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 2023  agosto 05 Sabato calendario

«I mistici» di Elémire Zolla abbagliano da sessant’anni


Nel 1963 Garzanti pubblica un libro stravagante, una specie di meteorite, anomalia destinata a mutare il corso dell’editoria italiana. Il tomo, in edizione di pregio, con cofanetto e repertorio di illustrazioni astrologiche, s’intitola I mistici. Lo ha curato Elémire Zolla, tuttologo torinese, insegnante di Letteratura angloamericana a Roma, già autore, per Garzanti, di un romanzo dimenticato dai più, Cecilia o la disattenzione (1961). Il libro – quasi duemila pagine di testi lunari e mefistofelici, da Ermete Trismegisto a Giovanni della Croce – ebbe un successo celestiale: con lieve mutamento del titolo – I mistici dell’Occidente -, in versioni rivedute, è stato stampato da Rizzoli nel 1980 (spartito in sette volumi), poi da Adelphi, di cui è la pietra miliare e filosofale, dal 1997 (in due tomi).
Il testo introduttivo di Zolla – Lo stato mistico come norma dell’uomo – è tra i suoi più belli: di recente è stato recuperato da Marsilio nel volume Dal tamburo mangiai, dal cembalo bevvi... (2021), a cura di Grazia Marchianò, ultima moglie del divo Elémire, intellettuale alchimista. Zolla non spiega lo stato mistico – gita impervia, che riduce il principio di non contraddizione a specchio per allocchi – ma lo sottrae alle ganasce dello psicologismo isterico come dai fraintesi della «mistica fascista». In sostanza, Zolla sferra un micidiale attacco al mondo moderno: preso dal demone del guadagno, dall’idolatria della merce, l’uomo si è volto «da mammifero a insetto sociale», corpo in subaffitto, creatura instupidita, dimentica dei simboli, dei legami che congiungono il cielo alla terra, l’universo zodiacale al ciclo delle stagioni. Preda del caos, solo, sottomesso a riti analoghi ma opposti al religioso (la vacanza in vece del carnevale; il supermercato al posto della basilica; la moda al posto dell’iniziazione; le elezioni rispetto all’eletto, e dunque: la democrazia in luogo del re taumaturgo), l’uomo brancola nell’insensato, facile preda della pubblicità.
I mistici dell’Occidente, specie di contro-bibbia da comodino, diventò il compendio degli esoteristi casalinghi, il ricettario dei teosofi fai-da-te: ancora oggi fa credere allo spavaldo di possedere «il sapere». L’opera, però, sbalordisce ancora per efficacia eccentrica: i testi dello gnostico Valentino si alternano a quelli di Santa Umiltà e di Raimondo Lullo; Tertulliano ed Evagrio Pontico dialogano, in una specie di schizofrenica teogonia, con i poeti metafisici inglesi (John Donne, George Herbert, Henry Vaughan) e i cabbalisti, i rosacrociani e i pitagorici; Dante Alighieri, Jacopone da Todi, Tommaso Campanella si alternano a oscuri sapienti, Bartolomeo Cambi da Saluzzo, ad esempio, Lorenzo Scupoli e Marjerie Kempe; il De harmonia mundi di Francesco Veneto si regola con gli Oracoli caldaici e l’opera di Nonno di Panopoli.
L’idea, vista dalla balconata dell’oggi, ha la parvenza di una zuppa mistica, di un potpourri esoterico, dove si privilegia la suggestione alla soggezione accademica (quanto al fenomeno mistico, non dà però maggiori orientamenti l’accurato studio di Federico Zambon su La mistica cristiana, Mondadori, 2021; l’incomparabile non sta al giogo della grammatica, della didascalia). Svelare i misteri – o meglio: spezzare il sortilegio di Pandora – vuol dire corromperli, ammirare il tempo che fu con nostalgie da neofita, la sprezzatura dei citazionisti. I mistici dell’Occidente, lì da sessant’anni, sono un fenomeno pop: tutti citano i Vangeli apocrifi perché non hanno letto quelli canonici; per animare la discussione che langue si cita Meister Eckhart e la mistica renana; lo yoga, da pratica sapienziale è diventato divertimento social promosso perfino da Radio Deejay: fa bene alla salute (la salvezza, semmai esiste, verrà più tardi). Il viaggio in India – sulle lisergiche tracce dei beat – primeggia sul pellegrinaggio all’Athos, per apprendere i sacri canoni dell’esicasmo. Divulgare vuol dire, sempre, volgarizzare: nel 2010 i Baustelle, gruppo che dicono «alternativo», pubblica un album dal titolo I mistici dell’Occidente.
