la Repubblica, 4 agosto 2023
Intervista a Claudio Gentile
Ci sono dolori e domande che restano dentro per una vita, nodi che non si sciolgono più. Claudio Gentile da 17 anni si chiede perché lo abbiano fatto fuori dalla Nazionale: dalla Under 21, che allenava, e dalla Nazionale A che gli avevano promesso. Se lo ripete ogni giorno, si può dire ogni momento. E non ha risposta.
Perché è successo, secondo lei?
«Avevamo vinto l’Europeo, avevamo conquistato il bronzo alle Olimpiadi, una medaglia che mancava al nostro calcio da 70 anni. Sette miei giocatori formavano l’ossatura dell’Italia campione del mondo nel 2006, ma io venni cacciato dalla sera alla mattina senza una spiegazione. Ma non senza un motivo».
Dunque, un sospetto lei ce l’ha.
«Avevo minacciato di denunciare alcuni procuratori che volevano offrirmi denaro, molto denaro, per convocare in Nazionale i loro giocatori. Li cacciai tutti! Io stesso non ho mai avuto un agente.
Guarda caso, da quel momento qualcuno me l’ha giurata».
Ha in mente un nome e un cognome?
«La risposta avrebbe dovuto darla Guido Rossi, che era commissario straordinario della Figc e decise di farmi fuori: ma purtroppo è morto.
Potrebbe chiarire qualcosa Demetrio Albertini, al quale spiegai che avevo ricevuto l’offerta di un club importante (la Juventus, ndr) e che mi invitò a rifiutare. “Abbiamo progetti importanti per te”, mi disse Albertini. Come no! Il progetto di distruggermi la carriera. Da chi prendevano ordini quei dirigenti? Sono stato ingenuo a non firmare un altro contratto e a non abbandonare la Figc. L’ho fatto per troppa correttezza».
Lei come reagì?
«A Guido Rossi ne dissi di tutti i colori, e sono parole che non posso certo riferire. Ma era il minimo.
Eppure, lo giuro, io non ho mai avuto neanche un nemico».
Da quel momento, Gentile non ha più allenato in Italia.
«Ricevo ancora messaggi di persone che mi chiedono perché.
La gente a volte mi ferma per strada e mi dice: “Ci sono asini che allenano e lei no, come mai?”. Non so cosa rispondere. Eppure, questi asini li vedo andare e venire, cadere e ritornare in ballo: questione di scuderie. Ma io ho sempre fatto da solo, e da allenatore ho permesso a tanti ragazzi di crescere e diventare uomini. Soltanto con uno di loro non è stato possibile, eppure passava per un genio del calcio».
Di chi stiamo parlando?
«Lasciamo perdere che è meglio».
Non le è bastata una medaglia olimpica?
«Quando a casa passo davanti a quel cerchietto di bronzo, mi girano soltanto le scatole. Ci sto ancora male da morire, forse più diprima. Sono vittima di una cattiveria gigantesca. Cosa ho fatto di male nella vita? Voi che siete giornalisti, aiutatemi a trovare una risposta. Forse ho vinto troppo? A chi ho dato fastidio?»
I procuratori erano una lobby così potente?
«La parola che mi viene in mente è mafia, senza neppure un Totò Riina al quale dare la colpa: io non so chi mi abbia fatto saltare in aria.
Rubavo? Ero corrotto? Ero antipatico? Me lo dicano. Almeno, dopo quasi vent’anni ne saprò finalmente qualcosa in più. Ma poi si preparino alle denunce dei miei avvocati».
Simpatico, Claudio Gentile non lo è mai stato.
«Passai per il killer del calcio,eppure nella mia carriera non sono stato espulso nemmeno una volta per gioco scorretto, mai una volta in 520 partite. L’unico rosso lo rimediai in Coppa dei Campioni con la Juve, per un fallo di mano volontario. Nonostante questo, venni inserito al quinto posto nella classifica dei difensori più violenti di tutti i tempi: che assurdità, che ingiustizia. Anche questa è una cosa che continua a ferirmi dopo tanto tempo».
