Corriere della Sera, 3 agosto 2023
Intervista a Lino Banfi
«Il mio documentario? Lo voglio intitolare: Lino, la vendetta». Lino Banfi sta lavorando, con Mario Sesti, al docu-film che ripercorrerà la sua carriera e la sua vita. «Ho detto a Mario: non devi farlo quando sono morto, è meglio farlo adesso che sono ancora vivo. Non sarà un lungometraggio, né un cortometraggio, sarà un largo-metraggio. Voglio far lavorare tutti i personaggi che sono dentro di me: dal Commissario Lo Gatto all’allenatore nel pallone, dal Pasquale Baudaffi del Vieni avanti cretino a Nonno Libero, e tanti altri... li interpreto tutti e li faccio rivivere. E poi, come Zagaria Pasquale, mi arrabbio con tutti loro, dicendo: voi esistete perché esisto io, se non ci fossi stato, sareste tutti morti di fame! E poi viene fuori anche mio padre».
Chi lo interpreta?
«Ovviamente io! Lui è scomparso una trentina di anni fa e, nel corso del largo-metraggio, mi comparirà. Gli chiederò: tu che ci fai qui? Mi risponderà: sono qui per parlar bene di te. Mio padre faceva il contadino ma affermava che, se avesse potuto studiare, si sarebbe laureato almeno cinque volte. Mi apparirà con occhiali e pizzetto, un vero intellettuale, comunicandomi che, in questi anni passati altrove, ha preso tre lauree. Sarà un Lino la vendetta a tutto tondo».
Anche contro quel cinema da cui non ha ricevuto i dovuti riconoscimenti?
«Qualche premio alla carriera l’ho ricevuto, ma non quelli “colti”: non ho fatto film d’arte, ho creato un genere di comicità che non esisteva, aprendo la strada a tanti altri. Mentre i napoletani e i siciliani sono stati più fortunati, avendo una tradizione teatrale importante, noi pugliesi no: prima di me, in Puglia, nessuno aveva creato una figura comica. Ma ho avuto un riconoscimento da Checco Zalone, mi adora e ha affermato: Lino ha aperto la strada alla “pugliesità”».
Il largo-metraggio lo considera un riconoscimento?
Vis comica
Avevo 7-8 anni durante
i bombardamenti: inventavo spettacolini
per i bambini piccoli
«Sogno che possa essere presentato a un festival di cinema importante».
Zalone un erede...
«Certo! Ma anche Pio e Amedeo e non perché foggiani. Sono nazionalpopolari come me e hanno più coraggio: parlano un linguaggio forte, che fa ridere, io non ne sarei capace».
Tra gli innumerevoli personaggi da lei interpretati, quello che più amato?
«Nonno Libero! Sono orgoglioso di questo ferroviere sanguigno, talmente amato, che la gente per strada mi chiama proprio così. All’estero è considerato un vessillo dell’Italia, come la pasta e il buon vino».
Il ruolo
che amo
di più
è Nonno Libero: ne sono fiero, la gente
mi chiama così
Il personaggio che ha amato meno?
«Non ricordo miei film brutti, nemmeno quelli cotti e mangiati. Non mi sono mai pentito delle commedie sexy, definite “zozzette”, ma per carità... Edwige Fenech, cara amica e compagna di scena, si faceva continuamente le docce, era pulitissima. E non venivamo nemmeno criticati, i critici ci ignoravano totalmente. Anche se poi, qualcuno di loro mi confessò che, di nascosto, andava a vedere quei film, perché si divertiva da matto».
Da chi ha ereditato vis comica e passione attoriale?
«Una passione innata. Quando c’era la guerra, avevo 7-8 anni, durante i bombardamenti scappavamo nei rifugi. Per non far piangere i bambini più piccoli, inventavo gli spettacolini con pupazzetti che costruivo io: li facevo ridere, non piangevano più. Poi sono entrato in seminario...».
Voleva prendere i voti?
Mai pentito delle commedie sexy, non erano zozze: Fenech faceva sempre
la doccia
«Macché! Volevo studiare, e infatti ho fatto il liceo classico, però ero impertinente e, insieme a un mio compagno, ne combinavamo di tutti i colori: salivamo di notte su un cornicione, per buttare un occhio nel convento vicino, per vedere le suorine carine. Eravamo scatenati, e ci dissero: meglio due ragazzi fuori dal seminario oggi, piuttosto che due cattivi preti domani. Addirittura il vescovo di Andria venne una sera, quando ne combinammo una delle nostre: io piangevo, temevo i rimproveri. Il vescovo disse: Zagaria perché piangi? La tua missione è far ridere».
E il nome d’arte glielo consigliò il mitico Totò...
«Verissimo. All’epoca lavoravo nell’avanspettacolo all’Ambra Jovinelli. Il padrone del teatro mi apprezzava molto e mi dette un bigliettino di presentazione per il Principe de Curtis. Andai a trovarlo a casa. Mi accolse elegantissimo nella sua vestaglia, mi chiese come mi chiamavo, risposi: Pasquale Zagaria, ma ho scelto Lino Zaga. Lui inorridì, sentenziando: nel mondo dello spettacolo accorciare il nome porta fortuna, accorciare il cognome porta jella. Seguii il consiglio. Banfi, poi, venne dal mio impresario: faceva anche il maestro elementare, dal registro di classe, tirò fuori il cognome del primo scolaro in lista».
Lei ha anche interpretato un testo teatrale drammatico: Il vespro della Beata Vergine.
«Mi volle Maurizio Costanzo, quando era direttore del Festival di Benevento. Non volevo farlo, essendo un personaggio impegnativo, poi fu impossibile dire di no a Maurizio, che mi manca tanto. Mi manca anche Silvio Berlusconi: ad ogni mio compleanno, mi telefonava per gli auguri e siccome ero più grande di lui di due mesi (io nato a luglio lui a settembre), esordiva dicendo: Ciao vecchio!».
Quest’anno la grave mancanza di sua moglie Lucia...
«Chiedo ai lettori del Corriere: aiutatemi a sognarla, sono trascorsi sei mesi dalla sua morte e ancora non ci riesco. Credo però sia molto impegnata a parlar bene di me con la gente giusta, e infatti mi stanno arrivano molte richieste di lavoro... insomma, sta lavorando molto in questo periodo e non ha tempo per venirmi in sogno».