il Giornale, 2 agosto 2023
La finta grazia ad Aung San Suu Kyi
Chiang Mai (Thailandia) Aung San Suu Kyi, ex consigliera di Stato del Myanmar e premio Nobel per la pace nel 1991, detenuta dai militari dal colpo di Stato del febbraio 2021, ha ottenuto uno sconto di pena di 6 anni sui 33 a cui è stata condannata, dopo essere stata ritenuta colpevole di numerosi reati, che vanno dalla frode elettorale alla corruzione. Tutte le accuse, che lei ha sempre negato, le sono state mosse in processi condotti dall’esercito a porte chiuse, ritenuti una farsa dalla comunità internazionale e dai principali gruppi per i diritti umani.
La grazia, annunciata dai media statali, ha coinvolto oltre 7mila prigionieri – compreso l’ex presidente Win Myint – in occasione della Quaresima buddista. Ma nonostante lo sconto di pena, il destino della Suu Kyi, 78 anni, che è stata trasferita la scorsa settimana dal carcere ai domiciliari nella capitale Naypyidaw, sembra ormai segnato. Il premio Nobel deve ancora affrontare 14 capi d’accusa e difficilmente potrà rientrare nel panorama politico del Paese. Intanto il Myanmar è nel caos. Il golpe ha scatenato una sanguinosa guerra civile, con i gruppi armati etnici, in particolare i Karen, i Karenni, i Chin, gli Shan e i Kachin, che da decenni combattono per uno Stato federale, e il People’s Defence Force (Pdf), braccio armato del National Unity Government (Nug) – il governo clandestino costituito dopo il colpo di Stato – che si sono coordinati e stanno combattendo contro le truppe della giunta in molte zone del Paese. Il Tatmadaw, l’esercito birmano, per cercare di placare le insurrezioni, ha risposto con continui bombardamenti aerei e una violenza senza precedenti. Le stime del Nug, fino ad ora, parlano di oltre 11mila morti, decine di migliaia di feriti e quasi due milioni di sfollati interni. Inoltre, secondo l’organizzazione non governativa Assistance Association for Political Prisoners, i militari hanno arrestato oltre 20mila dissidenti. Alla fine di luglio 2022 quattro attivisti sono stati giustiziati con l’accusa di aver collaborato a organizzare «atti terroristici». Si tratta dell’ex parlamentare Phyo Zeya Thaw, molto vicino alla Suu Kyi, dello scrittore Kyaw Min Yu, conosciuto come Ko Jimmy, veterano del gruppo studentesco «Generazione 88», movimento birmano pro-democrazia e di altri due attivisti meno noti, Hla Myo Aung e Aung Thura Zaw. Le tattiche sempre più brutali utilizzate dall’esercito potrebbero essere un segno della crescente frustrazione della giunta, che dopo oltre due anni dalla presa del potere non è riuscita ad affermare la sua autorità. Tre giorni fa, vista la situazione critica, ha prorogato lo stato di emergenza per altri sei mesi, facendo slittare le elezioni annunciate per questo agosto dal comandante in capo Min Aung Hlaing. Lo stesso che il 13 luglio scorso ha ammesso l’esistenza di «problemi di sicurezza» nella provincia di Sagaing, ad appena 20 km da Mandalay – la seconda città più grande del Myanmar – dove la resistenza della popolazione è molto forte, e negli Stati Chin, Karenni e Karen. Dichiarazioni che facevano prevedere la volontà di un’ulteriore estensione dell’emergenza e della disperata volontà di continuare a provare ad avere il controllo del Paese.