Si sente solo?
«Un poco».
Pensa spesso a quei giorni del 1982?
«No, non tanto, io non sono uno che vive di ricordi. Sono gli altri, semmai, a riportarmi continuamente là, anche se sonogià passati più di quarant’anni.
Quando mi metto a contarli, quasi non ci credo».
E alla maglia strappata a Zico in quel memorabile Italia-Brasile 3-2, pensa mai?
«Diciamolo, era di carta velina, un tessuto delicatissimo. Appena la toccavi si rompeva. Zico se ne lagnò molto, ma l’arbitro gli diceva di pensare a giocare. Un’altra cosa: nella famosa azione della maglietta rotta, lui era in fuorigioco. Dunque, non esiste al mondo che fosse rigore, e infatti non venne assegnato. Zico lo sa».
Se lei non fosse stato il tipo di calciatore che era, la storia del nostro calcio sarebbe stata molto diversa, non crede?
«Se in Spagna non avessi fermatoZico e Maradona, senza fare male a nessuno dei due, vorrei sottolinearlo, non avremmo mai vinto il Mundial ’82. I tifosi mi dicono ancora grazie. Anche il presidente Pertini mi ringraziò sull’aereo di ritorno da Madrid. Mi disse: “Voi non vi rendete conto di cosa avete fatto per l’Italia”».
E l’Italia, in senso calcistico, cos’ha fatto per lei?
«Mi ha rovinato».
Gentile non fece a pezzi Maradona, forse è tempo di dirlo.
«Inizialmente dovevo marcare Mario Kempes, mentre Diego doveva toccare a Tardelli. Ma Bearzot alla vigilia cambiò idea. La sera prima della partita, venne in camera e mi fece un sacco di complimenti, io ascoltavo in silenzio e non capivo dove volesse andare a parare. Poi, di colpo mi chiese: “Claudio, te la senti di marcare Maradona?”. E io, d’istinto: “Mister, e dov’è il problema?”.
Quando Bearzot uscì dalla stanza, pensai: “Claudio, sei proprio un deficiente”».
Forse non così tanto, visto come andò a finire.
«La marcatura è un duello western, però serve anche tanta testa.
Sapevo che quel fenomeno, il più grande calciatore di tutti i tempi, lo avrei potuto fermare soltanto con l’anticipo. Non con le botte: con l’anticipo. Decisi che mi sarei messo sempre tra lui e il pallone: i compagni di Diego non dovevano riuscire a vederlo, io lo dovevo impallare e andò proprio così.
Maradona non l’ho picchiato, l’ho isolato. Gli ho creato il vuoto intorno».
Ora, il vuoto sembrerebbe attorno a lei.
«Vado in bicicletta tutti i giorni per sfogarmi e scaricare la rabbia, però serve a poco. È un momento difficile, ho anche mia mamma di 91 anni che non sta bene, non mi muovo mai da Como se non per pedalare per qualche ora».
E nel resto del tempo cosa fa?
«Non riesco a lavorare, mi basta quello che ho. Vado a vedere le partite dei ragazzini, è un modo per restare nell’ambiente. A volte segnalo a qualche amico dirigente i più bravi. Però, se guardo i genitori mi vergogno per loro».
Claudio, non le chiederemo se qualche volta il calcio la renda felice.
«Tutto passato, ed è un passato che non torna. Adesso ho solo un enorme nodo allo stomaco. Alcuni miei compagni e amici di allora hanno avuto altre occasioni, penso a Zoff, Tardelli, Oriali, Cabrini, Antognoni, Bruno Conti, Bettega, Graziani. Perché Gentile no? Ma io avevo vinto più di tutti sulla panchina azzurra. Sarei rimasto volentieri all’Under 21, non ci stavo male, anche se ormai la Nazionale A mi faceva gola. E invece mi hanno tolto di mezzo senza un perché».
Quando pensa a sé stesso, cosa le viene in mente?
«Un mistero. Io sono un mistero».