la Repubblica, 5 agosto 2023
Il terrore viaggia in taxi
Nelle grandi città italiane (perfino Milano, che fino a pochi anni fa era una felice eccezione) trovare un taxi è spesso un’avventura. Nei giorni di pioggia, una sfida impossibile. Lo sanno tutti, lo dicono tutti: ci vorrebbero più taxi, specie nelle ore di punta e nei giorni più affollati.
Se nessuna autorità locale o nazionale è mai riuscita a risolvere il problema, è per ragioni che sfuggono a ogni logica, e appartengono forse al paranormale: il tassista terrorizza. È un’entità che incombe, come nei romanzi di Stephen King, e leva il sonno. Ne sia prova definitiva il comico progetto di legge del governo Meloni, che in sostanza dice: il problema c’è, ci vorrebbero almeno il venti per cento di taxi in più. Dunque affidiamo agli attuali possessori di licenza (i tassisti in carica) la facoltà di risolverlo, concedendo generosamente una specie di duplex della loro licenza ad altri (si suppone parenti e amici). Come dire: affidiamo alle volpi il problema di gestire i pollai.
Ogni corporazione, anche se non lo sa, è di destra per natura. È dunque comprensibile che un governo di destra, erede del corporativismo fascista, confidi nelle corporazioni: quella dei tassisti, specie a Roma, diede grandi prove di fedeltà alla linea – un tassista di sinistra, a Roma, è un’eccezione entusiasmante.
Ciò che sfugge alle corporazioni è che più il loro potere si ossifica, più prospera la deregulation: io rifuggo da Uber e consimili, e il car sharing non fa parte del mio Dna di quasi anziano. Ma, per autodifesa, imparerò a usarli.