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 2023  agosto 03 Giovedì calendario

L’intervista a don Matteo, figlio di Vittorio Prodi



BOLOGNA A Bebbio i bimbi sono tornati a giocare nella casa dei Prodi. Nipoti, pronipoti. «È la vita comunitaria che continua. Nove fratelli comprarono quel casone nel 1969. Continuano a crescerci le generazioni», racconta don Matteo. Suo padre Vittorio adesso è sepolto, insieme ai fratelli Paolo e Giorgio, nel cimiterino vicino alla casa sull’Appennino reggiano.
Don Matteo, 58 anni, ha celebrato il matrimonio di due dei tre fratelli, dei due figli di Romano, i 50 anni delle nozze di Romano con Flavia. Due giorni fa, ha celebrato il funerale solenne di suo padre Vittorio a Bologna e il saluto privato a Bebbio. Ora stringe la mano ad Alessandra, la mamma, nell’appartamento a Bologna, vicino a dove abitava il sindaco Zangheri, professori cattolici e comunisti di altri tempi. «L’omelia di un figlio – dice – credo sia l’ampliamento massimo di un rapporto. Ho detto messa per papà in casa, ne parlavamo. È terra, è cielo. Lo ha raccontato zio Romano al funerale di Flavia. Lo scambio non si interrompe».
Perché sulla bara c’erano la Bibbia e la Costituzione italiana?
«Sono la santità e la giustizia. Mio padre, prima ancora di mettersi in politica, come presidente dell’Azione cattolica ripeteva che dobbiamo pretendere, lottare, insegnare che per tutti ci sono il sacro e il giusto. La Costituzione era fra le cose di Matteo, il figlio di mio fratello Giovanni ucciso nel 2020 da un’auto. Aveva 18 anni. L’ha passata a suo nonno. È il lavoro, la pace, la laicità, la democrazia, l’ambiente, lo stato sociale».
E la Bibbia? Lei ha detto che suo padre ha avuto una vita bellissima: con un nipote morto, una malattia lunga.
«Lo diceva anche lui. Ha avuto una famiglia molto unita, con tragedie, ma fin dall’antichità il primo concetto di sopravvivenza, di resurrezione, è la discendenza. Matteino è un interrogativo insolubile. Suo fratello Paolino ha detto che adesso è una nuvola. Un altro bimbo racconta che il babbo morto ora vende stelle. Vittorio Prodi è diventato una stella. La fede è difficile, è riconciliazione».
Morale dei Prodi? Invidiabile?
«È riflettere su come stanno gli altri. Comunità, non roba nostra. Credo che ai Prodi l’imprinting venga dai nonni, da Enrica e Mario, hanno visto la guerra, i massacri, la miseria. Hanno insegnato a sgobbare e ricordare che non si è soli. Giorgio, l’oncologo, era il più intelligente, se ne è andato per primo. Difficile da accettare. Mio padre si entusiasmava per ogni risultato, grande o minuscolo».
E con Romano, il presidente, il Professore?
«Papà aveva una specie di venerazione. Era più pratico, era lo zio che giocava sempre con i nipoti; ma non aveva la stessa capacità di relazione. Avevano in comune non solo la bicicletta».
Lei nella Bologna di Biffi era considerato un ribelle.
«Un gran conservatore e fra le persone più intelligenti che ho conosciuto, con il cardinal Camillo Ruini e Giulio Andreotti. Parenti esclusi, si intende».
L’ex premier
Mio padre aveva una specie di venerazione
per lui, non aveva
la stessa capacità
di relazione, ma avevano in comune più della bici
Mica amici di Romano. Lei nell’omelia ha chiamato i giovani a fare figli e politica. Il secolo d’Italia l’ha applaudita contro i «talebani dell’aborto».
«Non è questione di aborto, non c’entra la politica, anche secondo la fede cristiana è il momento peggiore per un essere umano. La legge è una cosa, la profezia è un’altra. Fare figli è vita che resta, dolore che si condivide».
E perché ha detto «fateli con chi volete»?
«Il sorriso è necessario anche a un funerale. La famiglia allargata è un valore. Lo avevo già detto per Matteino, come speranza ai suoi coetanei. L’ho ripetuto».
Suo zio Romano ha detto che la politica non parla più ai cittadini.
«È vero. C’è poco pensiero, studio, riflessione, elaborazione. I giovani come fanno ad essere attratti?».
Il governo attuale può quindi durare?
«È plausibile».
Il Papa è inascoltato?
«È scomodissimo.. Parla di economia che uccide».
È diverso dal cardinale di Bologna, Matteo Zuppi, presidente della Cei, mandato in missione di pace per le capitali?
«La Chiesa ha sempre separato il momento profetico da quello diplomatico».