la Repubblica, 2 agosto 2023
Da Scampia al Corviale quei progetti cancellati che tradiscono le periferie
— Risale alla fine degli anni ‘80 la decisione di abbattere le famigerate Vele di Scampia, il complesso residenziale alla periferia nord di Napoli che nelle intenzioni del progettista, il geniale architetto Franz Di Salvo, doveva far rinascere quel pezzo di città marginale e degradata, costruendo una serie di servizi utili a fare comunità intorno ai piccoli alloggi ricavati in sette grandi edifici dalla forma iconica: aree verdi, spazi comuni ogni sei piani, centri ricreativi, campi sportivi, chiese e ludoteche. Peccato che nulla di tutto questo venne realizzato, i blocchi furono messi uno attaccato all’altro, sacrificando aria e luce negli appartamenti, che il Comune iniziò a consegnare senza averli prima completati, sprovvisti persino di luce e gas.
Un film che si rischia di replicare adesso che il governo ha deciso di definanziare gli interventi del Pnrr destinati ai Piani urbani integrati: 2,5 miliardi per risanare le periferie più disperate, che si aggiungono ai 3,3 miliardi tagliati alla rigenerazione urbana, migliaia di progetti per ridurre l’emarginazione sociale. A Napoli era tutto pronto: a ottobre sarebbe dovuto partire il cantiere per abbattere le ultime due Vele (una resterà in piedi), che versano in condizioni precarie, per sostituirle con 433 case popolari nuove di zecca e restituire servizi e dignità a migliaia di partenopei che vivono in quel pezzo di Gomorra. Un sogno che l’esecutivo Meloni ha deciso di infrangere. Insieme a quello di milioni di abitanti delle zone più difficili d’Italia, che si erano fidati degli impegni dello Stato: nuove strade, piazze ristrutturate e finalmente agibili, ritrovi per ragazzi, biblioteche. Tutto cancellato con un tratto di penna. Nello stesso modo brutale con cui 169 mila famiglie hanno appreso, via sms, della revoca del reddito di cittadinanza.
È questa la questione cruciale. A fare le spese della revisione del Piano di ripresa e resilienza sono i più fragili, i più poveri, quelli che sui tanti piccoli progetti davvero ci contavano per migliorare la qualità della propria vita. È a loro che il ministro Raffaele Fitto dovrà spiegare perché a Bari non si potrà demolire l’ex stabilimento Fibronit, altrimenti detto “fabbrica della morte” perché lì si producevano manufatti in amianto, per realizzare un’immensa area verde già ribattezzata Parco della rinascita. O perché a Venezia si dovranno mettere da parte i 3 milioni stanziati per riqualificare piazza Mercato, abbattendo gli edifici abbandonati che la circondano, immagine plastica di un’area degradata che doveva lasciare il posto anche a una struttura polivalente, con un mercato coperto, una biblioteca e una ludoteca per i bambini. Mentre a Genova è finita a rischio la riqualificazione del centro civico Buranello, per favorire l’aggregazione sociale in un’area degradata. Ancora, a Torino, la rinuncia a 250 milioni per il rifacimento di 19 biblioteche, ma anche per la manutenzione di impianti sportivi. E a Roma ballano 230 milioni, per offrire un riscatto a chi abita nel Serpentone di Corviale e nelle case popolari di Tor Bella Monaca.
È sterminato l’elenco dei progetti che la destra ha deciso di stralciare, con la promessa di un ripescaggio, affidato ai fondi di Coesione e a una trattativa con l’Europa dall’esito tutt’altro che scontato. Fitto sostiene che una parte di questi fondi rischia di risultare incompatibile con il Pnrr. Altri progetti devono liberare risorse perché datati e fermi. Va spostato tutto su RepowerEU, il nuovo capitolo del Piano da 19,2 miliardi che assorbirà i 13 miliardi scippati agli enti locali. Nonostante l’Anci, da giorni, è lì a ricordare al ministro, con numeri e relazioni, che i progetti stanno andando avanti.
Lo spostamento del baricentro è chiaro: meno soldi agli emarginati, più risorse alle imprese e alle partecipate di Stato. È il gran favore a Confindustria. È, ancora, la consegna di un pezzo del Pnrr ai colossi pubblici, per l’incapacità dei ministeri di spendere i soldi. Da questi progetti nasceranno maxi opere che serviranno a ridurre la dipendenza energetica dalla Russia: reti elettriche e gasdotti, faraoniche nei progetti e nelle ambizioni, opere da sempre ostili ai territori perché percepite come distanti, invasive, di fatto un tributo locale da pagare in nome di un interesse nazionale che spesso e volentieri si è configurato come un interesse di pochi. Invece a Fiumicino, alle porte della Capitale, i cittadini si sarebbero accontentati di molto meno, di vedere spesi 8 milioni per riparare un palasport che cade a pezzi e mettere in sicurezza una scuola. Era il Pnrr, la grande occasione. Era, prima del tratto di penna.