la Repubblica, 3 agosto 2023
Sesso, mullah e videotape i filmati che svelano l’ipocrisia al potere in Iran
Una serie di leak sulla vita sessuale di funzionari e mullah sta mettendo in imbarazzo le autorità iraniane. Cresce il numero di chi denuncia l’ipocrisia del sistema – in un Paese in cui l’omosessualità è vietata e punita – mentre il governo è impegnato in una nuova campagna contro le donne che non indossano il velo.
La storia inizia nella provincia di Gilan, nel Nord dell’Iran, dove Reza Tsaghati si occupava di far rispettare i “valori islamici” per conto del ministero della Cultura e dell’orientamento islamico e organizzava workshop su “hijab e castità”. Cinque giorni fa è stato sospeso dall’incarico dopo la diffusione online di un video che lo mostrerebbe mentre ha rapporti sessuali con un altro uomo. Condiviso migliaia di volte, è stato pubblicato da un canale Telegram legato dell’opposizione in Germania, Radio Gilan. Non è possibile verificare in modo certo e indipendente se la persona nel video sia Tsaghati, ma è stato lo stesso ministero della Cultura, indirettamente, a chiamarlo in causa sostenendo che non c’erano stati “rapporti negativi” sul suo conto prima di questo episodio. L’ufficio di cui Gilan era responsabile ha rilasciato una dichiarazione parlando del «sospetto passo falso del direttore dell’orientamento islamico». Il caso ora è in mano alle «autorità giudiziarie per un attento esame», scrivono i funzionari, accusando chi ha diffuso il video di voler «indebolire l’onorevole fronte culturale della Rivoluzione islamica».
Pochi giorni prima un altro mullah dello stesso dipartimento “anti-vizio”, Mehdi Haghshenas, era stato messo da parte con discrezione per lo stesso motivo: immagini di un suo rapporto intimo con un altro uomo diffuse online. Di Haghshenas molti si ricordano perché fu particolarmente solerte nel condannare Vida Movahed, una delle prime attiviste contro il velo obbligatorio, arrestata quando nel 2017 si tolse l’hijab e salì su una colonnina elettrica sventolando un velo bianco in segno di protesta.
I leak hanno suscitato un’ondata di indignazione. Sotto accusa non c’è, ovviamente, l’omosessualità. Tutt’altro. «Questi casi devono servire a denunciare l’ipocrisia del sistema, che reprimeogni libertà e impone con la forza la sua presunta morale, e a far fare un passo avanti sui diritti Lgbt+ in Iran», spiega Arash, attivista iraniano che vive in Europa.
L’Iran è uno dei Paesi al mondo con le leggi più severe contro l’omosessualità, punita nei casi più espliciti anche con la pena di morte. La comunità Lgbt+ deve affrontare discriminazioni quotidiane, pure esporre una bandiera arcobaleno può comportare un alto rischio. Gli ultraconservatori fanno della battaglia uno dei cardini della retorica anti-occidentale. In un recente viaggio in Uganda, il presidente Ebrahim Raisi ha accusato le nazioni occidentali «di promuovere l’idea dell’omosessualità» per «porre fine alla generazione degli esseriumani».
L’affaire Tsaghati arriva a quasi un mese dall’anniversario della morte di Mahsa Amini, la 22enne arrestata un anno fa dalla polizia morale perché non indossava correttamente il velo e deceduta due giorni dopo in ospedale. Il movimento pro-democrazia nato dal quel lutto si è battuto per mesi chiedendo l’abolizione delvelo obbligatorio e più diritti politici e civili. La disobbedienza civile ha contagiato diversi settori, e in molte parti del Paese le donne si rifiutano di indossare l’hijab. Il governo inventa nuove punizioni, dal sequestro della patente al blocco del conto corrente, ma fatica a reprimere una generazione che rivendica libertà di scelta.