La Stampa, 4 agosto 2023
Una statua per Fassino
Io a Piero Fassino erigerei una statua equestre. A Piero Fassino, coraggioso fino alla temerarietà nel difendere il suo stipendio di parlamentare in quella congrega di populisti dediti da un trentennio a diffamare l’istituzione di cui fanno parte. A Piero Fassino, che ieri ha rincarato e ha definito errori sia l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti sia il taglio dei parlamentari perché la democrazia è tale se ha dei partiti e se ha un Parlamento, oppure non è. Una democrazia finanzia i partiti perché possano avere sedi, attrezzare correnti (sì, altrimenti sono eserciti a disposizione del capo), organizzare convegni, stare sui famosi territori. E invece da un trentennio si è istituita una gara a chi prima e meglio infanga i partiti e il Parlamento, chi prima e meglio li dichiara inutili, anzi dannosi, chi prima e meglio gli imputa di essere macchine del furto e del dissanguamento, chi prima e meglio gli leva denari e strumenti col risultato di aver reso i partiti deboli, preda di demagoghi, e il Parlamento un dormitorio di piccoli mercenari, a destra e a sinistra. E chi arriva dopo, deve aggiungere la sua umiliazione all’umiliazione inflitta da chi c’era prima, per mostrare al popolo furente una ancora più ferrea rettitudine. Ma, siccome si fa un gran parlare di fascismo, c’è stato un tempo in cui i partiti e il Parlamento furono calunniati quanto oggi, e ne seguì un altro in cui né i partiti né il Parlamento servivano più, perché bastava un Duce. Ma forse ce ne siamo dimenticati, e continuiamo a giocare all’antipartitismo e all’antiparlamentarismo come tanti fascistelli. Una statua a Fassino, per piacere.