Avvenire, 6 agosto 2023
Intervista a Donatella Rettore
«Nel magico mondo della post verità / la guerra è in tendenza l’ansia va di moda». Una critica alla spettacolarizzazione della guerra e di qualunque notizia calpestando sentimenti e buon senso. È il senso di Spettacolare, il nuovo brano che vede l’inedita collaborazione tra Rettore e il duo indie Legno. «Mio padre che era fuggito dai lager nazisti raccontava quanto è brutta la guerra: oggi abbiamo spettacolarizzato le cose più brutte, la storia che l’uomo è belligerante deve finire» ci spiega una appassionata pacifista Donatella Rettore. A 68 anni non finisce di stupire, lei, autentica irregolare, pioniera delle cantautrici italiane spudorata e graffiante, oggi ricercatissima dai giovani autori della scena indipendente. La cantante di Castelfranco Veneto, milioni di dischi venduti tra fine anni 70 e primi 80 con hit come Kobra, Lamette, Splendido splendente, è riapparsa sul palco di Sanremo nel 2021 in duetto con La Rappresentante di Lista e poi in gara nel 2022 con Ditonellapiaga con la scatenata Chimica. Dietro l’aria irriverente, canzoni ironiche e ammiccanti a tutta dance, dichiarazioni spericolate che hanno fatto discutere, look all’avanguardia, Donatella Rettore è una che, come racconta nella sua bella autobiografia Dadauffa (Rizzoli), non si è arresa a nulla: ai 40 anni di lotta contro la talassemia e al tumore al seno che l’ha colpita proprio nel pieno della pandemia, vedendola uscire vincente.
Anche quando non si condividono le sue posizioni, le si riconosce assoluta sincerità. Ai tempi si arrabbiava se la chiamavano Donatella (vedi omonima hit) rivendicando il cognome Rettore: «Ma sì, era un gioco. Quando parlano dei grandi artisti li chiamano per cognome, Picasso, Moravia» spiega lei che ci ha messo anni per vedersi riconosciuta come cantautrice e non semplicemente una cantante dal dirompente impatto mediatico. «Sono sempre stata irregolare. Questione di coraggio? Forse più di incoscienza» racconta Rettore ricordando la bambina ribelle appassionata di rock che già a 11 anni aveva formato la sua band suonando sui palchi dei teatri dell’oratorio e che era scappata di casa di nascosto nel 1967 per andare a vedere il concerto dei Rolling Stones a Bologna.
Per questo ennesimo colpo di testa, messa dai genitori in collegio dalle suore. «Le scuole primarie le avevo fatte dalle suore canossiane, alle medie mi misero in collegio dalle dorotee», esperienza che l’adolescente Donatella ha sofferto molto per la severità dell’educazione che ha attaccato con una frase dura nella sua hit Chimica. Ma lei con le suore ha fatto pace? «Con alcune sì, con altre no – spiega -. Ero affezionata a suor Esterina con cui mi confidavo. Io soffrivo e lei pure che voleva aiutarmi parlandomi della vita e non solo di religione. Invece mi ricordo le responsabili che erano terribili, suor Valfrida e suor PierTarcisia». Però Donatella Rettore rivela un suo aspetto spirituale inedito: «Sono tornata alla religione quando nel ’78 hanno eletto papa Albino Luciani. Ha detto cose che mi hanno commosso: sono andata a confessarmi subito. Questo è un prete, pensai. Diceva ai contestatori “venite, Gesù dice che tutti vengano a me” e poi “Dio è madre”, un grande riconoscimento per le donne. Quando pregavo disperata in collegio, avevo una Madonnina di plastica fosforescente che di notte si illumina e ce l’ho ancora sul mio comodino. Perché mi ha portato bene: anche se ho fatto certi errori, lei è sempre stata importante».
Oggi Rettore è un’icona dei nuovi indipendenti: «I giovani hanno tante cose da insegnarmi che mi erano sfuggite. Sono più pragmatici, non sono menefreghisti. Io sono una che si arrabbia e il politicamente corretto è un modo per creare una ennesima ghettizzazione. Non sono un’icona invece per la Generazione Z. Io non uso le parolacce nelle canzoni, e non mi piacciono. Trasgressione per certi cantanti giovanissimi invece è solo dire parolacce. E non vogliono parlare di po-litica, ma devono rendersi conto che non basta rimanere a casa e insultare chi è andato al potere». Anche se è critica, Donatella Rettore usa sempre l’ironia. «Non c’è cosa migliore che saper ridere della vita, tutti la prendono maledettamente sul serio, nessuno pensa che dobbiamo morire. Se pensi che a un certo punto te ne devi andare, vivi il tuo tempo con qualità» spiega. Una madre colta, discendente della nobile famiglia Pisani, attrice per Cesco Baseggio, che l’avrebbe voluta semmai artista di musica classica, mentre la ribelle Donatella trova la sua strada nel punk, nella new wave e nello ska facendosi notare prima in Europa e poi in Italia superando molti pregiudizi. «Le cantautrici avevano una classificazione molto politica, invece io no. Ma anche io scrivevo cose sul femminismo, come Il patriarca. Ma loro si presentavano con la chitarra o al piano, mentre io avevo un look stile punk». Finalmente arrivano i successi che la porteranno per cinque volte in gara al Festival di Sanremo e a diventare la regina del Festivalbar. La rivelazione nel 1979 con l’anticipatrice Splendido splendente.
«Parlavo del desiderio di rimanere per sempre giovani, parlavo di cambiamento, tutti dovevano essere liberi di essere come si sentivano, nessuno si accontenta mai – spiega Donatella -. Adesso è più terribile, sul web c’è gente che dice come devi apparire e quanto devi misurare. Il web va regolarizzato, un adolescente che si avvicina la mondo dei social viene manipolato». Nel 1980 vince il Festivalbar nella sezione donne con Kobra, una hit che fece scalpore, ma che si canta ancora oggi: «Io ero diretta, chi voleva capire capiva. Il Kobra dopo più di 40 anni che cosa è? Quello che ti pare» ride di gusto. Ma sulla questione femminile rettore è pessimista: «Siamo ancora là, non è cambiato niente, gli uomini hanno imparato a prenderci in giro, a chiamarci la sindaca, non abbiamo fatto grandi passi. La colpa è anche delle donne che non sano essere solidali con le donne. Non hanno ancora imparato che da sole non si va da nessuna parte».