Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  agosto 05 Sabato calendario

La linea gotica di Ottiero Ottieri*

la Repubblica, lunedì 18 maggio 2020
Questi Frammenti sono tratti dal volume “La linea gotica. Taccuino 1948-1958” di Ottiero Ottieri, edito da Guanda (pagine 295, € 20,00).
Cinquantenne «Musatti racconta di un cinquantenne bigotto che va da luglio nello studio e scoppia subito a piangere. Si è innamorato di una giovane modella dopo una vita casta, proba, senza errori e senza tradimenti. Ora è nonno. È esploso di colpo e vuole tornare giovane. Vuole redimere la fanciulla e ci va a letto. Vuole riportarla al padre il quale però è il suo magnaccia. L’altro ieri il cinquantenne l’ha aspettata mentre era salita in una pensione con un altro, ha aspettato un’oretta. A lei il cinquantenne ha detto di non avere né moglie, né figli, né nipoti (ha una moglie, tre figli, sette nipoti). Ha detto a Musatti: “ma io vivo soltanto adesso”».
Vedova «Fa quasi meno spavento la storia di una vedova e del suo figlio unico che vivono insieme e scommettono a chi si uccide prima. L’uno non crede alle minacce dell’altra. Ma il figlio alla fine si uccide. Allora la madre non ha più voglia di uccidersi e viene a raccontare a Musatti questa sua nuova, terribile volontà di vivere».
Nevrosi «Ho lasciato la letteratura, la casa agiata dei miei, la nevrosi di figlio unico (…) Solo, appoggiato con la testa sul tavolino dello scompartimento, dalla stazione scendo su una Milano nera dentro una malinconia nera (…) Sono un intellettuale di sinistra, sono venuto per esserlo, come uno va a frequentare una scuola in un’altra città... Roma è il mio essere, Milano il mio dover essere».
Diritti «Vivere consiste semplicemente nel tenersi diritti».
Socialisti «I socialisti che, in un’azienda, finiscono piano piano dalla parte del padrone. Caso di L., operaio che non crede più nel socialismo, ma non per questo diventa reazionario. Cioè, non crede più nella possibilità che le cose cambino (…) Sono accadute, in questi ultimi anni, tante prime avvisaglie, sconosciute, di fatti diventati pubblici e internazionali (1957).
Bravi «Uno dei problemi assillanti per un capo del personale è la carriera dei bravi: nessun capo se ne vuol privare, quindi nessuno li segnala per un avanzamento».
Incitamenti «Il marxismo è un incitamento all’odio. Il capitalismo non è però un incitamento all’amore».
Ambigui «Sto nella zona editoriale ambigua, abitata – come spesso nel giornalismo – da individui scontenti, spostati o falliti. Sono gli intellettuali-impiegati (alla cui schiera mi sono aggiunto), peste della società e di se stessi, angosciati angoscianti, monotoni anche se di vivace intelligenza, sbattuti fra la novità perenne della cultura e la routine, eternamente aspiranti ad una libertà che non si capisce se non si sanno meritare o se non venga data loro da un mondo incomprensivo e crudele: la libertà di “creare”. I profani s’ingannano quando credono che quello editoriale sia un lavoro più spirituale di tutti gli altri. Se la casa editrice non attraversa un periodo di eccezionale senso culturale, ne esce un’aria viziata di letteratura fredda e di mestiere. Lo scrittore-impiegato viene usato come una macchinetta che produce soffietti, avvisi pubblicitari. I libri non li legge, li fiuta rapidamente tanto per sentire l’odore e trasformarlo subito in pubblicità».
Convivenza «Giorno per giorno la politica si sfalda cedendo alla necessità della convivenza».
Colori «In piazza del Duomo uno scontro fra operai e polizia. I poliziotti in divisa sono verdi, gli operai in tuta sono blu. I borghesi come me sono protetti dall’abito grigio e anodino e, se stanno un po’ attenti, riescono a non prendere botte da nessuno» (1950).
Capo «Quando il capo ti sgrida, l’unica consolazione è la solidarietà dei compagni di lavoro. Ma uno o due ci godono sempre».