il Fatto Quotidiano, 5 agosto 2023
Ricordi degli Anni Sessanta
Lungagnona «Cinquant’anni spaccati fa, una lungagnona col vestito da cocktail sottratto di nascosto alla madre saliva sul palco traballante di una balera lombarda. Si ricorda che l’abito era blu e bianco. Lucido. Si ricorda che dopo aver cantato la prima canzone – il titolo? no, è troppo – si arrabbiò perché la gente applaudiva. “Io canto per me. Cosa c’entrano loro?”. Non aveva le idee chiare. O forse era troppo lucida. Si ricorda che alla fine di quella primissima esperienza scappò via perché i genitori non sapevano… non volevano. A diciott’anni era d’obbligo ubbidire. Ma non l’aveva fatto. E doveva correre a rimettere l’abito a posto il più in fretta possibile. Si ricorda che poco dopo, dietro le sue insistenze, il padre aveva convinto la madre a lasciarla fare: “Tanto, cosa vuoi, durerà qualche settimana questa follia. Lasciamola fare”» (Mina, che racconta in terza persona il suo debutto).
Collegio Monica Guerritore, il primo giorno della prima media, se ne andò in piazza di Spagna a infilare perline nelle collane che vendevano i marocchini sulla scalinata di piazza di Spagna. «Mi piaceva da impazzire». E poi? «All’una e mezza precisa tornai a casa. Trovai mia madre che parlava al telefono, e mi chiede: “Com’è andata a scuola?”. E io: “Benissimo!”. E lei: “Vai in camera, prepara la valigia, perché abbiamo il treno prenotato”. E io: “Per andare dove, mamma?”. “In collegio”. Aveva saputo che avevo fatto sega».
Rape «Ci davano da mangiare sempre quello che più odiavamo. Credo che facesse parte della nostra educazione britannica. Dovevamo finire tutto quello che ci veniva messo nel piatto. Se uno non finiva tutto quello che aveva nel piatto, se lo ritrovava davanti al pasto seguente. Il mio incubo erano le rape e la carne, nella quale apparivano nervi bianchi ed elastici» (Susanna Agnelli).
Seicento «Studiavo con lentezza arboriana. Ogni tanto facevo un esame. Un giorno dissi a mio padre: “Quanto mi dai se faccio cinque esami?”. Lui rispose: “Trecentomila lire”. Io feci tre esami veri e due falsi. Presi i soldi e andai con i miei amici al Circolo polare artico in Seicento» (Enrico Vaime).
Svezia Tra i giovani maschi «il grande mito del tempo era la Svezia, la ragazza nordica, come ha ben illustrato Gianni Boncompagni, che in Svezia rimase dieci anni e tornò con due figlie».
Moravia «Moravia contrasse l’abitudine estiva di Sabaudia, che significava: accanirsi sui tasti della Olivetti (…) fino verso le undici della mattina, quindi scendere alla spiaggia e intraprendere una lunga passeggiata con l’acqua alla vita tirando su dalla rena le telline, che apriva a infallibili colpi d’unghia e succhiava. Di pomeriggio (…) diceva: “Vado a comperare un bel pescione”. Il proprietario della pescheria sulla piazza del mercato lo ricorda ancora con che lena frugasse i pesci sul banco di marmo per verificarne la freschezza. Si fermava poi per un gelato al bar di fianco al Comune, e tornava a casa. Facevamo gare di cucina. Alberto amava lavare i piatti trattando l’acqua bollente a mani nude come se le avesse coperte di pesanti guanti di caucciù. Tutti eravamo ghiotti dello sformato di patate e mozzarella di Laura Betti» (Enzo Siciliano).
Saint-Tropez «A Saint-Tropez si poteva fare apertamente e in modo sfacciato tutto quello che si faceva segretamente a Parigi» (Françoise Sagan).
