La Stampa, 7 agosto 2023
Due candidati decrepiti e nei guai con la giustizia
L’America di questi tempi. Si guarda, si ascolta e si scopre vecchia. Si meraviglia di fronte al Senior Club che abita le istituzioni – in data elezioni 82 anni Biden e 79 Trump; si scandalizza del fatto che la prossima sfida alla Casa Bianca sarà fra signori che dovrebbero occuparsi di scrivere memorie e portare a passeggio i nipotini. Infine dubita: e se a essere invecchiata fosse proprio l’America?Nella grande campagna elettorale globale che avvolge l’Occidente e i suoi confini, si fanno i conti. Nel 2024 c’è un calendario da tsunami politico: lo inaugurano le elezioni presidenziali in Russia (146 milioni di abitanti) previste per il 17 marzo 2024; dal 6 al 9 giugno arriva il voto per il governo dell’Europa (451 milioni di abitanti); il 5 novembre 2024 l’elezione che sceglierà il 60esimo presidente degli Stati Uniti d’America (331 milioni di abitanti al 2020, ultimo censimento). Tre elezioni, tre Continenti, legati da bene e male, da una guerra, una crisi economica, un’incertezza per tutte le classi dirigenti coinvolte. Con milioni di cittadini mobilitati, le cui scelte di voto sono al momento del tutto non scontate, dunque con effetti già destabilizzanti dei processi politici globali in atto. Su Putin influirà soprattutto la guerra. L’Europa oltre alla guerra dovrà misurare anche la proiezione interna del conflitto nello spostamento d’asse fra governi di destra e di sinistra. E incerto come mai prima anche il voto Usa, all’ombra del mesto dubbio sul logoramento della più vivace democrazia del mondo. Il suo invecchiamento, appunto.La disfunzione istituzionale americana di cui si parla è quella evidentissima di una campagna elettorale talmente determinata da questioni etiche trasformatesi in questioni giudiziarie da essere sfuggita di mano alla politica. Il vero duello, cominciato per altro da molti mesi, ha lasciato le assemblee Town Hall e gli hangar delle convenzioni, ed è ormai combattuto nei tribunali. Le vicende sono ben conosciute, ma forse val la pena riassumerne i profili.Trump è accusato di aver «cospirato» contro la democrazia per aver accusato Biden di brogli elettorali – macchiando così la credibilità del voto (che in America è il centro del sistema) e spingendo i suoi seguaci ad assaltare le sedi istituzionali, in modo da impedire al Congresso di svolgere il proprio lavoro. Di fatto è il più grave tra i procedimenti giudiziari in corso nei confronti di Trump, accusato già a New York a marzo per aver pagato, con denaro della campagna elettorale, la pornodiva Stormy Daniels. L’accusa che le attuali denunce profilano (in altre latitudini si sarebbe definito tentato “golpe") è gravissima per un politico già in corsa per le presidenziali, favorito per le primarie del suo partito, e con ottime possibilità di vincere contro Biden. Il democratico è infatti avanti, secondo gli attuali poll, ma senza sicurezza tale da non poter essere riacchiappato.Paradossalmente ogni accusa fatta a Trump in questi ultimi anni da parte dei democratici ha giocato a suo favore. L’ex Tycoon ha sempre rigirato l’accanimento dem, per esempio nei vari tentativi di impeachment, giocandolo a suo favore come espressione della correttezza della sua posizione. Un recente sondaggio della Cnn rileva al momento che il numero dei sostenitori di Trump che crede che la vittoria elettorale di Biden sia una frode, è tornato a crescere toccando il 69 per cento.La novità di questa contesa è tutta, come si diceva, nella sede in cui sarà risolta. L’impeachment (fallito) era un caso politico che riguardava il Congresso. Nei prossimi mesi un Presidente in corsa per la rielezione avrà invece come avversario una Corte di Giustizia. Un bel giro per lo stato di diritto.D’altra parte – e questo rende la palude americana ancora più interessante – lo stesso (sia pur in maniera meno diretta) accadrà alla campagna elettorale di Biden. Il suo punto di debolezza è il figlio