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 2023  agosto 05 Sabato calendario

Intervista a Beppe Vessicchio

Sanremo sì, Sanremo no?
«E chi lo sa se dirigerò al Festival anche nella prossima edizione».
Da che cosa dipende, caro maestro?
«Dipende da chi ci va. Se è un amico mi chiama, altrimenti no. Ad esempio Mario Biondi mi chiamerebbe».
Quindi Biondi sarà in gara?
«Ma no, non so nulla, ho fatto solo un esempio».
Giuseppe detto Peppe ha 67 anni, tutti gli italiani lo conoscono come «dirige l’orchestra il maestro Vessicchio» ma per gli artisti è un punto di riferimento da molti decenni, mica solo Sanremo. Napoletano pieno di ironia napoletana, coltissimo di una cultura che non esibisce, Vessicchio vive «nell’Antica Sabina tra Rieti e Terni» e ha appena presieduto la giuria del Festival di Castrocaro, che il 22 settembre sceglierà il vincitore tra i dieci finalisti (conduce un altro napoletano doc: Clementino). «I ragazzi vogliono colpirti al primo colpo con verbi, ripetizioni, cacofonie varie. Nel complesso c’è gente di talento ma, come capita adesso, non approfondisce. Anche Lucio Battisti scriveva musica magari di getto. Ma poi ci rifletteva su sei mesi prima di pubblicarla. Ora no».
Ora?
«Ora si pubblicala canzone come se fosse un amo. Se qualcuno abbocca, allora si inizia ad approfondire».
Risultato?
«L’asticella non si alza mai. E gli artisti si sentono poco invogliati ad alzarla».
Fuori i nomi.
«Prenda Lazza. Ha capito una formula e la sa fare bene. Dentro di sé è molto di più, solo che non è incentivato. Anche Salmo è uno che musicalmente secondo me è molto di più di quel che si sente. J-Ax invece è uno che viene dalla gavetta ed è migliorato molto».
E Sanremo?
«Si è adeguato, in questa fase mette poco alla prova gli artisti».
Mai pensato di diventare conduttore?
«Ci aveva pensato Claudio Baglioni all’epoca di Claudio Bisio e Virginia Raffaele. Aveva pensato un ruolo per me e anche il vicedirettore Fasulo era d’accordo».
Poi?
«Lo bloccò l’ufficio scritture della Rai. C’è un procedimento che mi riguarda per una questione di diritti connessi. Non s’è più fatto niente. Al momento non posso ancora avere contratti con Rai (ieri il Tribunale di Roma gli ha dato ragione, ma è solo il promo round – ndr). Visto quanto in media durano processi e appelli in Italia, penso che la mia storia con la Rai sia finita».
Allora niente Festival.
«Ma no, quella è un’altra cosa. Lì ti chiamano i cantanti o le casa discografiche, mica Viale Mazzini».
Anche a Sanremo si usa l’autotune. Ha seguito la polemica Bersani-Sfera?
«L’autotune è come il T9, è comodo ma non aiuta lo stile. Diciamo che allarga la possibilità di partecipare (fa cantare tutti – ndr), ma è una maschera. Io credo che il suono della propria voce sia inalienabile, è un elemento della nostra identità».
A proposito di identità: com’è Peppe Vessicchio senza barba?
«E che ne so? Non la taglio da quando avevo 16 o 17 anni. Avevo una produzione pilifera spaventosa e non avevo voglia di stare dietro alla barba che cresceva ogni giorno a dismisura».
Neanche a militare?
«Ero terrorizzato all’idea, ma fui esonerato e non ci andai. Oggi se mi tagliassi la barba, non mi riconoscerebbero neanche mia moglie e i miei figli».
Lei si riconosce nel film Giggi il bullo del 1982?
«Con Alvaro Vitali. Esperienza drammatica, c’era un casino come sempre sul set, a me cascavano pure i pantaloni e c’è una scena in cui si vede che me li tengo su. Mi toccò il ruolo del beccamorto, non proprio il massimo».
Era nel gruppo comico Trettrè.
«Sì ma poco dopo li lasciai perché avevo iniziato a lavorare con Gino Paoli e al mio posto arrivò Gino Cogliandro. Mi sentivo in colpa, poi per fortuna ebbero successo a Drive In...».
Vessicchio ora?
«Ho riallacciato i rapporti con la musica colta, alla Scala i solisti hanno suonato una mia composizione. Poi sto lavorando alla colonna sonora del film di Bille August, premio Oscar e due volte Palma d’Oro a Cannes. E continuo a studiare la polifonia in acqua».
Prego?
«Le frequenze acute passano in acqua più velocemente di quelle gravi. Uno studio che aiuta a capire cosa succede nell’aria e con il nostro corpo. La musica non dialoga solo con il cervello, potrebbe farlo anche direttamente con le nostre cellule».
Spesso la musica popolare oggi si ferma alla superficie.
«I giovani hanno pochi stimoli a migliorare. Prenda Pino Daniele, era chitarrista, poi ’Na tazzulella ’e cafè l’ha fatto diventare popolare in radio, poi è cresciuto ancora, non si è mai fermato. Oggi si cerca l’attimo, se c’è. Altrimenti ciao».