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Notizie tratte da: Maria Luisa Agnese Anni Sessanta. Quando eravamo giovani Neri Pozza. Pagine 176, € 17
Capelli Tra le mode lanciate negli anni Sessanta, quella dei capelli lunghi anche per i ragazzi. «Persino Mario Draghi, che era giovane anche lui, appena uscito dal liceo Massimo e neoallievo di Federico Caffè all’università La Sapienza di Roma, si era fatto crescere i capelli, anche se poco, appena appena, come ha raccontato Marco Cecchini nella biografia L’enigma Draghi (Fazi)».
Grembiule A scuola, «il grembiule bianco per le femmine e nero per i maschietti con fiocco azzurro delle elementari, e guai a sporcarlo con l’inchiostro della penna che stava in uno spazio dedicato, a destra nel banco, detto calamaio. Il grembiule diventava poi per noi nero alle medie e al liceo».
Landini «Maurizio Landini, milanista doc, (…) quando gli chiesero se il ’69 gli ricordava l’autunno caldo, ha risposto con una battuta che quell’anno gli ricordava il 4-1 del Milan sull’Ajax in finale di Coppa dei campioni e il Pallone d’oro vinto da Rivera».
Mughini «Racconta Giampiero Mughini che a scuola a Catania lui era l’unico a essere figlio di separati, padre duro (in tutta la vita non gli avrà rivolto più di trenta parole, un tipo alla Clint Eastwood), madre molto più giovane. Era qualche anno prima, ma fino agli inizi dei Sessanta la situazione rimase pressoché identica. “Si sono separati male. Mia madre dopo un po’ cominciò a frequentare un altro uomo, ‘lo zio Aurelio’. Anche lui era separato dalla moglie. Un giorno eravamo al cinema, io, la mamma e la nonna. Non appena si spensero le luci, si avvicinò a noi una donna, che nel buio della sala cominciò a insultare mia madre: era la moglie dello zio Aurelio. ‘Usciamo’, disse mamma, senza ribattere alla signora. Sgattaiolammo in silenzio, persi il film”, ha raccontato Mughini a Concetto Vecchio, concludendo: “Questa era l’Italia di allora”».
Autogrill «L’autogrill ha rivoluzionato in quegli anni il concetto di sosta contemporanea, offrendo al viaggiatore un punto di riferimento riconoscibile e omogeneo da Nord a Sud con la sua rete di piccole cattedrali della modernità, che sono cambiate insieme al nostro Paese. Chissà se il cavaliere del lavoro Mario Pavesi, il figlio di panettiere diventato l’eroe dei Pavesini, immaginava tutto questo quando – correva l’anno 1947 – ebbe l’ardire di aprire un piccolo spaccio di biscotti sulla Milano-Torino al casello di Novara, che presto sarebbe diventato il primo punto ristoro d’Italia».
Almirante «Al Mottagrill Cantagallo alle porte di Bologna (…) negli anni Sessanta le donne in cuffietta bianca preparavano ancora a mano tortellini di fama eccelsa, che erano richiesti alle feste dei diciott’anni delle fanciulle in fiore della zona, in una sorta di anticipazione dei catering futuri. Ma sempre lì, nel mitico ed elegante Mottagrill, avvenne poi un episodio che rispecchia le cupezze e le contraddizioni dell’Italia di allora. All’inizio degli anni Settanta gli inservienti fecero partire con il passaparola uno sciopero istantaneo, rifiutandosi di servire un Giorgio Almirante in transito: “Né panino né benzina” per lui».
Macchina «Bene come in macchina non sto in nessun posto» (Bruno Cortona, cioè il personaggio interpretato da Vittorio Gassman ne Il sorpasso, il film dove lui e Trintignant percorrono, su una Lancia Aurelia B24S convertibile, l’Italia degli anni Sessanta)
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Notizie tratte da: Maria Luisa Agnese Anni Sessanta. Quando eravamo giovani Neri Pozza. Pagine 176, € 17
Pil «Il mondo cambiava, l’Italia cambiava e si avviava a polverizzare tumultuosamente tutti i suoi record. Tra il 1958 e il 1963 il prodotto interno lordo, il famoso Pil, si assesta su un incremento annuo del 6,3 per cento, inferiore solo a quello tedesco. Con un elettrizzante picco dell’8,3 per cento nel 1961. In quegli anni tutto schizza verso l’alto, c’è un picco di nascite e matrimoni mai più toccato, sulle strade appaiono i primi ingorghi, con le automobili che dal milione del 1956 passano ai cinque e mezzo del 1965».
