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 2023  agosto 05 Sabato calendario

In Germania i treni arrivano in ritardo

Se venite in vacanza in Germania, evitate di prendere un treno. Non vi fate tentare dall’offerta del biglietto a 49 euro, valido un mese per tutta la rete nazionale, tranne che per l’ICE, il treno superveloce come i nostri Frecciarossa o Italo. Il viaggio potrebbe diventare un incubo tra ritardi e treni annullati. La Deutsche Bahn, le ferrovie tedesche, stanno attraversando la peggiore crisi dalla fine della guerra. Oltre il 30% dei treni arriva in ritardo, anni fa la percentuale era del tre. Il problema è che le coincidenze sono previste con un margine di tre minuti, dopo di che, per chi non sa il tedesco, capire che fare sarà difficile. Nelle stazioni, a parte quelle delle grandi città, ma non in tutte, gli annunci non vengono dati in inglese. Comunque, anche per i tedeschi, nel chiasso, è arduo decifrare le alternative proposte dagli altoparlanti.
Anni fa, quando abitavo a Bonn, per volare in Italia mi conveniva andare in treno a Francoforte, a poco più di un’ora di distanza. Una volta in attesa nella civettuola stazione della piccola capitale, il mio treno venne annunciato in ritardo, dieci minuti, venti, trenta. Alla fine all’arrivo dell’Intercity, l’annunciatrice annunciò: era in ritardo già al confine con il Belgio. Si vergognava, la colpa era degli altri. Oggi molti Intercity sono stati sostituiti dagli ICE, che hanno tuttavia più di trent’anni. I nostri treni superveloci sono molto meglio, più affidabili, più comodi, soprattutto più economici. L’ultima volta, grazie a un’offerta speciale ho viaggiato da Roma a Milano in prima classe per 40 euro, da Monaco a Berlino sarebbe costato oltre 200. In Germania, anche in seconda i treni costano più degli aerei, e in estate sono quasi sempre strapieni, sempre a causa del biglietto a 49 euro.
Sui 33mila chilometri, i cantieri aperti sono centinaia, e si procede a passo d’uomo per colpa dei cantieri. «Niente funziona», è il giudizio lapidario della Frankfurter Allgemeine. «Ci rendiamo conto che pretendiamo troppo al momento dai nostri clienti», si è scusato la settimana scorsa Richard Lutz, presidente del consiglio di amministrazione delle ferrovie. Per non finire in rosso, da oltre vent’anni, si è risparmiato a tutti i costi. La mania nazionale del pareggio, che la Germania ha imposto all’Unione Europea, ha condotto al disastro. Oggi, servirebbero 90 miliardi per risanare i treni e la rete. Ma nell’ultimo esercizio sono arrivati appena tre miliardi extra. Di questo passo, per salvare la Deutsche Bahn ci vorrebbero trent’anni. Il ministro dei trasporti, il liberale Volker Wissing, promette di stanziare altri 45 miliardi entro il 2027, ma il denaro non basta. Manca il materiale e la mano d’opera, ha denunciato Sarah Stark, a capo dell’associazione nazionale delle industrie ferroviarie, la VDB: «La strada per il risanamento è complicata, rischiamo di non farcela».
Nel bilancio per il 2024, non c’è traccia dei miliardi annunciati da Wissing, e le imprese non possono fare programmi senza commesse garantite, come dovrebbe essere ovvio, non bastano le parole dei politici. «Non possiamo aumentare la nostra produzione», ha spiegato Frau Sarah, senza un programma a lunga scadenza. Altrimenti le nostre industrie produrranno per i clienti stranieri. È inevitabile». Nella VDB sono organizzate tutte le industrie specializzate per il trasporto ferroviario, dalle imprese che progettano e costruiscono moderne locomotive, dai treni superveloci ai convogli dei metro di superficie, che dipendono come a Berlino dalla Deutsche Bahn. Infatti, in quest’estate, nella capitale, alcune linee sono interrotte per lavori alle fabbriche di binari e di cambi. Tra le grandi imprese troviamo la Siemens e la Alstom, e anche piccole e medie fabbriche che rischiano di fallire se si fidano delle promesse non garantite del governo. Tutte le società della VDB arrivano a un totale di 12 mld di fatturato, impiegano 55mila dipendenti, e esportano il 40% della produzione. «Abbiamo la possibilità di raddoppiare il numero dei passeggeri entro il 2030», ha assicurato Sarah Stark, «ma siamo bloccati dalla burocrazia e dall’incertezza dei politici. I treni non si comprano al supermercato».