La Stampa, 3 agosto 2023
Intervista a Marina Elvira Calderone
Sul Reddito di cittadinanza il governo non intende tornare indietro, sostiene la ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone, che ieri in Parlamento durante il question time, rispondendo alle richieste di Pd, 5 Stelle e sinistra, ha confermato che il percorso previsto dalla legge approvata il Primo maggio non si arresta. La decisione è quella di fare punto e a capo, spiega in sostanza, perché il vecchio Rdc è costato tantissimo e non ha prodotto i risultati attesi. Rispetto alla pioggia di critiche che sono piovute contro il governo, in questa intervista, poi, spiega che il sostegno ai fragili è garantito, che i comuni hanno già preso in carico molte famiglie e che le Regioni stanno avviando senza problemi le nuove misure. E che entro il 1° settembre sarà attiva la piattaforma digitale del ministero che servirà a far colloquiare tutti i soggetti che hanno competenze in materia di lavoro per mettere a disposizione tutte le offerte di lavoro e la formazione necessaria per i profili professionali richiesti che le aziende non trovano. Di fatto questa è la grande sfida che il governo ha davanti dopo il flop delle esperienze precedente. Quanto al salario minimo la ministra ripete il suo «no», convinta che il lavoro povero «si combatta con la buona contrattazione e investendo sulla produttività».
Ministra, la fine del Reddito di cittadinanza ha scatenato proteste in molte città, c’è il timore di disordini sociali. Landini sostiene che fate cassa con i poveri, Schlein parla di bomba sociale, per Conte state giocando la partita politica sulla pelle delle persone. Lei cosa risponde?
«Che il Reddito di cittadinanza è costato agli italiani 25 miliardi di euro in tre anni senza produrre i risultati attesi: né in termini di riduzione della povertà né in termini di accompagnamento al lavoro. La sua fine era nota almeno da 7 mesi, quando in legge di bilancio è stata inserita una norma ad hoc. Come dimostrano gli 88 mila nuclei presi in carico già a inizio luglio e che non perderanno il reddito di cittadinanza, questo governo ha già assicurato ai più fragili il sostegno necessario e impiega ogni ora del suo tempo per contrastare e ridurre quel disagio sociale su cui qualcuno, al contrario, come ho avuto modo di dire ieri al question time della Camera, soffia cercando di costruire il dissenso».
L’sms inviato l’altro giorno dall’Inps a 169 mila persone è sembrato a tutti una sgrammaticatura.
«Certamente impreciso. A giorni arriveranno nuove informazioni per aiutare coloro che sono usciti dal reddito a sfruttare appieno le opportunità del Supporto per la formazione e lavoro. Che, al contrario del Reddito di cittadinanza, è riferito alla persona e non al nucleo. Il che vuol dire che i 350 euro di indennità sono moltiplicabili all’interno del nucleo, sulla base dei componenti che hanno attivata una misura di politica attiva».
Sbaglio o lei a suo tempo aveva suggerito una transizione più morbida?
«Come per tutte le leggi, dopo un confronto democratico al suo interno, il Parlamento ha scelto una linea che è giusto portare avanti. Sono di due giorni fa i dati Istat che registrano un’occupazione record e quindi con migliori possibilità di far transitare i percettori del reddito, non appartenenti a nuclei con fragilità, dal sussidio ad un’occupazione. Giova ricordare che a fronte di 112 mila nuclei percettori di reddito di cittadinanza con un componente in età di lavoro considerato occupabile, in Italia, in questo momento sono previste assunzioni per 1,5 milioni di lavoratori, di cui il 48% di difficile reperimento».
Fratelli d’Italia ha proposto di istituire una commissione di inchiesta per verificare l’operato dell’Inps sotto la gestione dell’ex presidente Tridico. Che ne pensa?
«È comprensibile che si voglia fare chiarezza su una misura che doveva sconfiggere la povertà e che non è riuscita nel suo intento, risultando talvolta assegnata anche a chi non ne aveva diritto e ne ha fruito per diverso tempo».
Come si procede ora? Non si torna indietro? Lo chiedo anche perché i Comuni, che a loro volta protestano, dicono di non essere in grado di prendersi in carico decine di migliaia di fragili. Per non dire dei centri dell’impiego delle Regioni, a loro volta impreparati...
«Andiamo con ordine. Indietro non si torna. Il percorso è coerente con quanto previsto dalla Legge di Bilancio e ha l’obiettivo di accompagnare le persone al lavoro. Per quanto riguarda i Comuni, i servizi sociali hanno già preso in carico i nuclei con soggetti fragili avviando l’analisi multidimensionale. Svolgono un lavoro prezioso e saremo al loro fianco per fornire tutto il supporto necessario anche in futuro. Per quanto riguarda le Regioni, invece, proprio l’altro ieri abbiamo avuto un incontro dal quale non sono emerse particolari preoccupazioni per quanto riguarda la fase attuativa delle nuove misure. Anzi, molte di loro hanno già avviato una proficua collaborazione con l’Inps».
Si punta sulla formazione ma, intanto, la piattaforma digitale del ministero per gestire queste attività non è ancora pronta…
«Per quanto riguarda la piattaforma è la legge che prevede la sua operatività a partire dal primo settembre. Per quel che ci riguarda siamo già in una fase avanzata di testing e non prevedo ritardi per la messa on line».
La disoccupazione scende ma nelle regioni dove è concentrato il grosso dei percettori del Rdc resta pur sempre a livelli altissimi. Se non si trova un impiego molte famiglie resteranno senza rete e così i poveri aumenteranno.
«Non sono le informazioni in nostro possesso. Basti guardare l’ultimo bollettino Unioncamere Excelsior: in Campania, a fronte di 24.595 percettori occupabili usciti dal reddito, sono previste entro settembre 108.960 assunzioni. La stessa cosa vale anche per altre regioni».
A proposito di povertà: lei è contraria al salario minimo di nove euro proposto dalle opposizioni. Perché?
«Esiste una direttiva europea sul salario minimo. Che non lo impone, però, per legge agli Stati membri, dando semmai la possibilità di arrivarci in altro modo quando i lavoratori sono già inseriti per l’80 per cento all’interno di una contrattazione nazionale. Caratteristica che l’Italia ha».
Il problema del lavoro povero, però, c’è tutto e richiede delle risposte. Qual è secondo lei la strada da seguire?
«Il problema del lavoro povero si combatte con la buona contrattazione, da cui può partire anche la contrattazione di secondo livello per migliorare ulteriormente le condizioni. E investendo anche sulla produttività».
A partire dal tema pensioni i rapporti coi sindacati non sono buoni. La Cgil ha già indetto uno sciopero generale, la Uil è mobilitata, solo la Cisl è più accomodante, ma poi alla fine tutti si aspettano risposte. Che per ora non vedono…
«Mi soffermerei sulle risposte: in 9 mesi di governo abbiamo tagliato fino a sette punti percentuali il cuneo contributivo mettendo più soldi in tasca ai lavoratori. Defiscalizzato i fringe benefit fino a 3.000 euro. Detassato i premi di produzione. Sono certa questi risultati li vedranno i cittadini che possono meglio affrontare la spinta inflazionistica e il relativo caro prezzi».
Ma sulle pensioni, risorse permettendo, che margini di intervento vede?
«Lavoriamo per valutare, insieme alle parti sociali, le prossime misure da inserire nella manovra di fine anno. C’è una riflessione avviata all’interno del governo. Ma è ancora presto per annunciare i prossimi interventi, che dovranno certamente tenere conto delle risorse necessarie per coprirli». —