Lavatrici «Nelle case entrano gli elettrodomestici e le fabbriche si affannano a sfornarli: la lavatrice opererà a favore dell’emancipazione della donna più delle suffragette. “Per il bucato della settimana vi bastano ora dieci minuti”, asseriva una pubblicità con il disegno di una signora che se ne usciva a fare shopping in guanti e veletta».
Candy «Enzo Fumagalli, tornato da un campo di prigionia negli Stati Uniti, ribattezza la bottega artigianale del padre con il nome di Candy (una canzone che canticchiavano le guardie Usa). Nel 1967 il ritmo di produzione del nuovo stabilimento era arrivato a una lavatrice ogni quindici secondi. Le nuove biografie di successo nascevano così, in un baleno: bastava avere l’idea giusta. L’Italia contadina diventava industriale, e dal Sud cominciava la grande emigrazione di chi saliva al Nord a trovare lavoro».
Marshall «Il piano Marshall che apriva nuovi orizzonti, la fine del tradizionale protezionismo, la stabilità monetaria, la mancanza di controllo fiscale sul mondo degli affari, il mantenimento di un tasso di sconto favorevole da parte della Banca d’Italia, uniti al basso costo del lavoro, furono fra i principali elementi che contribuirono al nostro miracolo, come ha sintetizzato lo storico Paul Ginsborg in Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi (Einaudi). Una congiuntura virtuosa e incredibile».
Milano «In quegli anni, su un milione e 379 mila impiegati nell’industria, più del 20 per cento lavorava nella provincia di Milano, la città del miracolo, che cambiava faccia e si regalava un nuovo skyline con quegli edifici che sorgevano sulle macerie belliche. Dopo la torre Velasca (Bbpr, 1958), veniva inaugurato il grattacielo Pirelli, subito detto “Pirellone” (Gio Ponti, 1961). Nel 1964 arrivano i dodici chilometri della prima linea della metropolitana, con eco in tutta Italia, e all’ombra di queste opere nasce tutta una nuova generazione di designer, di artisti, di nuovi manager e uomini di marketing e di pubblicità».
Sorpasso Per il finale del Sorpasso, film emblematico dell’epoca, Dino Risi decise che se quel giorno ci fosse stato il sole, per Gassman e Trintignant sarebbe finita male. In caso contrario, la corsa sulle strade della nuova Italia si sarebbe conclusa con la grande allegria di tutti i personaggi. Come sanno quelli che hanno visto il film, l’ultimo giorno di riprese fu illuminato da un sole che spaccava le pietre.
Autogrill Gilberto Benetton e la sua prima sosta in autogrill: «La prima volta che ho visto un autogrill ero sulla Treviso-Milano, guidavo io. Sono rimasto scioccato, mi sono fermato a bocca aperta. Sa, per uno che veniva dalla campagna era come fare un salto nel futuro».
Passato «È sbagliato dimenticarsi del passato in quanto passato, perché è come togliere a un animale l’istinto. E questo sarebbe come ucciderlo completamente» (Fabrizio De André).
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Notizie tratte da: Maria Luisa Agnese Anni Sessanta. Quando eravamo giovani Neri Pozza. Pagine 176, € 17
Beatles I Beatles appaiono all’Ed Sullivan Show e a un tratto il tasso di crimini a New York si avvicina allo zero.
