il Giornale, 3 agosto 2023
Il mondo di Kavafis
Nell’estate del 1941 l’inglese Robert Liddell si ritrovò ad Alessandria d’Egitto, in fuga dalla Grecia occupata dai tedeschi e nella cui capitale aveva sino ad allora lavorato come membro del British Council. Trentenne, un romanzo appena pubblicato alle spalle, Liddell era la classica espressione di quel tipo umano che l’impero britannico aveva contribuito a formare e dove si intrecciavano un’infanzia solitamente vissuta all’estero, ovvero nelle colonie, al seguito dei genitori lì di stanza, militari, diplomatici, civil servants, un’educazione scolastica in patria, un ritorno Oltremanica a ripercorrere più o meno le orme paterne. Ufficiale dell’esercito in pensione, Liddell senior aveva continuato la sua professione come consigliere militare al Cairo, capitale di una nazione che in realtà aveva continuato a essere un protettorato britannico, ed era lì che, dopo quel breve soggiorno alessandrino, Liddell junior si stava recando e dove sarebbe rimasto per tutta la durata della guerra e sino agli anni Cinquanta.
In Grecia Robert Liddell aveva fatto amicizia con il poeta Giorgio Seferis e proprio ad Alessandria, in quell’estate del 1941, i due si erano ritrovati, essendo Seferis al seguito del governo in esilio dal suo Paese. Per i vicoli e le strade della città, insieme a un paio di amici greci, il loro era stato una sorta di omaggio e di pellegrinaggio intorno alla figura e all’opera di Costantino Kavafis, morto neppure un decennio prima e genius loci poetico di quella città. Se Kavafis era il nume tutelare di Seferis, nonché una sorta di orgoglio nazionale, i suoi legami con l’Inghilterra non erano elementi di secondaria importanza: ci aveva vissuto, era stato cittadino britannico, ne conosceva perfettamente la lingua, aveva avuto nello scrittore inglese E.M. Forster, l’autore di Passaggio in India, un supporter entusiasta. Passione condivisa anche da un altro scrittore di Forster più giovane, Lawrence Durrell, che un ventennio più tardi, con Il Quartetto di Alessandria, avrebbe fatto dell’ombra protettiva e insieme inquietante di Kavafis il motivo ricorrente del suo polittico narrativo. E, va da sé, Durrell, come del resto il Forster del romanzo Maurice, la cui pubblicazione deve molto all’esempio di Kavafis, alla sua dichiarata omosessualità, erano entrambi appassionati della Grecia, la sua cultura, la sua natura, la sua storia.
Questi legami greco-inglesi a guerra finita ebbero una nuova occasione di incontro quando Seferis, consigliere dell’ambasciata greca a Londra, nel 1951 si recò a Cambridge in compagnia di un promettente studente suo connazionale, Giorgio P. Savvidis, per incontrare proprio Forster. Fu grazie a questo incontro e al rapporto poi instauratosi, che il giovane Savvidis si mise sulle tracce dell’esecutore testamentario di Kavafis, ne conquistò la fiducia e poté prendere visione dell’intero archivio del poeta: in vita Kavafis non aveva mai pubblicato le sue poesie presso un editore, ma preferiva stamparle su fogli volanti che poi donava agli amici. Così, a partire dagli anni Sessanta, l’attenzione critica nei confronti di Kavafis e della sua opera ebbero a disposizione un materiale fino ad allora rimasto sconosciuto.
