La Stampa, 6 agosto 2023
Cosa cambia passando da 4 a 3 aliquote Irpef?
Cosa cambia passando da 4 a 3 aliquote Irpef come pensa di fare il governo avviando la grande riforma prevista dalla delega fiscale votata definitivamente venerdì? E, soprattutto, chi ci guadagna (e quanto)? In generale, secondo le simulazioni della Fondazione nazionale dei commercialisti, le modifiche di riforma dell’Irpef ipotizzate sino ad oggi comportano guadagni in valore assoluto maggiori per i redditi più alti per via della struttura progressiva dell’Irpef a scaglioni, ma in termini relativi, i guadagni sono maggiori per le fasce più basse. Con qualche eccezione.
Se non si introducono correzioni, magari ampliando la no tax area, infatti, in base all’ipotesi che prevede di fissare al 28% l’aliquota centrale per i redditi compresi tra 15 e 50 mila euro, un contribuente che in un anno dichiara al Fisco 20 mila euro rischia di vedere aumentare (anziché scendere) il proprio carico fiscale che salirebbe di 150 euro l’anno, sia per i lavoratori dipendenti, che per i pensionati e gli autonomi. I primi, infatti, passerebbero dal dover versare 2.207 euro di tasse all’anno invece di 2.057, i secondi salirebbero a 3.635,13 mentre chi lavora in proprio dovrà versare 4.078 euro. In tutti gli altri casi, invece, il contribuente (da poco a tanto) ci guadagna.
I calcoli dei commercialisti prendono in esame tre differenti tipologie di reddito (lavoro dipendente, pensione e lavoro autonomo) per quattro diverse soglie reddituali (20 mila euro, 35 mila euro, 50 mila euro e 60 mila euro). Le simulazioni, viene poi specificato, non considerano eventuali variazioni nella «No tax area» per le diverse tipologie reddituali e non considerano nemmeno eventuali variazioni nell’ammontare del trattamento integrativo di 1.200 euro annui spettante ai redditi da lavoro dipendente fino a 15.000 euro. «Pertanto – spiegano dalla Fondazione nazionale dei commercialisti – le variazioni (ovvero i guadagni o le perdite) rispetto alla situazione attuale nelle varie ipotesi rispetto alla tipologia di reddito non cambiano».
Conti alla mano si vede che l’ipotesi di abbassare di 7 punti l’aliquota del 35% produce un guadagno abbastanza elevato in corrispondenza delle fasce reddituali dai 50.000 euro in su, qualcosa nell’ordine di 1.150 euro all’anno: entrambe le tre tipologie di contribuenti, infatti, con 50 mila euro di reddito lordo sarebbero chiamate a versare 13.250 euro anziché 14.400, mentre a quota 60 mila euro invece da 18.700 euro dovrebbero pagare 17.550 euro.
Nella fascia dei 35 mila euro, invece, si risparmierebbero 11 volte in meno delle fasce più alte, 100 euro appena, col lavoratore dipendente che verserà 7.682 euro anziché 7.782, il pensionato 8.572 anziché 8.672 e l’autonomo 8.709 invece di 8.809.
Nell’altra ipotesi, che prevede di alzare a quota 28 mila euro la prima fascia dell’Irpef tassata con l’aliquota più bassa del 23% e di fissare al 33% il prelievo sino a 50 mila euro, invece, in proporzione i guadagni sarebbero maggiori per le prime due soglie individuate e minori per quelle da 50.000 euro in su: sino a 20 mila euro si risparmierebbero infatti 100 euro l’anno (col dipendente che dovrebbe versare 1.957 euro anziché 2.057, il pensionato 3.385 e l’autonomo 3.828), per salire poi ad un risparmio di 400 euro annui dichiarandone 35 mila euro. Il dipendente, in questo caso, verserebbe 7.382 anziché 7.782, il pensionato 8.272 invece di 8.672 euro e l’autonomo 8.409 invece di 8.809.
Dai 50 mila euro in su per tutte e tre le categorie il risparmio sarebbe di 700 euro: dichiarando 50 mila si pagherebbero infatti 13.700 invece 14.400, con 60 mila andrebbero versati 18.000 euro anziché 18.700.
La Fondazione nazionale commercialisti ha elaborato una terza soluzione, una modifica più limitata abbassando di appena due punti la seconda aliquota intervenendo quindi solo sui redditi o sulla quota di redditi compresa tra 15 e 28 mila euro. In questo caso sino a 20 mila euro di reddito si avrebbe un risparmio di 100 e di 260 per tutte le fasce dai 28 mila euro in su.
Questi, dunque, i numeri che potremmo definire «grezzi» e che inevitabilmente dovranno essere corretti. Se si parla di No tax area, ad esempio l’indicazione è di privilegiare l’equiparazione tra i redditi di lavoro dipendente e i redditi di pensione. Oggi, la fascia, entro la quale non si pagano tasse è differente da soggetto a soggetto: vale infatti 8.174 euro per i dipendenti, 8.500 per chi è andato in quiescenza e 5.500 per gli autonomi.
Come conferma la stessa Fondazione nazionale dei commercialisti – in ogni caso – l’effetto finale della riforma dell’Irpef dipenderà dalle modifiche eventualmente apportate alla No tax rea e al sistema delle detrazioni e delle altre spese deducibili che potranno incidere in maniera significativa anche sui redditi più elevati a seconda delle scelte operate».