il Giornale, 3 agosto 2023
Susan Sarandon vuole diventare italiana
Incontrare una grande star che sia anche una grande attrice entusiasma qualsiasi appassionato di cinema. A guastare l’entusiasmo per l’incontro con Susan Sarandon, ieri ospite del Magna Graecia Film Festival di Catanzaro (dove ha ricevuto la Colonna d’Oro alla Carriera) ha provveduto l’ormai famoso sciopero degli attori di Hollywood. Sempre affabile e generosa di sé, la magistrale interprete di Thelma & Louise, premio Oscar per Dead Man Walking, si è fatta stavolta precedere dal rigorosissimo diktat cui lei, insieme a colleghi come Meryl Streep, George Clooney o Charlize Theron, inflessibilmente si attiene: vietato girare film, vietato promuoverli, vietato anche semplicemente parlarne, siano essi presenti, passati o futuri. Fortuna che l’inossidabile fascino di questa settantaseienne «barricadera» trapela comunque, a prescindere da quale sia l’argomento della conversazione.
Lo sciopero di Hollywood contro l’intelligenza artificiale, e per le retribuzioni eque, ormai dilaga.
«È giunto ad un punto di svolta. Bob Iger, amministratore della Disney, ha detto: Resisteremo finché le persone perderanno la casa o moriranno di fame. Il business del cinema è cambiato; i nostri contratti no. Il che non riguarda solo gli attori, ma larghi strati della società americana: il divario fra ricchi e poveri è ormai enorme. Per avere l’assistenza sanitaria un attore deve guadagnare almeno 26 mila dollari. Ma l’87 per cento di noi non li raggiunge. Non pensate a chi è famoso come me; ma ai moltissimi che lavorano in ruoli minori. Dunque oggi chi è al top deve mostrare solidarietà con tutti gli altri».
A preoccuparvi è anche il possibile «effetto Frankenstein» nell’uso dell’intelligenza artificiale.
«Ma anche la sua infondatezza etica. In pratica gli studios vorrebbero sostituire comparse o attori di piccoli ruoli con la scansione della loro immagine. E quindi utilizzarla a proprio piacimento, per sempre, senza più pagarla. Un inaccettabile furto. L’intelligenza artificiale sarebbe meglio usarla, semmai, per sostituire qualche amministratore delegato. Mestiere per il quale non è necessaria così tanta immaginazione».
Hollywood ha una lunga tradizione di «pasionarie» per i diritti civili come lei: Katharine Hepburn, Bette Davis, Jane Fonda. Qualcuna di queste l’ha forse ispirata, specialmente quand’era ai suoi inizi?
«A Hollywood non conta la politica: conta il denaro. E per un attore l’unico modo per ostacolare questo sistema è invecchiare, ingrassare, o girare film che siano dei flop. Oggi, che le major sono concentrate sul controllo dei contenuti, di grande ispirazione per me sono state Jane Fonda e Vanessa Redgrave. Ma ai miei inizi, ammetto, non mi vedevo come un’attrice che potesse esporsi e sfidare lo status quo».
Quanto la sua ferrea determinazione l’ha aiutata nelle difficoltà della carriera?
«La vita è una corsa a ostacoli sempre piena di passi falsi. Ma sono proprio questi a renderla interessante: fanno di noi quello che siamo. Ai miei figli auguro di fare tanti errori. Quanto alla carriera, non l’ho mai confusa con la mia identità. È solo un modo per comunicare».
Non possiamo parlare di film, allora parliamo di registi. Per esempio dell’unico italiano con cui abbia lavorato: Mario Monicelli, nel 1971, per La mortadella.
«Posso essere sincera? Sul set parlavano tutti in italiano, nessuno mi rivolgeva la parola. Così sono rimasta all’oscuro di tutto. Non sapevo neppure chi fosse il regista. Sapevo chi fosse Sophia Loren, la protagonista».
Tuttavia lei ha vissuto per qualche anno a Roma, ed è molto legata al nostro Paese.
«Da tanto cerco di avere la cittadinanza italiana: ma sono troppo vecchia. Quando uscì la legge che la concedeva per via materna (mio nonno era siciliano) avevo già due anni. Ora ne ho 76. Eppure bevo il caffè all’italiana, mangio la pasta, ho fatto una figlia con un italiano (il regista Franco Amurri, ndr) Cos’altro posso fare per diventare finalmente una di voi?».