E Liddell? Che fine ha fatto? Dopo la lunga parentesi egiziana, che aveva avuto la sua celebrazione finale nella pubblicazione del romanzo La città inesistente, dedicato ad Alessandria e dove ancora una volta dominava l’ombra di Kavafis, anch’egli aveva riguadagnato la Grecia, fino a diventare direttore del dipartimento di Inglese nell’Università di Atene, riallacciare i contatti con Seferis e conoscere Savvidis. Se sia stato Seferis, che sarebbe scomparso nel 1971, a suggerirgli l’idea di scrivere la biografia fino ad allora mancante di Kavafis, o se l’idea sia venuta al suo antico discepolo Savvids, non lo sappiamo, ma è lecito pensare che siano entrambi giunti alla medesima conclusione, ovvero che Liddell, per la sua fisionomia di letterato, per le sue conoscenze dell’ambiente culturale sia egiziano sia greco, per essere, in quanto inglese, il più naturalmente versato in quel genere biografico-letterario di cui l’Inghilterra ha per molti versi il copyright, era la persona giusta.
Il risultato sarà Cavafy, a Critical Biography, uscito in Inghilterra nel 1974 e ora proposto in italiano (Kavafis. La vita. Crocetti editore, pagg. 297, euro 20, traduzione di Marina Lavagnini, a cura di Renata Lavagnini). Per quanto da allora a oggi la bibliografia su Kavafis abbia continuato ad ampliarsi sia di saggi critici, sia di inediti, il libro di Liddell, come osserva Renata Lavagnini, rimane un punto di riferimento essenziale, con «un sapore di verità che ne rende avvincente e unica la lettura». Nel delineare l’ambiente familiare del poeta, Liddell ha avuto inoltre «la mano particolarmente felice, riuscendo a far rivivere con simpatia quel clima di vita quotidiana e di affetti che nella poesia di Kavafis non appare ma che dovette essere parte della trama della sua esistenza; e difficilmente oggi, a distanza di tanti anni, quando l’ambiente alessandrino con cui Liddell fu in contatto è totalmente scomparso, si potrebbe scrivere un’opera come la sua».
Un altro dei meriti del libro è l’aver evitato gli eccessi psicoanalitici da un lato, quelli socio-ideologici dall’altro, gli uni e gli altri dovuti alla necessità di riempire di spiegazioni e di motivazioni una vita che nella sua apparente assenza di fatti più o meno eclatanti e di prese di posizione pubbliche può apparire banale. Del resto, come ha scritto lo stesso Seferis, «Kavafis non esiste al di fuori delle sue poesie. Due cose, credo, potranno accadere: o si continuerà a commentare la sua vita privata, dando alimento alle battute di spirito di una mentalità provinciale – e allora, naturalmente, si raccoglierà ciò che si è seminato -, oppure, movendo da quella che ne è la fondamentale caratteristica, l’unità, si potrà dare ascolto a ciò che realmente la sua opera dice, l’opera in cui egli si è consumato goccia a goccia, con tutti i suoi sensi».
Sotto questo profilo, la biografia di Liddell è in un certo senso pionieristica ed ha anche la sua ragione d’essere nell’insistenza e insieme nell’amore con cui egli si sofferma proprio su Alessandria e sulla apparente routine della vita kavafiana, quella routine degli uffici e dei caffè, delle strade e delle taverne malfamate, una routine, come ha osservato Marguerite Yourcenar in quel saggio esemplare contenuto nel suo Con beneficio d’inventario e che vale la pena leggere a completamento di questa biografia, «limitata nello spazio al tracciato, mille volte ripercorso, di una stessa città, straordinariamente libera, invece, sul piano del tempo». Un’identità, del resto, fortemente rivendicata da Kavafis, visto che nella sua poesia non v’è traccia né dell’adolescenza trascorsa in Inghilterra, né dei tre anni trascorsi, ventenne, a Costantinopoli. È sempre e solo di Alessandria che i suoi versi parlano.
Kavafis, scrive ancora la Yourcenar, «è uno dei poeti più celebri della Grecia moderna; è anche uno dei più grandi, il più sottile in ogni caso, il più nuovo forse, eppure il più nutrito dell’inesauribile sostanza del passato».
Robert Liddell è morto nel 1992 e le sue spoglie, come quelle di Chatwin, come quelle di Leigh-Fermor, riposano in Grecia.