamentari già parcheggiati nelle portinerie di Palazzo Madama e Montecitorio (e la fretta di sedersi sotto l’ombrellone senza pensieri), il “vizietto” ha preso il volo.
Ecco che Giorgia Meloni, sebbene prima di arrivare a Palazzo Chigi ne denunciasse la pratica, dai banchi di governo non disdegna. Anzi, fa il pieno: con 27 voti di fiducia in poco più di 9 mesi, l’esecutivo a trazione Fratelli d’Italia inaugura la legislatura con un nuovo record. L’ultima questione di fiducia è stata posta il 3 agosto dal ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani al Senato, proprio alla vigilia della chiusura dei lavori per la pausa estiva. È il settimo voto – il quarto solo tra giugno e luglio – chiesto dal governo a Palazzo Madama dall’insediamento di Giorgia Meloni.
Poca roba rispetto ai numeri a cui sono abituati i colleghi deputati, che alla Camera hanno votato ben 20 questioni di fiducia in 10 mesi: otto solo tra il 5 giugno e il 1º agosto 2023. Sintomo di un ritardo nei lavori del Parlamento, ma anche di un indebolimento del potere legislativo, visto sempre più come un intralcio. Se si vanno a vedere i dati degli scorsi esecutivi, nei primi nove mesi di governo, il Conte I ha chiesto 9 fiducie (15 in 15 mesi): una al mese. Il Conte II – in piena pandemia da Covid – è salito a 39 in 17 mesi di governo, di cui 20 nei primi 9 mesi. Draghi, sempre in meno di due anni di governo, ha fatto il boom di 53 questioni di fiducia, di cui 19 in 9 mesi, comunque sotto alla soglia record raggiunta dal governo Meloni.
Ma la deriva sempre più marginale delle Camere viene messa in luce anche dalla decretazione di urgenza. In poco più di 9 mesi di governo, Palazzo Chigi ha licenziato 34 decreti legge: 3,4 ogni mese. Uno alla settimana. Eppure il 15 maggio 2020 Giorgia Meloni si indignava: “Cosa c’è di così urgente da scavalcare il Parlamento nel bonus monopattini, nella lievitazione delle poltrone delle società pubbliche e nella sanatoria dei clandestini? Abbiamo ancora una Costituzione in Italia?”. Come se non bastasse, oggi arrivano in Consiglio dei ministri – l’ultimo prima della pausa estiva – anche due “decreti Omnibus” che, come suggerisce il nome, contengono di tutto: dalle intercettazioni, ai taxi, dalla lotta al granchio blu all’8 per mille esteso al recupero delle tossicodipendenze, fino alla deroga al tetto agli stipendi dei manager della società Stretto di Messina Spa, che avrà il compito di costruire il Ponte. Una mossa che ha fatto scoppiare l’ira delle opposizioni. Il partiti di +Europa, Avs, Pd, M5S e Azione, puntando il dito contro la deroga, che compare nella bozza del decreto “asset e investimenti”, definendola una “vergogna”, uno “scandalo”, “regalie di Salvini”, una scelta che allarga le “disuguaglianze” e “soffia sul fuoco del malcontento”. Polemiche a cui il governo, ormai in stile balneare, avrebbe fatto volentieri a meno.