La Stampa, 4 agosto 2023
Lavoro per amici
«Il lavoro è il rimedio vero alla povertà» ha ripetuto in Senato la ministra del Lavoro Marina Elvia Calderone. E per questo, ancora ieri, ha difeso la decisione di azzerare il Reddito di cittadinanza per cambiare tutto di qui al 2024. I dubbi e le critiche al progetto del governo però non si arrestano, soprattutto circa il destino dei famigerati 600 mila occupabili che continueranno ad essere aiutati attraverso il nuovo «Sostegno formazione lavoro» (350 euro/mese per un massimo di 12 mesi, però) a patto che si attivino contattando un centro per l’impiego e quindi aderiscano a programmi di formazione, qualificazione, riqualificazione ed orientamento, con l’auspicio che poi trovino finalmete un lavoro. Secondo la ministra, e ieri l’Inps lo ha confermato, a partire dal primo settembre la nuova piattaforma digitale, il Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa (Siisl), sarà perfettamente funzionante ed aiuterà ad incrociare dati e informazione di centri pubblici e soggetti privati velocizzando la presa in carico di tutti i potenziali beneficiari della nuova iniziativa.
Il problema è che le esperienze passate non inducono all’ottimismo. Stando all’ultimo rapporto dell’Anpal, a sei mesi dalla presa in carico attraverso il preesistente programma Gol (Garanzia occupabilità lavoratori) su 145 mila percettori dell’Rdc a fine giugno, al netto degli 8.800 già occupati (peraltro in lavori poveri), lavoravano appena in 11.209, il 7,7% del totale. Del resto, sino ad oggi, anche sommando l’attività dei centri per l’impiego e quello delle agenzie private di strada non se ne fa molta. Secondo un recente studio dell’Inapp, infatti, in media in Italia si trova più lavoro seguendo i canali informali (56%) che quelli formali (37%). Su tutti la spuntano infatti le indicazioni e le raccomandazioni di amici, parenti e conoscenti (23,3%), a seguire le autocandidature (18,2%) ed i contatti nell’ambiente di lavoro (9,5%). Le agenzie per il lavoro piazzano invece il 6,4% degli occupati ed i centri pubblici per l’impiego appena il 4,2%.
Come ha spiegato ieri la ministra Calderone nell’intervista a la Stampa non ci sarebbe il rischio di lasciare senza lavoro un occupabile senza impiego, nemmeno al Sud dove pure la situazione è più critica. E per questo citava i dati dell’indagine Excelsior Unioncamere in base ai quali, ad esempio in Campania, entro quest’anno sono previste 108.960 assunzioni a fronte di 24.595 occupabili. In base alla stessa indagine solo a luglio in tutta Italia ci sarebbero ben 585.310 posti disponibili, in grado di assorbire in via teorica quasi l’intero stock di 18-59enni espulsi dall’Rdc ed in teoria abili al lavoro, peccato che ben il 47,9% di queste possibili entrate sia di difficile reperimento.
«Ciò che notiamo è che in Italia è storicamente presente un disallineamento fra la domanda del mondo del lavoro e l’offerta del sistema formativo. Questo vuol dire che, pur in un contesto positivo in cui si registra un continuo calo della disoccupazione, rimangono settori in cui si fatica trovare personale. Turismo, trasporti, moda, sono solo alcuni degli esempi di settori strategici in difficoltà a reperire il personale con le giuste competenze» spiega Andrea Malacrida, amministratore delegato di Adecco Italia, la principale agenzia per il lavoro in Italia. Convinto che si debba certamente puntare «su iniziative, pubbliche e private che incentivano l’occupabilità delle persone», ma poi si debba anche «costruire un dialogo fra imprese e territorio per aiutare le aziende a trovare candidati idonei e supportare chi cerca lavoro nel maturare le competenze richieste dal mercato».
Insomma il problema è sempre quello, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Che, spiega il professor Michele Tiraboschi, «soprattutto nei moderni mercati del lavoro, non è una operazione meccanica di mera collocazione di una persona in un posto come se il lavoro fosse una “merce” come tutte le altre». Per questo, aggiunge il giuslavorista, «bene una piattaforma informatica (era l’idea della borsa nazionale del lavoro di Marco Biagi di venti anni fa), ma l’incontro tra domanda e offerta di lavoro presuppone, prima dell’incrocio/collocamento, una costruzione sociale dei profili professionali e delle relative tariffe contrattuali». Per questo, a suo parere, «è semplicistico parlare di corsi di formazione, agenzie di collocamento, salari fissati per legge. Servono nei settori produttivi, nei territori e nelle comunità attori che si facciamo carico del non facile compito di costruire mestieri e professionalità e poi di dare al lavoro così creato il giusto valore economico di scambio. Detto che non esiste più il posto di lavoro ma percorsi professionali, è chiaro che non parliamo più, come nel Novecento, di una funzione di collocamento di persone in un posto ma di percorsi di occupabilità che sempre più devono integrare formazione e lavoro, senza questo quello della formazione continua resta un vuoto slogan».
Chi può fare questo? «Gli attori delle relazioni industriali – risponde Tiraboschi – quei soggetti che qualcuno vorrebbe dipingere come dinosauri del secolo scorso e che tuttavia come funzione storica hanno sempre avuto quella della costruzione sociale dei mestieri e delle professionalità».