Hunter Biden, personaggio scapestrato, dominato dalla dipendenza dalle droghe, consulente internazionale ficcatosi in zone borderline con i governi ucraino e cinese, ottenendo grandi guadagni – e portandosi dietro il sospetto che operasse anche per conto del padre. I repubblicani con la stessa insistenza con cui i democratici perseguono Trump, perseguono le responsabilità del Biden giovane. Tre giorni fa è stato sentito dal Congresso un partner di lungo periodo di Hunter, e la trascrizione della sua testimonianza gira oggi liberamente su molti media Usa. Con una frase «si porta dietro un nome molto pesante… è quel che era sufficiente». In particolare nei rapporti con i cinesi, i Repubblicani sostengono che Biden abbia direttamente giocato la partita.La sfida, pur rimanendo politica, ha dunque uno svolgimento tutto extrapolitico, tutta fuori dai canali politici tradizionali. Si è già trasformata in una enorme pubblica aula di tribunale in cui il sostegno ai due leader verrà da giudici e avvocati, più che dai loro partiti.Tutto questo è in effetti risultato proprio dell’indebolimento del sistema dei partiti, anche in Usa. Entrambi i candidati infatti – se ben si guarda- sono a questo punto proprio perché l’involucro in cui si muovono fa acqua da tutte le parti.Anche senza il caso Hunter, l’attuale presidente democratico non è in posizione brillante. L’insistente intervento economico, una politica di intensa distribuzione di bonus dal Covid in poi, non ha dato alla Casa Bianca il consolidamento di consenso che attendeva. Il perché è proprio nella fragilità dell’intera operazione dem. Il partito democratico che nel 2020 ha vinto facendo brillare il tema della diversità sociale attraverso il rinnovamento del gruppo di eletti – proponendo una promettente lista di nomi nuovi, di cui basti qui citare come esempio Ocasio Cortes e la vicepresidente Kamala Harris – non è riuscito a sostenere davvero questo rinnovamento. Certo ci sono stati Covid e guerra, ma queste due donne potevano essere una grande occasione, si ragiona in America, preparando per altro per tempo la modernizzazione della Presidenza in chiave femminile (un sogno che i dem hanno perso con la sconfitta di Hillary). I nuovi ingressi sono invece diventati lo specchio di una nuova classe dirigente brillante sulla carta ma rivelatasi del tutto inadeguata a governare. E se le quote e l’elenco dei nuovi diritti razziali o di età o di genere si è ampliato, non ha pesato tutto questo sulla capacità dei dem di affrontare i grandi temi con cui ha dovuto misurarsi in questi anni.D’altra parte in ultra affanno sono anche i repubblicani, il cui partito è stato attraversato dal fenomeno Trump che l’ha praticamente lacerato, dividendone le élite interne dalla base, identificando un nuovo serbatoio di voti nel mondo dei bianchi “abbandonati” dalla storia, fondando così un movimento che ha però portato nel giro di non molto tempo il partito repubblicano molto lontano dalle istituzioni. I repubblicani hanno tentato di fermare questa deriva trumpiana, per esempio allevando nuovi candidati, come De Santis, governatore della Florida. Ma Trump continua a rivelarsi troppo forte, pronto a strappare ogni regola interna e ad asfaltare ogni sfidante, incluso il povero De Santis.A poco più di un anno dal voto entrambi i partiti sono così in grave crisi, e nessuno dei due candidati ha un erede. Il che ci riporta alla importanza dell’età: gli americani sceglieranno fra i due più anziani presidenti che la Casa Bianca abbia mai ospitato. Chiunque dei due vincerà dovrà guidare in tempi di burrasca ma senza un solido partito alle spalle, e senza sapere quanto vivrà.Sarà dunque la più inusuale campagna elettorale, in cui stato di diritto e politica si mischiano in quella che può diventare una pericolosa rissa, in un duello che, proprio per la grave situazione internazionale e per il peso che gli Usa vi esercitano, dovrebbe invece essere giocata nella massima chiarezza e stabilità.