Avvenire, 6 agosto 2023
Rosa Parks e quel posto sull’autobus
Una rivoluzione nata in Alabama, in un posto insospettabile: sopra un autobus color gialloverde con due fari rotondi davanti, a Montgomery. Avviata per avere una libertà riconosciuta come diritto e tutta da condividere. Ad accendere la miccia – sprezzante dei pericoli cui andava incontro – Rosa Parks, una sarta di quarantadue anni che rientrava a casa dal lavoro, segretaria della locale sezione della National Association for the Advancement of Colored People, che assisteva le vittime del razzismo. Salita sul mezzo pubblico per rientrare a casa dal lavoro e sedutasi, essendo di colore, avrebbe dovuto cedere il suo posto ad un bianco rimasto in piedi. E invece quel giorno, l’1 dicembre 1955, stanca di umiliazioni e soprusi, disse di no a quell’imposizione del regime segregazionista. Dunque si rifiutò risolutamente di alzarsi. Un “no” vissuto come una forma di rispetto verso se stessa, ma pure tutta la comunità afroamericana. L’autobus si svuotò e fu lasciata sola ad affrontare le conseguenze di ciò che aveva fatto. Arrestata immediatamente per “condotta impropria” passò diverse ore in carcere rischiando di essere linciata dalla polizia, o perfino violentata.
Il processo fu fissato quattro giorni dopo. Nel frattempo la scintilla aveva fatto divampare l’incendio. E il fatto di cui si era resa protagonista – non senza coraggio – si trasformò in un caso nazionale soprattutto perché seguito dal boicottaggio immediato dei mezzi pubblici da parte dei neri di Montgomery, almeno quarantamila. Una protesta pacifica ma determinata, durata più di un anno, alla quale si unì ben presto un giovanissimo reverendo della Chiesa protestante battista: Martin Luther King, proprio il futuro Premio Nobel per la pace. E alla fine, arrivato il “caso Rosa Parks” alla più alta Corte della magistratura federale, la Corte Suprema, decretò all’unanimità l’incostituzionalità delle leggi segregazioniste. Con rigore storico e con uno stile avvolgente, a raccontare insieme a questa storia anche la biografia di Rosa Parks, a partire dalle sue radici, dal suo ambiente familiare e di formazione, è ora il giornalista e saggista Gianni Maritati. Nelle pagine del suo nuovo libro La rivoluzione in autobus (Città Nuova, pagine 104, euro 14,90), che non dimentica l’analogo caso precedente che aveva visto protagonista la studentessa Claudette Colvin, si rivela attento non solo a presentare la “madre” del movimento dei neri d’America per la conquista dei diritti civili, ma soprattutto il suo insegnamento. Ovvero ciò che rimane di quella testimonianza personale, davvero in grado, poco dopo la metà del secolo scorso, di favorire un reale cambiamento collettivo, soprattutto grazie al sostegno della comunità strettasi attorno a lei dopo il suo gesto.
«Alla fine Dio usò una semplice corsa d’autobus per compiere più di quello che noi avremmo mai potuto sognare»: queste le parole dette successivamente dalla Parks, una credente dalla fede incrollabile, dimensione che Maritati mette pure in risalto, riferendo di una “motivazione religiosa” che “entra così con dolce prepotenza nella sua scelta”. Un diniego che cambiò la storia e sarebbe stato celebrato nei decenni successivi da libri, canzoni, documentari, film, cortometraggi animati, siti web…, che hanno contribuito a trasmettere un’eredità dal significato ancora attuale, nel suo valore educativo e spirituale, sociale e politico. Soprattutto nel rimando a forme di protesta non violente, per una società aperta e inclusiva. Quando Rosa Parks morì nel 2005 a Detroit (dov’era arrivata nel 1957 spinta dalla disoccupazione e dalle minacce sempre incombenti sulla sua famiglia), alla commemorazione funebre – dove fu esposta la foto segnaletica del suo arresto – un senatore dell’Illinois ancora poco noto disse: «La donna che onoriamo oggi non aveva una carica pubblica, non era ricca, non appariva nelle pagine dedicate alla società e al gossip. E tuttavia quando la Storia di questo Paese sarà scritta, è il nome di questa piccola, quieta donna che verrà ricordato, molto dopo che i nomi di senatori e presidenti saranno dimenticati». Era Barak Obama. Nel 2012, da presidente degli Stati Uniti, visitando a Dearborn, in Michigan, il Museo che tuttora custodisce l’autobus sul quale la Parks non aveva voluto alzarsi, chiese di salirvi e sedette alcuni minuti, silenzioso, nello stesso posto dove Rosa, con il suo “gran rifiuto” – quando lui non era ancora nato – aveva dato avvio a quella giusta battaglia.