la Repubblica, 6 agosto 2023
Il fratello ex fidanzato di Meloni e i rapporti con i terroristi. L’album di famiglia di un nero
In un vecchio documentario Rai di Giampiero Mughini sulla destra neofascista italiana, Nero è bello,compare intervistato a un certo punto un giovane romano un po’ capellone. È Marcello De Angelis, che a favore di telecamera spiegava a Mughini il significato del simbolo “guerriero” di Terza Posizione verniciato su un muro di Roma. Era il 1980, lo stesso anno della strage alla stazione di Bologna. In Terza posizione militava pure Luigi Ciavardini, poi passato ai Nar di Mambro e Fioravanti, condannato recentemente in primo grado per concorso nella strage e cognato di De Angelis, ne ha sposato la sorella. Perché questa è una storia di famiglia in tutti i sensi, famiglia naturale e famiglia politica, talvolta indistinguibili, matrimoni e scissioni, confluenze e fidanzamenti, elezioni e tragedie. Un fratello di Marcello, Nazareno detto Nanni, anche lui in Tp, morì in carcere in circostanze poco chiare, ufficialmente per suicidio, un altro, Renato, autore tv, è stato fidanzato di Giorgia Meloni.
Ricercato nei primi Ottanta, latitante a Londra, costituitosi a fine decennio per scontare una condanna a 5 anni e 6 mesi («Ma sfido a trovare un atto di violenza nel mio curriculum», sostiene lui), De Angelis ha giocato sulle sue disgrazie giudiziarie fin dal nome della band di cui era voce, i 270 bis – nel codice penale è l’articolo sull’associazione sovversiva – un gruppo squisitamente e orgogliosamente fascio-rock. De Angelis è la prova vivente che a destra c’erano meno barriere tra gruppi extraparlamentari e partito ufficiale. A differenza del Partito comunista italiano, odiato dall’ultrasinistra al punto che molti suoi leaderini passarono direttamente a Craxi e a Berlusconi, il Movimento sociale restava la casa madre, sapeva riaccogliere e perdonare, e De Angelis, che la politica aveva cominciato a farla in calzoni cortissimi nel Fronte della gioventù, l’organizzazione dei baby missini, è stato prodigo come pochi altri figlioli.
Sta in Alleanza Nazionale, la prima filiazione del Movimento sociale, già dalla fondazione nel 1995, è parlamentare per due legislature dal 2006 al 2013, nel partito prima è vicino alla destra sociale di Francesco Storace e Gianni Alemanno e dirige la rivista di corrente, Area, poinel Pdl è consigliere del leader Gianfranco Fini, e dal 2011 diventa direttore del Secolo d’Italia, storico quotidiano ufficiale dei missini. Nel primo numero da lui firmato pubblica in prima pagina la foto dei “martiri per l’italianità di Trieste” e commenta: «La nostalgia è un gran bel sentimento». Intervistato dalCorsera per il debutto spiega che il suo obiettivo è «dare al Secolo l’identità perduta dei tempi dell’Msi, quella di una comunità politica e umana che ha fatto un percorso e non l’ha mai abbandonato». Dopo anni poco affollati, è il governatore del Lazio Francesco Rocca a portarlo con sé in Regione, avevano lavorato insieme anche in Croce rossa.
Appassionato di rugby come tutta la famiglia, da senatore De Angelis propose l’introduzione del terzo tempo in Parlamento, sul modello dei rugbisti che si bevono una birra dopo essersi presi a sportellate in campo. Quello dell’abbraccio con ilnemico è un po’ vezzo d’onore, De Angelis ha realizzato un progetto editoriale con l’ex terrorista rosso di Prima linea Maurice Bignami, e un po’ vuota dichiarazione di intenti: a parole anche Terza posizione nasceva, come suggerisce il nome, per uscire fuori dallo schema dello scontro tra opposti estremismi, salvo che i suoi militanti erano e in qualche caso sono tuttora dei gran fascistoni. Ciò non toglie che De Angelis ha saputo prendere posizioni eterodosse, come quando pochi anni fa suggerì di togliere la fiamma dal simbolo di Fratelli d’Italia o come sul caso Cucchi: anche per la drammatica vicenda del fratello Nanni, fu uno dei pochi parlamentari di destra a chiedere con convinzione che fosse fatta luce sul caso. L’importante è che non si parli di stragi. Lì De Angelis, che di solito vede sempre nero, non vede mai nero. Già dopo la sentenza che nel 2010 mandò assolti gli imputati neofascisti per la strage di piazza della Loggia a Brescia del 1974 l’allora deputato del Pdl commentò a caldo con soddisfazione: «Sentenza condivisibile, i pm hanno illuso i familiari delle vittime cercando come sempre i colpevoli nell’area politica meno tutelata e perfetta come capro espiatorio». I neofascisti vittime secondarie delle stragi, insomma. Un altro fulgido caso di storia al rovescio.