la Repubblica, 6 agosto 2023
Nella testa di Trump
Non molto tempo dopo che ha lasciato la Casa Bianca, ho chiesto a Mark Meadows, ultimo capo di gabinetto di Donald Trump, di parlarmi della telefonata sconclusionata alla quale aveva preso parte, durante la quale Trump ha detto a Brad Raffensperger, segretario di Stato della Georgia, di trovargli i voti sufficienti a ribaltare il vantaggio di Joe Biden in Georgia.
Durante la nostra conversazione, Meadows non ha tentato esattamente di difendere Trump o sé stesso, ma si è cimentato nel tentativo di contestualizzare quella richiesta in teoria illegale nell’insolita epistemologia che quasi tutti coloro che sono vicini a Trump hanno iniziato a considerare parte integrante della sua presidenza. «Il presidente ha un suo modo di esprimersi», ha detto Meadows. «Quello che intendeva dire è… Beh, che la somma può essere maggiore o minore del tutto».
Le parole che assai verosimilmente costeranno a Trump un’incriminazione in Georgia – e forse una anche a Meadows, insieme a lui – rientrano, è sembrato voler dire un Meadows sfinito, nel fiotto inesauribile di chiacchiere irriflessive di Trump, una sequenza incontenibile di divagazioni, trovate e fissazioni fugaci, più in sintonia con le cadenze della sua voce che con un obbligo qualsiasi nei confronti della logica o, il più delle volte, con un ragionamento concreto o un significato qualunque e difficilmente meritevole di attenzione. Trump pensa le cose che dice? E che cosa intende dire esattamente quando dice quello che dice? I suoi imminenti numerosi processi potrebbero dipendere da questi interrogativi.
Tony Schwartz, ghostwriter del suo “L’arte di fare affari”, ha coniato una definizione con cui ha cercato di mettere i voli pindarici retorici di Trump nel contesto dell’esperienza di un commesso viaggiatore. In altri termini, se lo prendete in parola siete voi gli sciocchi e ancora, forse ciò che più conta, Trump ha successo perché arriva a credere a sé stesso, assurgendo a sciocco perfetto (e commesso viaggiatore perfetto).
Sì, può sembrare che abbia incoraggiato l’insurrezione del 6 gennaio, ma a mano a mano che si susseguivano gli eventi di quel giorno, secondo varie persone in contatto con lui alla Casa Bianca, Trump è sembrato inconsapevole e indifferente. Ha sventolato un documento classificato davanti a un giornalista su cui stava cercando di fare colpo, vantandosi di possedere illegittimamente documenti e carte riservate. Tutto questo rientra di sicuro nel suo personaggio, noncurante delle regole, negligente nell’operato, irriflessivo nei confronti delle conseguenze. Al tempo stesso, rientra benissimo nel suo personaggio anche la sua teoria difensiva secondo cui non possedeva documenti riservati di quel tipo, quella che sventolava era soltanto una rassegna stampa, in fondo stava inventando tutto di sana pianta.
Poi c’è stato il ridicolo piano di mobilitare nuovi elettori. Di sicuro, qui c’è stato un tentativo di sovvertire il risultato elettorale, ma si è trattato anche di una fantasticheria senza la minima speranza di successo. In effetti, Trump pare da tempo soddisfatto dei buffoni (soprattutto avvocati) di cui si circonda e che fanno buffonate per guadagnarsi la sua approvazione – più giullari di corte che complici in una cospirazione.
Il mancato riconoscimento del risultato elettorale del 2020 da parte sua, può essere una frode complessa, la negazione dell’ovvia verità da parte di un imbroglione, come sostengono i procuratori ma, se è così, in verità Trump non è mai uscito dal suo personaggio. Ho avuto modo più volte nel corso degli anni di ascoltare i suoi calcoli inverosimili – come ha avuto occasione di fare chiunque gli sia stato vicino a Mar-a-Lago dopo le elezioni – e non conosco nessuno che abbia concluso una chiacchierata senza rimanere a dir poco turbato dalla sua irremovibile certezza di essere stato davvero defraudato della vittoria.
