La Stampa, 3 agosto 2023
La campagna di Trump
Oggi pomeriggio, alle 16:00 ora locale, Donald Trump dovrà comparire in un tribunale di Washington, dove sarà formalmente incriminato di molteplici reati, tra cui svariati tentativi di cospirazione volti a rovesciare il legittimo risultato delle elezioni presidenziali del 2020.
Prima ancora di mettere piede nella capitale, l’ex presidente avrà però iniziato a raccogliere milioni di dollari online, dipingendosi come la vittima di un accanimento giudiziario, una vera caccia alle streghe. Di nuovo racconterà bugie, di nuovo lancerà accuse infondate contro la famiglia Biden. Ha avuto persino il coraggio di paragonare l’incriminazione alle persecuzioni che si consumavano nella Germania nazista. Con Trump non c’è mai un limite, non si tocca mai il fondo. Continua a scavare, sempre più in basso.
Ma cosa significa quest’ultima incriminazione per lui, per l’America e per il mondo intero? Riuscirà lo stesso a ottenere la nomination repubblicana e a candidarsi alla Casa Bianca nel 2024? E davvero potrebbe battere Biden?
(La risposta alle ultime due domande è sì, può conquistare la nomination repubblicana, e sì, ha una piccola chance di battere Biden, secondo gli ultimi sondaggi).
Bisogna stare ben attenti a non confondersi sulla gravità delle incriminazioni: queste ultime sono di gran lunga le più pesanti che Trump abbia dovuto affrontare finora, ben più serie rispetto all’accusa di aver nascosto piani di guerra top secret o di aver cospirato per distruggere le prove del suo tentativo di intralcio alla giustizia.
Come ha spiegato il procuratore speciale Jack Smith in una breve dichiarazione, qui si parla di cospirazione per negare al popolo americano il diritto di scegliere il proprio presidente, bloccando il processo di certificazione dei risultati delle elezioni.
Trump e i suoi complici (Rudy Giuliani non viene nominato, ma c’è) sono accusati di aver cospirato per utilizzare false liste di «elettori fantoccio» in diversi Stati per cambiare il risultato del Collegio, e quindi l’esito generale delle elezioni del 2020.
Non ci sono riusciti, ma ci hanno provato.
Tali azioni, come ha rimarcato il procuratore speciale Jack Smith, rappresentano un attacco alle istituzioni statunitensi e allo stesso iter democratico.
«L’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021 è stato un assalto senza precedenti alla sede della democrazia americana», ha dichiarato Smith ai giornalisti mercoledì, «ed è stato alimentato da menzogne, menzogne dette dall’imputato». Ovvero Trump.
A pagina 33 delle 45 di cui è composto l’atto, si citano le parole di Trump che al telefono il 1 gennaio 2021 ordina al suo vicepresidente Mike Pence di rifiutarsi di procedere con la certificazione il 6 gennaio. Pence esita, ribatte che non ha l’autorità per cambiare il risultato delle elezioni, e Trump gli sgrida: «Sei troppo onesto!».
È chiaro che la fonte di questo scambio è Pence stesso, interrogato sotto giuramento dal procuratore Smith. È probabile che in un futuro processo Mike Pence verrà chiamato a testimoniare e dovrà confermare la sua versione degli eventi. Un star witness.
È la terza volta che Trump viene accusato di condotte criminali da marzo, quando un Gran Giurì di New York lo ha incriminato per aver falsificato i registri aziendali allo scopo di effettuare un pagamento sottobanco in favore di una pornostar. A giugno altra incriminazione da parte di un Gran Giurì federale di Miami, con l’accusa di aver gestito in modo illecito documenti top secret e di aver ostacolato i funzionari del governo che volevano rientrarne in possesso. Le nuove accuse di Washington sono invece incentrate sul tentativo di Trump di bloccare la certificazione ufficiale di un’elezione presidenziale.
In un qualsiasi Paese normale, alla luce di tutto questo sarebbe impensabile che Trump possa ancora aspirare a diventare il candidato repubblicano per la Casa Bianca nel 2024. Eppure a oggi è lui il favorito, e con ogni probabilità continuerà a esserlo: può contare sul 54% dei consensi degli elettori repubblicani, mentre lo sfidante che gli è più vicino nei sondaggi, il governatore della Florida Ron DeSantis, si ferma al 17%. Gli altri, tra cui Mike Pence e Nikki Haley, raggiungono a malapena il 2 o il 3 percento.
