Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  agosto 06 Domenica calendario

Intervista a Beatrice Venezi

Quanto è di destra Beatrice Venezi? E che cosa vuole dire essere di destra a 33 anni? Collegamento su Teams. Il direttore d’orchestra è a Taormina, dove dirige il Festival. Il Direttore, e non staremo un’altra volta a spiegare perché siamo di fronte a una Lei che preferisce il Lui. Molto abbronzata, il sorriso hollywoodiano che sfoggia nella pubblicità di un integratore (Bioscalin, lo sanno tutti, non fosse altro per le polemiche che ci sono state: ma come? L’arte e la réclame? Dove siamo finiti signora mia?). Ed è un peccato che le interviste sulla carta non restituiscano il suono pieno delle risate che spazzano via gli imbarazzi veri e fasulli mentre lei, con rilassata aria di sfida, prende le distanze da certo becerume della parte del campo alla quale appartiene.
La mimica è un terzo linguaggio che si aggiunge a quello verbale e a quello musicale. Ha mani e pensieri rapidi e c’è dell’ironica determinazione in lei. Persino quando declina l’esistenza attraverso l’immortale e controversa triade: Dio, patria e famiglia.
Beatrice Venezi, quando ha deciso di fare il direttore d’orchestra?
«Presto. Come se avessi sentito il richiamo fin da bambina. A 4 anni danzavo. La musica è arrivata poco dopo».
E la bacchetta?
«A 19 anni. Stavo concludendo gli studi di pianoforte, decisi di frequentare i corsi di direzione d’orchestra di Piero Bellugi».
Uno bravo?
«Bravissimo. Avrebbe potuto fare una carriera molto superiore. Ma sulla carriera degli artisti incide anche il dato caratteriale».
Neppure lei ha un carattere remissivo.
«Ho la mia personalità. Ma so anche come gestire me stessa e un’orchestra».
Bellugi invece?
«Bellugi era adorabile. Generosissimo. Diciamo che non amava mediare».
Non le disse: non è un lavoro per donne?
«Non nominò mai la differenza di genere. Ero una anomalia, ma mi sentivo perfettamente nella norma».
La sua è la generazione Harry Potter.
«Vero. Ho letto tutti i libri. Ma non volevo la bacchetta per imitare il maghetto, se è questo che intende. Però, in quello che è successo, un po’ di magia l’ho avvertita».
Ovvero?
«Nella direzione d’orchestra c’è una componente umana decisiva, perché suoni moltissimi strumenti attraverso la capacità di altri musicisti».
Senso di dominio?
«Di condivisione, per me. Ma è vero che per alcuni è dominio. C’era tutta una scuola toscaniniana in questo senso, che però oggi è superata».
La volontà di potenza non la riguarda?
«Nietzsche? Mettiamola così: dirigere è comunque un atto di volontà. E anche un atto di fede. Tu inizi a librare le mani nell’aria, le fai scendere e ti devi affidare, devi avere fede – appunto – nel fatto che, a livello di suono, succederà quello che stai pensando, quello che stai immaginando. È un gioco sottile. Il gesto è importante. Ma è solo una minima parte».
Uno comanda gli altri eseguono.
«È un lavoro di squadra. Ma l’interpretazione la decide una persona sola. Se i settanta musicisti seguissero tutti la loro sensibilità sarebbe il caos. Serve qualcuno che unisca le coscienze musicali e le guidi».
Sembra una visione politica.
«In definitiva lo è».
L’autarchia è un errore della sensibilità umana?
«Mi piace come definizione».
Maestro, che cosa vuole dire essere di destra a 33 anni?
«Vuole sapere se sono fascista?».
Molto più di questo, in verità.
«Può andare a rileggere quello che ho detto e scritto nella mia vita, non troverà niente che si avvicini anche solo vagamente alla prevaricazione sull’altro, all’omofobia o al fascismo».
Il passato non la riguarda?
«Eccome se mi riguarda. Così come mi riguarda la memoria storica, che però non ha nulla a che vedere con il presente. Oggi essere di destra significa essere conservatori».
Dio, patria e famiglia?
«Dio, patria e famiglia. Era anche uno slogan della Dc, ricorda? Eppure, tanti fanno finta di indignarsi. In ogni caso sono valori in cui io mi riconosco».
Proviamo a scomporli. Dio. Lei ci crede?
«Sì».
