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 2023  agosto 04 Venerdì calendario

Inervista a Johnny Rotten

C’è una storia che pochissimi conoscono: Johnny Rotten, il re del punk, ha vissuto in Italia. In particolare a Roma, invitato dal regista Roberto Faenza a girare un film a Cinecittà, intitolato Copkiller (letteralmente “Uccisore di poliziotti”) in cui lui, ovviamente, recitava la parte dello psicopatico. Rotten, il cui vero nome è John Lydon, è stato l’artefice di una rivoluzione che ha attraversato il mondo: quella del punk. Il soprannome “Rotten”, ovvero “il marcio”, era legato al fatto che i suoi denti avevano una patina verdastra a causa di mancanza di utilizzo dello spazzolino. Questa storia («Ho rischiato di morire a causa della scarsa igiene dei miei denti») e molte altre, John Lydon le racconta nella lunga intervista pubblicata domani su Robinson. L’occasione è l’uscita (l’11 agosto) di un nuovo album dei PiL (Public Image Limited), la band da lui creata dopo la fine dei Sex Pistols, intitolato End of World a cui seguirà una lunga tournée che lo vedrà anche a Milano il 30 ottobre.
Ma torniamo alla storia dell’inizio quando, per una serie di incredibili coincidenze incontrò la comunità punk romana. Lo racconta Luigi Bonanni, creatore di un movimento diventato leggendario nella capitale, chiamato “Centocelle City Rockers”, e che, allora, suonava nella punk band dei Bads (e in seguito nei Garcon Fatal). Bonanni infatti, ebbe l’occasione di incontrare Lydon propriomentre lavorava al film.
Quando l’hai incontrato?
«Credo fosse il 1982, ero da poco tornato da Londra dove avevamo occupato una casa: eravamo una decina tutti di Roma. Sopravvivere a Londra non era facile, molti si davano al furto: dormivamo sopra i vestiti rubati a Carnaby Street».
Come è avvenuto l’incontro?
«Stavo al “Bar dei sorci” dove ci trovavamo per leccarci le ferite dopo Londra, arriva Nello e ci dice: “A Cinecittà stanno cercando gente per lavorare”. Io e un paio d’altri ci siamo andati. Pagavano benissimo».
Lì cosa facevi?
«L’attrezzista. Ci avevano assunti per
La Traviata di Zeffirelli: a un certo punto il set si riempiva di coriandoli e noi dovevamo pulirli ma, soprattutto, eravamo incaricati di costruire cinque enormi lampadari: c’erano decine di scatole piene di cristalli e noi dovevamo legarli con uno spago».
E poi cosa è successo?
«Un giorno tutto trafelato arriva Nello che mi fa: “Aoh al bar ce sta quel cantante con la faccia da matto che te piace a te!”. Io pensavo che mi prendesse in giro e gli ho risposto: “I cantanti che piacciono a me hanno tutti la faccia da matto”. E lui: “Ma nodavero.Vieni a vedere”. Mi faccio convincere e mentre stiamo per entrare nel caffè incrociamo quello che poi mi hanno detto era il regista, Roberto Faenza. Con lui Harvey Keitel e… Johnny Rotten! Lui mi vede, riconosce il mio look – ai tempi sembravo il suo amico Sid Vicious – eindica la mia maglietta dei Sex Pistols dicendo: “Hey, quella è roba mia!”.
Sembrava contento che ci fosse uno dei suoi e secondo me pure il regista era un po’ orgoglioso, infatti vedo che ridono e parlottano tra loro e poi ci salutiamo. Il giorno successivo mi intrufolo nel set diCopkiller e gli chiedo se gli va di bersi una birra con noi. Lui a sorpresa ci dà appuntamento al suo hotel».
E così vi siete trovati?
«A quel punto ho chiamato un altro dei Centocelle, Amedeo. John indossava un basco, occhiali da sole e pantaloni larghi e delle strane scarpe in stile indiano. Tanto che Amedeo, un po’ attonito fa: “Ma che, c’ha le scarpe da fricchettone?”. Johnny capisce e gli risponde: “Le scarpe che indossi tu (lecreeper, tipiche scarpe da punk) io le mettevo cinque anni fa”.
Figuraccia! Ma in realtà il ghiaccio era rotto. Andiamo in una birreria vicina dove beviamo Peroni in bottiglia, allora non c’era altro ma lui sorrideva. Comunque non stava molto bene: si muoveva a scatti e poi, a un certo punto, fa una cosa stranissima… Prende della birra e inizia a mettersela sulla testa. E noi: “Aoh guarda che sta a fa’JoniRotten!”. Eravamo dei provinciali coatti e lui era una divinità che aveva creato tutto ciò in cui noi credevamo perché il punk non era solo una musica ma un modo di vivere».
Vi siete rivisti ancora?
«Sì, un’ultima volta. Ci era venuta un’idea delirante: qualche giorno dopo lo andiamo a prendere con una macchina coinvolgendo uno di noi che aveva una Prinz verde.
Lo volevamo portare al Uonna Club: il posto dove si trovavano tutti i punk di Roma. Così lo carichiamo sulla Prinz ma dopo un po’ lui sbrocca. Inizia a dire: “Please! Please!” e a tirare capocciate sul finestrino. La situazione era surreale. A quel punto lo abbiamo riportato indietro».
E lui a quel punto?
«Contento. È voluto tornare alla solita birreria, se n’è scolate un bel po’ e poi è tornato in hotel. Poi però è successa una brutta cosa…».
Davvero?
«Sì, perché la voce si era sparsa ormai e alcuni punk hanno organizzato per andare a trovarlo a Cinecittà e farsi delle foto con lui ma di nascosto, di fatto paparazzandolo. Io non ci sono voluto andare. Alcune di quelle immagini poi qualcuno le ha vendute ai giornali e a quel punto Lydon s’è incazzato e non si è più fatto vedere.
Credo abbia addirittura cambiato hotel. Però anche in quell’occasione ho imparato una cosa…».
Che cosa?
«Che non serve la divisa da punk per essere punk. Johnny il suo essere punk lo portava dentro: i vestiti non contavano, era vero. Al contrario di altri vestiti da punk che lo hanno svenduto per un piatto di lenticchie.
Essere anticonformisti vuol dire non essere schiavi di nessuna regola. Per questo l’incontro con Rotten è una lezione che non ho mai dimenticato».