La maggioranza dei repubblicani oggi vuole Trump come candidato. Gli esponenti più famosi del partito, a eccezione di Chris Christie, si rifiutano di prendere posizione contro l’ex presidente. Hanno paura di alienarsi le simpatie della componente trumpiana del loro elettorato.
In questa lunga estate di incriminazioni c’è un altro grande caso che dev’essere ancora annunciato: un Gran Giurì di Atlanta, in Georgia, dovrebbe incriminare Trump insieme a molte altre persone con l’accusa di aver cospirato per cambiare il risultato delle elezioni del 2020 nello Stato di Georgia, e di aver creato dei falsi elettori, tramite i quali rovesciare il verdetto del voto.
Accuse pesanti, anche queste. Se verranno supportate da audio o video – come appare scontato – potrebbero sfociare in una condanna a carico di Trump.
Ci abitueremo presto a questa sfilza apparentemente infinita di processi, ormai è evidente. I prossimi mesi saranno molto impegnativi per Trump, che si troverà costretto a saltare da un’aula di tribunale a un comizio. Ha già dichiarato che se verrà rieletto potrebbe concedersi la grazia da solo e assolversi da ogni crimine federale, mettendo così una pietra tombale sopra i processi. Ma questo appunto vale solo per i reati federali: purtroppo per lui, per quelli statali neppure il presidente può graziare se stesso. Sotto molti aspetti si può dire che si candida per la Casa Bianca per non finire in prigione. Sembra la sceneggiatura di un brutto film.
E adesso diamo un’occhiata al calendario: il processo per i fatti del 6 gennaio si terrà probabilmente nel bel mezzo della campagna elettorale del 2024. Jack Smith ha richiesto «un processo rapido», ma Trump deve già affrontare quello per frode fiscale che avrà inizio a New York nel marzo del 2024, e pure quello per il caso delle carte segrete di Mar-a-Lago, che comincerà in Florida a maggio. Se si aggiungono gli altri due previsti sempre nel 2024 ad Atlanta e a Washington, non è difficile prevedere che la campagna elettorale di Donald Trump sarà un caotico, frastornante circo.
L’autoritario tycoon non farà una campagna elettorale seria. Anzi, la incentrerà tutta su se stesso. Sarà una campagna folle, brutta. Trump cercherà di trasformare le elezioni presidenziali in un referendum nazionale sulla sua figura. In realtà il punto focale della contesa sarà proteggere la democrazia americana da lui. Siamo davanti a un uomo che non crede nello Stato di diritto, così come non crede nelle istituzioni della democrazia americana.
Trump ha qualche possibilità di vincere nel 2024? Di certo è sulla buona strada per strappare la nomination repubblicana. Nessuna incriminazione e nessuno scandalo sembrano troppo clamorosi per i suoi seguaci, simili ai membri di una setta. I più intelligenti nel partito repubblicano tengono un basso profilo a Washington e si cuciono la bocca.
Ma davvero Trump potrebbe battere Biden nel 2024? Parto dal presupposto che saranno loro due i candidati. Secondo un nuovo sondaggio pubblicato questa settimana dal New York Times, in un’ipotetica rivincita del 2020 Joe Biden e Donald Trump otterrebbero il 43% dei voti ciascuno. Pareggio. Il che significa che un terzo candidato, per esempio il teorico del complotto no-vax Robert F. Kennedy Jr, la pecora nera della famiglia, potrebbe togliere un paio di punti percentuali a Biden in alcuni Stati chiave, facendo pendere la bilancia a favore di Trump. Non è uno scenario confortante e spero che non si trasformi in realtà.
Se i sondaggi continueranno a prospettare questo testa a testa con Biden, potremo forse provare a rispondere alla domanda più spaventosa in assoluto: «Cosa accadrebbe all’America e al mondo se Trump tornasse davvero alla Casa Bianca?». Non oggi, però. Meglio rimandare a un altro giorno quello che si prospetta come uno sforzo intellettuale piuttosto deprimente. —