Eppure, che genio Elémire Zolla. La sua opera – che si riferisce, per postura, a La Dea Bianca di Robert Graves, altro libro cardinale del catalogo Adelphi – fu uno stellato rifugio dai dettami della cultura dominante. Nell’anno in cui escono I mistici, a Palermo si costituisce il Gruppo 63, che propala una visione contraria a quella promossa da Zolla. Lo scrittore, sordo ai sacri paramenti del verbo, deve «dialogare con la nuova realtà del boom economico» e flirtare con i linguaggi del contemporaneo: l’annuncio pubblicitario è più importante dell’annunciazione, l’idolo edipico prende il posto dell’epica, l’ascesa sociale è preferibile all’ascesi. I risultati letterari – iniqui – sono sotto gli occhi. Eppure, rispetto a Elémire Zolla e a Giorgio Colli (che nell’Enciclopedia di autori classici, curata per Boringhieri, pubblicava, con estro sincretico e ribelle, gli Scritti sulla poesia di Hölderlin e i frammenti orfici, Paracelso e le lettere di Dostoevskij, lo Yogasutra e i trattati sufi di Attar) a imporsi, per decenni, è stata la via di Umberto Eco, le letture deboli, l’intrattenimento colto, il filosofo televisivo, Mike Bongiorno e Tommaso d’Aquino, Kant e l’ornitorinco.
Per l’edificazione dei Mistici, Zolla raccolse attorno a sé uno stretto cerchio di adepti. Tra questi, spiccano Roberto Calasso (e la mamma, Melisenda), Benedetta Craveri, Juan Rodolfo Wilcock. Spesso, fra i traduttori appaiono nomi ermetici – Massimiliano Putti, Marie Lohr, Bernardo Trevisano – riconducibili a pseudonimi, tarocchi, entità indecise. Il vero motore dei Mistici fu Cristina Campo (ergo: Vittoria Guerrini), figura saturnina, evanescente, inarrivabile, compagna di Zolla dal 1958. Dieci anni prima – nel 1953 – aveva avuto un’idea simile: raccogliere, per Gherardo Casini Editore, un’antologia delle «più pure pagine vergate da mano femminile attraverso i tempi». Il libro delle Ottanta poetesse – questo il titolo, irrealizzato all’epoca, ricostruito quest’anno dalle edizioni Magog – avrebbe dovuto radunare, per lo più, mistiche (da Angela da Foligno a Teresa d’Avila, da Suor Juana de la Cruz a Caterina da Siena), donne di lettere (Aphra Behn, Luise Labé, Emily Dickinson), lascive carismatiche da salotto francese. Per I mistici, la Campo tradusse moltissimo, di tutto (da John Donne a Giovanni della Croce, dai Padri del deserto a George Herbert): poco dopo cominciò la strenua, solitaria battaglia anticonciliare, a protezione della liturgia (fu vicina a Monsignor Lefebvre). L’antologia curata da Zolla dimostrava, d’altronde, che sono soprattutto i prelati, gli alti uomini di Dio, ad aver dimenticato gli aurei simboli, spezzando il rapporto con le origini, anteponendo l’immondo al mondato, la mondanità all’altro mondo, la schitarrata al gregoriano.
L’opera iniziata – iniziazione borghese, salottiera – con I mistici dell’Occidente proseguì, dal 1969, su Conoscenza religiosa, la rivista edita da La Nuova Italia. L’ultimo lavoro di Cristina Campo fu la traduzione di alcuni poemi di Peter Lamborn Wilson, pubblicati nel 1977. Studioso del sufismo, amico di William Burroughs, Peter Lamborn Wilson diventerà noto con lo pseudonimo di Hakim Bey: anarchico, teologo del caos come eros, dichiarò che «dobbiamo diventare delinquenti per proteggere la bellezza spirituale in una sfaccettatura di clandestinità». Le sue poesie hanno atmosfere noir («Ancheggia il deserto contro/ i bordi della città/ sotto la superficie della sera»), ma non è questo l’importante. Peter Lamborn Wilson è l’emblema del pensiero estremista di Zolla & accoliti. Il poeta è l’ultimo mistico, cioè il sovversivo assoluto. Questo mondo non va cambiato ma combattuto: ritirandosi in monastero, scrivendo un libro oppure pasturando un incendio.