Rolling Stones «Ma tu eri con i Beatles o i Rolling Stones? La domanda non era peregrina negli anni Sessanta. Era una scelta di campo, una dichiarazione di appartenenza, un’adesione a un modo di vedere il mondo. Il mondo tutto stava cambiando velocemente, e in qualche modo quei due gruppi musicali rappresentavano la colonna sonora di quel cambiamento, nelle sue due anime, quella neo-pop e quella più strong».
Orietta Orietta Berti doveva partire in tournée con Claudio Villa. Interviene la madre: «Tu e lui da soli? Non se ne parla». Poi aggiunge: «A meno che non ti sposi prima con Osvaldo» (il marito ormai leggendario, che ancora sta con lei e le sue bambole). «Ma mamma, non si può, siamo in Quaresima». «Non importa, si può fare, ho già chiesto la dispensa, ho parlato con il parroco, Don Gino. Ha detto che vi sposa».
Zero Gianni Morandi: «Una volta eravamo su una 500 con Renato e avemmo un incidente. Finimmo dentro un negozio di pompe funebri in via Sicilia. Ci portarono al Policlinico. Zero, che allora non era ancora Zero, ma era già tutto truccato, capelli lunghissimi, pantacollant, lo ricoverarono direttamente al reparto femminile».
Tacchi «Tutti volevano essere come i Beatles, l’ispirazione veniva da là: “Volevo gli stivaletti, ma proprio quelli dei quattro di Liverpool. Ma dove li trovavo a Treviso?”. Così un Red Canzian alle prime armi (poi sostituirà Riccardo Fogli nei Pooh, diventando bassista e cantante del gruppo) compra un polacchino e va dal calzolaio del paese per convincerlo a montargli un tacco di cinque centimetri. “Lui si appoggia alla parete mezzo svenuto: ‘Ma sei una donna?’. ‘Ma no’, gli rispondo. ‘Non vedi i Beatles?’. L’altro tentenna riluttante: ‘Ma poi barcolli, come fai a camminarci?’. Insomma, alla fine me lo ha fatto di quattro centimetri e mezzo, cinque proprio non voleva”».
Dio «Nel 1967 Guccini aveva scritto Dio è morto. (…) Con quelle parole di Guccini, su un Dio che era morto, calpestato dalle prime sventate ossessioni del consumismo, i mutui, le rate, i miti delle vacanze, iniziava la canzone italiana di protesta. (…) La Rai la censurò, ma la versione dei Nomadi, tracimata sulle radio ed entrata in hit parade, fu trasmessa anche da Radio Vaticana. Pare infatti che lo stesso papa Paolo VI apprezzasse molto il lavoro di Guccini, così la canzone venne rilanciata ampiamente dalla stazione cattolica. Un paradosso, ma l’attitudine generale cambiò».
Genova «La scuola genovese nasce in quel chilometro quadrato che sta tra la Foce e il Paradisetto ad Albaro, la villa dove abitavano i De André. Ne ha tracciato la mappa il giornalista e conduttore tv Arnaldo Bagnasco: “Lauzi viveva nella piazzetta in fondo a via Cecchi, a due passi dalla casa di Bindi, Paoli si era sistemato a Boccadasse, Tenco in via Trento”. Lauzi la spiegava così, quella concentrazione di cuori musicali in un fazzoletto marino: “Tutti dobbiamo moltissimo a Genova, perché ti stressa, e dallo stress nasce l’arte”».
Franco «A Milano intanto c’erano quei geni di Gaber e di Jannacci e stava per arrivare Battiato da Catania, stupito “dalla nebbia sei mesi l’anno”. Si chiamava ancora Francesco, ma Caterina Caselli e Giorgio Gaber, che nella trasmissione Diamoci del tu dovevano portare ognuno un cantautore, si trovarono davanti a due Franceschi: Caterina portava Guccini e Gaber Battiato. Così, per evitare confusioni, Gaber disse: “Vabbè, tu chiamati Franco”. E nacque Franco Battiato».
