la Repubblica, 2 agosto 2023
Intervista a Brigit Hamer, la sorella di Dirk
Birgit, ne valeva la pena?. «Sì,con tutto il cuore. Oggi mio fratello Dirk riposa più dolcemente in pace». Lo sguardo fiero di Birgit Hamer abbraccia l’aranceto che circonda la sua “casita” nella campagna andalusa. «Ho lottato per 45 anni, ho gridato contro l’ingiustizia, ho perso nei tribunali, sono stata denunciata, calunniata, ero Davide contro Golia, oggi però il mondo intero conosce le colpe di Vittorio Emanuele di Savoia.
Quella notte in cui Dirk iniziò a morire e la verità venne gettata nei fondali dell’isola di Cavallo, io ero lì, accanto a lui, nessuno è più riuscito a spegnere la mia voce».
Alhaurin El Grande, trenta chilometri da Malaga. Quanto sembra lontana la Corsica da questa cittadina di case bianche e frutteti.
Non però nel ricordo di Birgit Hamer, 65 anni e l’eleganza intatta da ex modella. Ogni attimo della notte tra il 17 e il 18 agosto del 1978, quando un proiettile partito incidentalmente dalla carabina di Vittorio Emanuele ferì a morte Dirk Hamer, 19 anni, giovane e bellissimo fratello di Birgit, è cristallizzato nella sua memoria.
«Sull’isola di Cavallo è finita la mia giovinezza». Birgit mostra un ritratto di Dirk, dipinto da sua figlia Delia. A quasi mezzo secolo da quella tragedia, da cui l’erede al trono d’Italia uscì assolto, un documentario su Netflix firmato da Beatrice Borromeo, e la pubblicazione, dopo anni di sequestro del libro di Birgit Hamer, entrambi dal titolo “Ilprincipe”, hanno riaperto una pagina di storia densa di ombre e segreti.
Birgit, oggi lei dice che Dirk ha finalmente avuto giustizia. Perché?
«Il documentario di Borromeo, così ricco e documentato, ha per la prima volta svelato cosa accadde davvero la notte in cui mio fratello fu ferito a morte. I testimoni di allora, che mai avevano parlato, hanno raccontato ogni dettaglio, dagli spari alla vergogna dei soccorsi che non arrivavano. Mai così dettagliata è stata la descrizione dell’agonia di Dirk. E i depistaggi, l’occultamento delle prove, fino alla farsa del processo del 1991 in Corte d’Assise a Parigi che “in dubbio pro reo” ha assolto Vittorio Emanuele».
Assolto, sempre. Anche nel 2006 quando fu arrestato dal procuratore Woodcock per associazione a delinquere.
«Però proprio in prigione a Potenza Vittorio Emanuele non sapendo di essere intercettato raccontò al suo compagno di cella di aver “fregato” i giudici francesi e di essere stato lui asparare il colpo che ferì a morte Dirk.
I suoi avvocati smentirono, ma trovammo un video di quella intercettazione. Tutto questo è pubblico. Si dice che chi muore giovane è caro agli Dei. Dirk era un ragazzo puro, un atleta, un pittore.
Non può essere dimenticato».
Quindi la verità sempre negata nelle aule dei tribunali sulla morte di Dirk oggi emerge da un libro e un documentario?
«Dopo 45 anni finalmente esiste un racconto obiettivo di come e perché morì mio fratello. Sarà adesso il mondo a giudicare i fatti di Cavallo. Il documentario è ovunque ai primi posti. Ho vinto contro i Savoia che avevano chiesto il sequestro del mio libro, l’ha pubblicato un editore coraggioso, Francesco Aliberti, Basta leggerlo per conoscere la mia verità. Ho vissuto da guerriera, vorrei trovare pace».
Riannodiamo il filo dei ricordi.
Roma, fine anni Settanta.
«Con mia madre Sigrid e i miei tre fratelli vivevamo in via Margutta. Imiei si erano separati, così ci siamo trasferiti da Heidelberg a Roma. Anni spensierati. Sembrava sempre primavera dopo il freddo della Germania. Facevo la modella, Dirk e gli altri fratelli frequentavano la scuola tedesca».