Prega?
«Per mia formazione. Vado a messa. Sono praticante. Nei secoli il cristianesimo ha prodotto anche tanti guai, ma oggi è una delle religioni più tolleranti e accoglienti».
Francesco o Ratzinger?
«Di Ratzinger ammiravo la caratura intellettuale, di filosofo, di grande amante delle arti e della musica».
La Chiesa originaria.
«La Chiesa originaria. Quella in cui anche il rituale musicale era diverso».
E Francesco?
«Sono cattolica, Francesco è il mio Papa».
Le mancano i canti gregoriani?
«No. Ma io penso, con Sant’Agostino, che cantare sia pregare due volte».
Dura riportare i giovani in chiesa suonando l’organo.
«È dura anche usando una chitarrina scordata e un coro stonato».
Valore numero due: Patria.
«È un concetto di cui dobbiamo tornare ad appropriarci. Significa amore per la nostra terra e le nostre radici, per la nostra tradizione e la nostra cultura. Tutto il mondo ci invidia, noi ci denigriamo».
Non è un luogo comune?
«Guardi, a Parigi presentavo il mio libro (Le sorelle di Mozart) assieme a Marcello Veneziani. In una sala vicina c’era un noto scrittore di sinistra che spiegava al pubblico quanto l’Italia tarpi le ali a chi prova a fare le cose».
E i francesi?
«In sollucchero. Insopportabile».
Era retorica o una constatazione?
«Nel caso di questo affermato scrittore era certamente retorica».
Mi dice chi era?
«No».
Disoccupazione, stipendi bassi, potere d’acquisto in picchiata, giovani in difficoltà. Anche questa è retorica?
«Questi sono problemi oggettivi. Potremmo discutere per ore di quelli del mio settore».
In sintesi?
«Un contratto nazionale non rinnovato da 20 anni e modelli pensionistici da rivedere: ad esempio professori d’orchestra e artisti del coro dipendenti di enti che si sono generalmente stabilizzati tardi e che quindi contabilizzano pochi contributi. Per non parlare poi dei liberi professionisti (cantanti lirici, solisti o direttori d’orchestra) che di fronte a un lavoro per sua natura discontinuo presentano dei buchi contributivi che spesso non permettono pensioni dignitose».
Parla come una leader di sinistra.
«Parlo come una persona di buonsenso convinta che finalmente ci sia la volontà di sistemare le cose. Continuo a considerare l’Italia un Paese in grado offrire grandi possibilità senza appiattirsi sull’assistenzialismo».
Al mondo esistono anche persone che non ce la fanno. Le buttiamo a mare?
«No, ma la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro, per cui dobbiamo spingere per creare maggiori opportunità. Lavoro e dignità spesso vanno di pari passo».
Lavoro pagato il giusto, magari.
«Sicuro. Ma bisogna trovare un equilibrio. Qui a Taormina lo sperimento con il Festival. Quando chiedo la disponibilità a lavorare il sabato e la domenica molti giovani mi rispondono di no. La mia generazione è stata viziata da chi l’ha preceduta».
Si diventa ricchi facendo i direttori d’orchestra.
«Ricchi no. Anche se molto dipende da chi sei».
Lei chi è?
«Un direttore che gode di una certa popolarità. Una persona che studia musica tutti i giorni da quando ha sei anni. Mi aggiorno, faccio prove, mi porto il lavoro a casa. E il giorno del concerto vengo retribuita. Fino a poco tempo fa neppure quello, mi dicevano: vieni sul palco, la tua ricompensa è la visibilità».
E gli orchestrali?
«Dipende dalle orchestre. Diciamo che alla Scala e a Santa Cecilia si guadagna di più che in altri enti meno blasonati».
Di che cifre parliamo?
«Tra i 1400 e i 1700 euro al mese per un lavoro che, come ho detto, prevede prove, studi, perfezionamento e acquisto di strumenti generalmente costosi. Il risultato di questa politica spesso si traduce in un abbassamento della qualità media tendendo a trasformare gli artisti – perché questo sono i professori d’orchestra- in semplici impiegati».
Che effetto le fa una premier che a Catania definisce le tasse “pizzo di Stato”?
«Suppongo volesse dire che le tasse sono troppo alte».
Ma ha detto pizzo di Stato. Possiamo convenire che è stata una frase a dir poco infelice?
«In ogni caso ha colpito nel segno».
