la Repubblica, 3 agosto 2023
Il libro paga di Gelli
La strage del 2 agosto 1980 per la natura dei suoi mandanti e finanziatori, e per la collocazione politica degli esecutori va inserita nell’ambito di una strategia dell’eversione fascista a “mezzo corruzione”. Perché il mandante Licio Gelli non ha agito solo per un interesse strettamente personale. Lui, che era il capo della Loggia P2, era parte di un sistema di potere occulto che attraverso la sua associazione segreta perseguiva un progetto più ampio, e di cui la bomba alla stazione è stato uno dei cardini. Il sistema di potere occulto è quello che ha portato avanti la nera strategia della tensione, una sorta di guerra civile condotta dagli ambienti che intendevano ostacolare qualsiasi alternanza di potere, ma soprattutto la democrazia.
Fulcro di tutto è un biglietto scritto di proprio pugno da Licio Gelli, che i magistrati della procura generale guidata da Ignazio De Francisci hanno decifrato con la collaborazione degli investigatori e da questa rilettura di nomi e cifre hanno completato il quadro stragista bollato dall’eversione nera, in particolare dai Nar.
La P2 all’epoca controllava i vertici dell’intelligence civile e militare e alcuni di loro, come oggi è storicamente accertato, agivano sulla base delle direttive impartire da Gelli, il quale era riuscito ad attrarre all’interno della loggia massonica anche altissimi ufficiali dell’Esercito e dell’Arma e ciò assumeva un peso notevole dal punto di vista strategico. La manovalanza criminale per attuarlo fu costituita da uomini dei Nar: i capi, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, e il loro complice allora diciassettenne Luigi Ciavardini. Un altro processo ha condannato all’ergastolo il quarto killer neofascista, Gilberto Cavallini. E in fine Paolo Bellini. Cinque esecutori fascisti. Cinque neri. Si ritiene che siano stati appoggiati anche da altri soggetti che sono ancora ignoti, tutti coordinati da esponenti dei servizi segreti o di altri apparati deviati dello Stato.
Per la prima volta viene documentata una prova che conduce alla retribuzione economica di coloro che parteciparono come autori materiali alla strage. Gli stragisti fascisti per piazzare la bomba percepirono una somma di denaro. Tutto questo è stato possibile ricostruirlo grazie al biglietto manoscritto trovato in tasca a Gelli. È stato chiamato il “documento Bologna”, occultato per oltre quarant’anni, venuto alla luce grazie all’impegno dell’associazione dei familiari delle vittime di cui è presidente Paolo Bolognesi, portando i magistrati a riaprire l’inchiesta.
Un “pizzino” in cui Gelli ha scritto da dove arrivano i soldi e a chi sono stati versati. Un appunto che svela i contatti con i fascisti, i massonie gli agenti corrotti. Una prova che ha portato a rimettere in fila l’origine e la destinazione di cinque milioni di dollari. Il prospetto contabile (che aveva un uso non solo di riepilogo spese ma anche ricattatorio) è stato sequestrato al venerabile nel giorno del suo arresto in Svizzera il 13 settembre 1982. In tasca ha diverse carte che gli consentono di ricattare i “pezzi” importanti del Paese. Il “pizzino” scompare, viene dimenticato nei fascicoli. Sparisce per anni, fino a quando riappare grazie all’analisi digitale di ogni foglio di questa mastodontica montagna di carte fra Milano e Bologna.
Nel “documento” è indicato alfianco del nome, il numero di un conto corrente svizzero e somme versate a personaggi che alla strage sono stati abbinati. E così viene attestata l’esistenza di un movimento di denaro per complessivi 15 milioni di dollari. E poi c’è il depistaggio dell’inchiesta, che coinvolge un altro Nar, Massimo Carminati. Sul treno Taranto-Milano fermo a Bologna, viene fatta trovare una valigia piena di armi ed esplosivo. Servizi deviati e P2 creano questo diversivo per accreditare una pista terroristica internazionale e tirare fuori dai guai lo psichiatra Aldo Semerari, coinvolto nella rete dei neofascisti. Nel 2001 la Corte d’assise di Bologna assolve Carminati dal delitto di calunnia aggravata, perché il fatto non sussiste. E dichiara di non procedere nei suoi confronti per detenzione e porto di armi clandestine ed esplosivi, escluse le aggravanti contestate, per intervenuta prescrizione. In sintesi, per i giudici Carminati ha effettivamente prelevato un mitra dall’arsenale Nar-banda della Magliana a Roma, ma non è del tutto provato, nonostante la testimonianza dei pentiti, che fosse lo stesso mitra nascosto sul treno a Bologna. Così cade l’aggravante del depistaggio anche per gli altri imputati.
La sorpresa maggiore delle ultime risultanze investigative fatte a Bologna è il ruolo di “organizzatore” della strage attribuito a Federico Umberto D’Amato, per anni capo dell’Ufficio affari riservati, anche lui iscritto alla P2, morto nel 1996.
La commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi certifica che il prefetto D’Amato, che il Venerabile chiamava “Zaf”, aveva «rapporti stretti e costanti con Licio Gelli» e altri personaggi chiave della loggia, come il banchiere Calvi, che lo frequentò fino agli ultimi giorni.
In conclusione, tutto è girato intorno ai soldi, e gli estremisti di destra che hanno agito erano interessati più alla percezione del denaro che agli ideali nazional-rivoluzionari. Si arriva ai ricatti allo Stato. E in mezzo ci sono 85 vittime innocenti del 2 agosto 1980.