Ed è proprio di questo comportamento, menefreghista nei confronti di qualsiasi limite o regolamento, incurante del rapporto di causa ed effetto, sempre ispirato dal suo capriccio del momento – un istinto irrefrenabile, pressoché anarchico, di provare a rovesciare la realtà – che l’accusa e buona parte dell’establishment politico sembrano volere che Trump sia tenuto a rispondere. Il suo reato è il caos che genera. Tuttavia, una legge per ciò che sconvolge l’ordine definito non esiste. Infrangere le regole – all’apparenza senza nessuno scopo preciso, il più delle volte, se non quello di infrangerle e basta, come se fosse un nichilista assoluto o semplicemente un bambino riottoso – non è un’azione criminale così grave, anche se per molte persone è esasperante perché ne è artefice proprio colui che è incaricato di tutelar e le leggi.
Molti democratici sono arrivati a credere che l’ignobile risultato del successo politico di Trump stia a indicare che egli ha scopi malvagi. Durante i suoi processi, gli avvocati dell’accusa cercheranno di instaurare proprio questo collegamento. Potrebbe rivelarsi una sfida di non poco conto, comunque. Trump è incriminato in base a molte leggi mal definite e di ampio contenuto, tra le quali l’Espionage Act, la Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act, la legge sulle cospirazioni e sull’intralcio alla giustizia. Senza uno scambio di denaro verificato, senza l’accertamento di un quid pro quo, in definitiva provare le sue colpe in buona parte vorrà dire dimostrare un fine preciso o cogliere il suo stato d’animo – e con Donald Trump questo equivale a buttarsi giù nella tana del Bianconiglio.
I procuratori cercheranno di usare le sue parole contro di lui: tra queste, i suoi incitamenti che indiscutibilmente hanno istigato l’assalto del 6 gennaio al Campidoglio, la sua ammissione – registrata! – di essere ancora in possesso di documenti riservati, i suoi molteplici tentativi complottisti rabberciati di aggirare il sistema dei Collegi elettorali, la sua inesorabile e implacabile insistenza sul fatto di aver vinto le elezioni che ha perso e i suoi commenti al suo pezzo grosso, Michael Cohen, prima che pagasse Stormy Daniels.
Per i democratici, è tutto un moltiplicarsi di pistole fumanti. Jack Smith, Fani Willis e Alvin Bragg cercheranno di dimostrare che le parole dell’ex presidente sono scellerate più che impulsive, che c’è stato un tentativo calcolato di dire il falso invece di semplici discorsi a vanvera, che i suoi tentativi di intralciare le indagini su di lui rientravano nell’ambito di un piano più vasto delle semplici malefatte di un ragazzaccio. Immagino che agli avversari di Trump non interessi poi tanto sapere di che cosa si tratta, quanto essere grati che, nella sua sconcertante spontaneità, Trump si è sconsideratamente fatto saltare in aria con il suo stesso petardo.
Vi è un’urgenza particolare in questo caso, visto che le probabilità di Trump di aggiudicarsi la nomination del partito repubblicano paiono aumentare di giorno in giorno. Per i democratici, i repubblicani anti- trumpiani e i media, la tremenda possibilità che Trump possa essere rieletto presidente è controbilanciata soltanto dalla loro convinzione a prova di errore che sarà condannato perlomeno per alcune delle accuse giudiziarie statali e federali di cui deve rispondere (un paradosso a dir poco contorto per una democrazia).
A livello personale, non sono così sicuro del suo destino giudiziario. È in corso una battaglia asimmetrica, tra i meticolosi e scrupolosi procuratori del governo e la banda di deprecabili avvocati di Donald Trump. Pochi mesi fa un mio amico ha chiacchierato con lui della sua situazione giudiziaria. Con tono filosofico, Trump ha detto che, pur essendo possibile che non ha il miglior team di avvocati, è sicuro di avere quella più seducente, e ha mostrato le foto di avvenenti laureate in giurisprudenza da lui assunte.
In tutto questo i progressisti vedono un vantaggio schiacciante: come sempre, Trump sembra incapace di camminare in linea retta, anche in propria difesa. Ma la sua mancata volontà di rispettare le regole o, più probabilmente, l’incapacità di farlo o solo di capirle, crea un caos che spesso gioca a suo favore. In effetti, molto probabilmente la versione dei procuratori del suo grande complotto imporrà loro di dare dell’ex presidente un’immagine – di uomo determinato, metodico, consapevole e astuto – che nessuno dei suoi sostenitori o di chi lo ha conosciuto o dei raziocinanti giurati e forse del mondo intero riconoscerebbe.
Non riesco a immaginare che cosa salterà fuori da questa dinamica di procuratori rigorosi contro un grottesco Donald Trump, la cui condotta illecita sfiora sempre i confini della pagliacciata. Il mio sesto senso, però, mi dice che chi è contro Trump potrebbe andare incontro a un’altra delusione cocente.