Sulla patria mi resta una cosa velenosetta da chiederle.
«Prego».
Lei vive in Svizzera.
«Solo perché il mio fidanzato lavora lì. Diversamente non riusciremmo mai a vederci».
Lo porti in Italia.
«Ci stiamo provando. Abbiamo cercato a Roma, ma è complicatissimo. Sto pensando a un posto sul mare».
Che cosa fa lui?
«Si occupa di economia e finanza».
Non lascerà la Svizzera.
«Vedremo».
Maestro, lei finisce spesso in mezzo alle polemiche. Le cerca?
«Ma si figuri. Le trovo. Anche senza fare niente. C’è gente che paga per stare sui giornali continuamente. Io ci vengo trascinata».
Diciamo che quando capita non porge cristianamente l’altra guancia.
«Parliamo di Nizza? Confesso che ho peccato».
Si ricorda come ha definito il gruppetto che l’ha contestata accusandola di essere fascista?
«No».
Quattro sfigati.
«Perché non lo erano? Oltretutto io ho scoperto di essere finita al centro di questa storia dai giornali. Non è bizzarro? Un attacco politico, personale, fatto con dei mezzucci».
La sua risposta è stata l’Inno a Roma di Puccini.
«Nel nostro Paese dovremmo imparare a scindere l’arte e la cultura dalla politica. Perché dovrei astenermi dal dirigere un brano di Puccini non eseguito per decenni perché bollato ingiustamente come produzione di regime?».
L’Inno a Roma era la colonna sonora dei comizi di Almirante.
«Lo so. E allora? Se facciamo passare il principio che chiunque si appropri di un’opera ne distrugge il valore artistico non facciamo più nulla».
La sua è stata una scelta artistica?
«Certo. È il centenario della nascita di Puccini ed è giusto rimettere al centro i suoi brani. E nei miei confronti c’è stato un tentativo esplicito di censura a cui non mi sono voluta piegare».
Crede anche lei, come il ministro Sangiuliano, che Dante sia stato il capostipite della cultura di destra?
«Non possiamo non riconoscere il valore identitario di Dante rispetto alla lingua e alla cultura italiana».
Perché non Michelangelo, allora? O Leonardo?
«Bè, in qualche modo anche loro».
Non sono patrimonio universale?
«Certo che sono patrimonio universale».
E che c’entra la politica?
«Non so se c’entra la politica, ma so che sono un’espressione di questa terra, parte della nostra cultura, dunque del nostro patrimonio fondativo».
Lo show di Sgarbi e Morgan al Maxxi lo ha visto?
«No. Ma ho letto».
Impressione?
«Che devo dire? Ammesso che i resoconti siano veritieri, se fossi stata tra gli spettatori mi sarei sentita in imbarazzo».
Ci crede al pensiero unico?
«Il pensiero unico dilaga non solo in Italia, ma in tutta Europa».
Il pensiero unico progressista? Davvero?
«Mi piacerebbe dire che è progressista ma non so quanto lo sia nel promuovere certe cose. Penso all’utero in affitto».
Gestazione per altri.
«In Italia abbiamo questo vizio, cambiamo il nome alle cose così il problema non si risolve. La sostanza rimane».
La forma qui è sostanza.
«E le parole sono importanti. Visto? Cito anche Nanni Moretti».
Però?
«Però per me resta utero in affitto. La peggior barbarie che si possa compiere sul corpo di una donna».
E il riconoscimento dei bambini nati dalle coppie omogenitoriali?
«Nati con utero in affitto».
Nati. Dunque da tutelare.
«Sì. I bambini vanno tutelati in ogni modo. Ma mi fa male pensare che si possa avere un figlio per capriccio».
Siamo arrivati al capitolo famiglia?
«Se crede».
Quanto l’ha condizionata il papà dirigente di Forza Nuova?
«Mi ha condizionato. Ma in modo diverso da quello che immagina lei. Vengo da una famiglia molto unita che ha condiviso valori conservatori».
Anche sua madre?
«Anche mia madre. Sono stata educata al pensiero critico. A ragionare con la mia testa. L’ho sempre fatto. E alle superiori mi è costato una lunga serie di attacchi».
I compagni di classe?
«I professori».
Sgradevole.