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Notizie tratte da: Maria Luisa Agnese Anni Sessanta. Quando eravamo giovani Neri Pozza. Pagine 176, € 17
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Margaret In quegli anni va di gran moda la Sardegna, soprattutto la Costa Smeralda, per la quale fece da smagliante testimonial Margaret d’Inghilterra, la sorella mondana e sparigliante della regina Elisabetta, che arrivò sull’isola invitata dall’Aga Khan, malvestita come solo lei poteva, con il marito Tony Armstrong-Jones al seguito, appena più composto di lei. Scarpe simil-ballerine che non esaltavano il suo metro e cinquantacinque, vestitini scampanati a fiorellini, camicioni ingoffanti, borsette a tracolla e borsoni, più un due pezzi malamente esibito in quelle acque trasparenti. Una serie di errori di stile che ne fecero subito il bersaglio delle impietose cronache di costume. Sarà la prima malvestita della stampa italiana. Ma si divertiva, nuotava, beveva e ballava».
Beatles «Recentemente, per gli ottant’anni di Bob Dylan, Paul McCartney ha ricordato la prima volta che i Beatles avevano fumato marijuana, iniziati proprio da Bob, già loro idolo e autore di Blowin’ in the Wind. “Era al Delmonico Hotel su Park Avenue e 59th, a New York, nell’agosto del 1964. Ci ritrovavamo in una stanza d’albergo, eravamo tutti dei bravi ragazzi che sorseggiavano scotch e cola – era un afterparty, credo. Dylan è arrivato ed è andato in camera da letto con il suo assistente. Ringo è andato a vedere cosa stava succedendo. Così trova Dylan, che stava girando una canna, e ha fatto un tiro. Quando è tornato, gli abbiamo chiesto: ‘Com’è stato?’. Ringo ha risposto: ‘Il soffitto si sta abbassando…’. Siamo corsi tutti nella stanza sul retro, dicendo: ‘Dacci un po’, dacci un po’!’. Quella è stata la prima sera in cui abbiamo fumato”. E poi è venuto il resto, il viaggio in India e la scoperta della meditazione trascendentale».
Droghe Erica Jong e la droga: «Le droghe erano ancora una cosa strana e nuova per noi. La stessa marijuana, la fumavano pochi e marginali, mentre la maggioranza tracannava birra. Poi, in meno di un decennio, la moda, perché forse bisogna chiamarla così, esplose. Un sempre maggior numero dei miei amici fumava, e molti di loro non erano del tutto miei amici, credo, perché io non fumavo. Piano piano le droghe assunsero un’importanza spropositata. Perché dovevo passare serate con uno che, invece di chiedermi cosa ne pensassi di Beethoven e di Picasso, mi doveva chiedere, nella prima mezz’ora ci avrei giurato, se fumavo?».
Scemarelli Alcune signore «andavano ancora dalla sarta che faceva i vestiti su misura: c’era tutta una gamma, dalle sartine di periferia a quelle che avevano saloni nei negozi del centro che vestivano la buona società. A Milano c’erano i nomi che andavano per la maggiore per una serata alla Scala, da Germana Marucelli a Jole Veneziani, che nel 1952 avevano partecipato alla prima storica sfilata di alta moda italiana organizzata da Giovanni Battista Giorgini presso la Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze, dove debuttava un ventenne talentuoso, Roberto Capucci. C’era la Biki che aveva reinventato nel look Maria Callas, Gigliola Curiel che andava famosa per i suoi piccoli abiti neri, i “curiellini” (rinominati “scemarelli” dalla giornalista di costume del tempo Camilla Cederna)».
Figlie «Come asseriva un astro nascente di genio che si sarebbe fatto interprete della nuova moda, Yves Saint Laurent: “Prima le figlie volevano assomigliare alle madri. Ora è il contrario”».
Vianello Edoardo Vianello e i suoi tormentoni estivi: «Le mie canzoni sono sul filo del rasoio fra l’essere idiote e l’essere geniali».
5. Fine
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