la Repubblica, 5 agosto 2023
La colonna infame di Manzoni
la Repubblica, lunedì 11 maggio 2020
Questi Frammenti sono tratti dal volume “Storia della colonna infame” di Alessandro Manzoni, edito da Oscar Mondadori (pagine 171, € 11,90).
Untore «La mattina del 21 di giugno 1630, verso le quattro e mezza, una donnicciola, chiamata Caterina Rosa, trovandosi a una finestra di via della Vetra de’ cittadini, vide venire un uomo con una cappa nera, e il cappello sugli occhi, e una carta in mano. Le diede nell’occhio che, entrando nella strada, si fece appresso alla muraglia delle case e che, a luogo a luogo, tiraua con le mani dietro al muro. “All’hora, soggiunge, mi viene in pensiero se fosse un poco uno de quelli che, a’ giorni passati, andauano ongendo le muraglie”. E, spostatasi in un’altra stanza, vide che quello, effettivamente, “teneua toccata la detta muraglia”».
Piazza L’uomo era un commissario della Sanità, di nome Guglielmo Piazza, «genero della comar Paola». S’era accostato al muro per ripararsi dalla pioggia. Ma, in quell’atto, l’aveva visto anche un’Ottavia Bono. Le due donne raccontarono d’essere uscite subito dopo e d’aver «visto imbrattate le muraglie d’un certo ontume che pare grasso et che tira al giallo».
Giudici A quell’epoca, non s’usava informare un arrestato delle accuse che lo riguardavano. Dunque al Piazza, portato per ordine del senato davanti al Capitano di giustizia, vennero fatte domande vaghe, concepite in modo che non capisse di che lo si sospettava. A queste domande, il Piazza diede risposte che il Capitano di giustizia giudicò “inverosimili”. E il giudizio di inverosimiglianza autorizzava ai “tormenti”, vale a dire alla tortura.
Tormentare Quanto ai modi di tormentare, spettava al Capitano di decidere, poiché «niente sta scritto nelle leggi nostre, né sulle persone che possono mettersi alla tortura, né sulle occasioni nelle quali possano applicarvisi, né sul modo di tormentare, se col foco o col dislogamento e strazio delle membra, né sul tempo per cui duri lo spasimo, né sul numero delle volte da ripeterlo».
Farinacci Il Farinacci, giureconsulto del ’500, sostiene che «i giudici, per il diletto che provavano nel tormentare i rei, inventavano nuove specie di tormenti (Judices qui propter delectationem, quam habent torquendi reos, inveniunt nova tormentorum species)».
Tormento Quindi il senato milanese decretò che «il Piazza, dopo essere stato raso, rivestito con gli abiti della curia, e purgato, fosse sottoposto alla tortura grave, con la legatura del canapo, atrocissima aggiunta, per la quale, oltre le braccia, si slogavano anche le mani». Sottoposto al tormento, il Piazza negò. Egli gridava: «“Ah Dio mio! ah che assassinamento è questo! ah Signor fiscale!... Fatemi almeno appiccar presto... Fatemi tagliar via la mano. Ammazzatemi, lasciatemi almeno riposar un poco. Ah! Signor Presidente!... Per amor di Dio, fatemi dar da bere”; ma insieme: “non so niente, la verità l’ho detta”. Dopo molte e molte risposte tali, a quella freddamente e freneticamente ripetuta istanza di “dir la verità”, gli mancò la voce, ammutolì; per quattro volte non rispose; finalmente potè dire ancora una volta, con voce fioca, “non so niente; la verità l’ho già detta”. Si dovette finire, e ricondurlo di nuovo, non confesso, in carcere».
Complice Infine, esausto, disse d’aver avuto un unguento dal barbiere Gian Giacomo Mora, che preparava unti contro la peste. Anche il Mora venne quindi arrestato e condotto ai tormenti. E infine i due vennero giustiziati col sistema della ruota: «Condotti al luogo del patibolo, le siano dal carnefice con una ruota ben ferrata spezzate ad uno ad uno tutte le ossa principali del corpo del cranio della testa in poi, poiché possino i loro corpi intessuti vivi fra i raggi di detta ruota».
Abolizione L’imperatrice d’Austria, Maria Teresa, abolì la tortura negli stati austriaci con decreto 2 gennaio 1776. Ma il senato di Milano vi si oppose e continuò a praticarla per altri otto anni.