la Repubblica, 6 agosto 2023
Toni Negri che non si pente
Caro Merlo, a proposito dei novant’anni di Toni Negri, lei ha ricordato che furono altri due magistrati, Giovanni Palombarini e Vittorio Borraccetti, a smantellare il teorema del loro collega Calogero, sulla cui base Negri fu accusato e imprigionato come ideologo, telefonista e responsabile del sequestro e dell’omicidio di Moro e di altri gravi delitti commessi dalle Brigate rosse.Uno dei due magistrati fu, per così dire, “redento” dal suo collega Palombarini, dato che, inizialmente, aveva messo anche lui la firma sugli ordini di cattura e mi auguro che la storia professionale del rapporto tra questi due magistrati possa diventare per la magistratura una “metafora della speranza”.Enrico Ranieri – LivornoMi ha sorpreso che nelle interviste per i suoi 90 anni, – non era l’età della saggezza? – Toni Negri non abbia riservato a sé stesso neppure un accenno di autocritica. È vero che non era coinvolto nel sequestro Moro e nelle Br, ma è stato condannato a 12 anni per partecipazione a banda armata e come mandante della rapina in banca di Argelato che si concluse con l’omicidio a freddo del carabiniere Andrea Lombardini. Ma, al di là delle sue responsabilità penali e degli errori del “teorema Calogero” (la definizione è di Giorgio Bocca che parlò anche di “Grande Inquisizione”), su Negri pesano i durissimi giudizi politici e personali di Bocca, Sciascia, Pannella, Montanelli, Biagi… Nell’archivio di Radio Radicale c’è anche il breve, drammatico faccia a faccia tra Negri ed Enzo Tortora. Trovo molto suggestiva la definizione di “metafora della speranza” con la quale lei, caro Ranieri, riassume il rapporto, che io non conosco, tra i due giudici di Padova, Palombarini e Borraccetti, entrambi di Magistratura democratica, che ridimensionarono il teorema del loro collega Calogero. Di Giovanni Palombarini suggerisco la lettura del libro “Il processo 7 aprile nei ricordi del giudice istruttore” (Poligrafo). Non penso, però, che quella giudiziaria sia la via migliore per ricostruire e capire l’Italia di quegli anni e sono sicuro che prima o poi quel “7 aprile” diventerà grande letteratura e grande cinema.