Suo padre Geerd Hamer è stato un medico discusso, radiato e poi arrestato per le sue teorie sulla cura del cancro.
«Non voglio parlare di lui come medico, ma soltanto come padre. È stato terribile. La battaglia per Dirk ci ha divisi per sempre. Accettò dei soldi da Vittorio Emanuele per le cure di mio fratello, ero contraria, sapevo che sarebbero stati usati contro di noi. Ma ha assistito eroicamente Dirk senza mai allontanarsi dal suo letto. Diciannove operazioni e l’amputazione della gamba. E pensare che Dirk era un corridore, si allenava nei 400 metri con Pietro Mennea».
Come ricorda le estati in Sardegna?
«Nell’agosto del 1978 mia madreaffittò una piccola casa a Porto Rotondo. Frequentavamo i tanti ragazzi romani che l’estate si trasferivano lì, era un po’ una jeunesse dorée,ci divertivamo. Il maledetto 17 agosto un amico di Dirk ci propose una gita all’isola di Cavallo, in Corsica. Partimmo con tre barche, il Coke, Il Mapagià e il Master».
Cavallo era il “feudo” estivo di Vittorio Emanuele, da lì guardava l’amata e odiata Italia. Cosa accadde quella notte?
«Il mare grosso ci aveva impedito di tornare in Sardegna. Decidemmo di accamparci nelle barche per dormire a Cavallo. Molti di noi avevano soltanto il costume addosso.
Qualcuno per andare a riva aveva preso in prestito un gommone legato a uno yacht vicino alle nostre barche.
Peccato che quel canotto fosse di Vittorio Emanuele. Questo scatenò l’ira del Savoia».
Nel libro scrive di aver sentito il principe gridare: “Italiani di merda, avete preso il mio Zodiac, vi ammazzo tutti”.
«Ci fu un primo sparo, poi un secondo durante una colluttazione con Nicky Pende, ex marito di Stefania Sandrelli che aveva provato a fermare Vittorio Emanuele. Uno di quei proiettili colpì Dirk che dormiva nella barca vicina e gli recise l’arteria femorale».
Morì il 7 dicembre del 1978. Dopo un’agonia di 111 giorni.
«Ricordo che corsi sul “Mapagià” e presi mio fratello tra le braccia. Mi fissava con i suoi grandi occhi blu, mentre faceva uno sforzo sovrumano per sopportare il dolore. Era eroico».
È vero che nella prima fase Vittorio Emanuele riconobbe le sue responsabilità?
«Il Savoia viene arrestato e portato nel carcere di Ajaccio. Il 28 agosto 1978 scrive di suo pugno: “Riconosco la mia responsabilità civile per l’infortunio del 18 agosto 1978 accaduto al signor Hamer”.
Documento poi scomparso, ma che i giornalisti fotografarono».
Lei impiegò 13 anni per far celebrare il processo in Francia.
«Anni di rimpalli tra tribunali, nessuno voleva portare alla sbarra un Savoia. Ci riuscì la mia tenacissima avvocata Sabine Paugam. Avevamo montagne di prove, ma loro erano troppo potenti. Politica, aristocrazia e massoneria si mobilitarono per depistare il processo. Fu una farsa.
Vittorio Emanuele è stato assolto. Si parlò di una seconda pistola, inesistente invece. Mia madre era morta nell’attesa di avere giustizia.
Lei e Dirk riposano insieme nel cimitero acattolico di Roma.
Finimmo in pezzi».
Perché abbandonò la sua carriera di indossatrice?
«Quella vita morì dentro di me con l’agonia di Dirk».
Ha trovato pace in Andalusia?
«Volevo crescere le mie figlie Delia e Sigrid nella tranquillità. Depongo la spada. A Dirk fu tolto il diritto di vivere, oggi la verità è sotto gli occhi di tutti. Ora posso cominciare a vivere anche io».