«Molto. Ma io non ero una ribelle. Semplicemente una ragazza curiosa. Abituata dai miei a girare il mondo. Ad assecondare gli stimoli. Una delle cose più stupide che si dicono sulle persone di destra è che siano dei bruti. Mio padre ha fondato il primo circolo del cinema di Lucca».
Quel cinema su cui il governo vuole mettere le mani controllando il Centro Sperimentale di Cinematografia?
«Non conosco lo specifico della polemica sul Centro. Ma conosco le fondazioni sinfoniche, che spesso sono degli inefficienti stipendifici».
Direttori stranieri sì o no?
«A parità di profilo di curriculum preferisco un italiano».
C’è nepotismo nel suo settore?
«Sì. I figli, i parenti e gli amici di direttori d’orchestra, direttori di conservatorio, sindacalisti, e potrei citare tante altre categorie, sono parecchi. Una malattia del Paese che non risparmia il mondo artistico».
Lei avrebbe mai diretto bendata?
«Da Zorro?».
Zorro aveva gli occhi scoperti.
«Pare che anche Veronesi avesse delle fessure».
Perciò?
«No. Non l’avrei mai fatto».
Il sessismo nel suo mondo esiste?
«Sì. Ma perlomeno le orchestre sono meritocratiche. Il sessismo lo trovo piuttosto tra le istituzioni e l’opinione pubblica. L’acredine e la cattiveria con cui spesso vengo colpita non hanno niente a che vedere con il mio mestiere».
L’offesa peggiore?
«Fascistella. Mi rovesciano addosso presunte colpe di mio padre. Che oltretutto mio padre non ha. Gli devo la maggior parte di quello che so e di quello che sono».
L’hanno contestata anche per la pubblicità della Bioscalin.
«I miei non mi hanno mai fatto mancare nulla, ma fin da studente ho sempre badato alle mie esigenze in autonomia, cercando di pesare il meno possibile in casa. Io non sono figlia delle grandi famiglie milanesi come tanti colleghi che nessuno critica anche se hanno avuto da subito una corsia preferenziale».
Nomi?
«Non serve tanta fantasia. Direttori a volte improbabili ma incensati da tutti. Uomini. Più facile prendersela con una donna».
Per giunta di destra.
«Esatto, prendo tutti gli schiaffi possibili. Mi creda, anche questo è sessismo».
Non sembra che la cosa la metta in crisi.
«So difendermi. E, a differenza di quello che ha detto Laura Boldrini – in occasione della querelle sanremese direttore/direttrice – ho piena fiducia in me stessa».
Lei ce l’ha l’armocromista?
«Ovviamente no».
Un giudizio su Elly Schlein?
«La verità è che non l’ho ancora capita, è difficile da decifrare. Ma quali idee porta avanti?».
La premier la stima?
«È noto».
In Spagna avrebbe votato per Vox?
«No, per il Ppe».
L’ala estrema del melonismo la infastidisce?
«In Italia non la vedo. Anzi, mi pare piuttosto conciliante».
Punti di vista. Aborto sì o no?
«Credo che sia una questione che afferisce alla morale e all’etica personale. Il diritto all’aborto non si può mettere in discussione. Poi ognuno lo gestisce a seconda della sua morale».
Maestro, giusto mandare armi in Ucraina?
«C’è stata un’aggressione. Chi è aggredito ha diritto di difendersi e di cercare tutti gli aiuti internazionali possibili. Quello che non accetto però è lo squallido tentativo – quasi del tutto riuscito – di cancellare la cultura russa e di impedire la sua rappresentazione attraverso i suoi artisti».
Non so se ha risposto.
«Ho risposto».
Niente musica pop nella sua vita?
«Figuriamoci, io ascolto tutto. Anche il rock progressive. Sono degli anni Novanta. C’erano i Backstreet Boys e le Spyce Girls».
Vasco Rossi o Ultimo, chi preferisce?
«Vasco».
Muti o Piovani?
«Muti».
Taylor Swift o Elodie?
«Taylor Swift».
Esterofila.
«No, mi sembra che Elodie, con il suo atteggiamento, dia una rappresentazione poco elegante del corpo della donna. Posso dirlo?».
L’ha detto. Il #MeToo ha ancora senso?
«Le molestie ci sono».
Lei ne ha mai subite?
«No. Al massimo marpionaggio. Ma ho sempre mandato messaggi chiari. All’ultimo invito a cena che ho ricevuto ho risposto: bella idea, aspetta che chiamo il resto del cast».