Avvenire, 2 agosto 2023
La dura vita delle musiciste
«La giovane Anna Maria Mozart era una pianista di eccezionale talento ed era conosciuta in tutta Europa. Wolfgang è quindi cresciuto avendo una donna, sua sorella, come esempio, prima di staccarsi da lei e vivere la sua vita di compositore». Non fa una grinza la ricostruzione delle vicende di casa Mozart scritta da Aliette de Laleu, giornalista musicale, attiva con una propria trasmissione per l’emittente radiofonica France Musique. Mozart era una donna è il titolo del suo ultimo libro, uscito in Francia e rapidamente tradotto in Italia (editore Odoya, pp, 204, € 18). Nannerl, la sorella, aveva cinque anni più di Wolfgang, le cronache del tempo raccontano che era una magnifica musicista. E allora perché il loro padre scelse il figlio e non la figlia? Perché, risponde Laleu, per una donna era enormemente più difficile affrontare, da adulta, la carriera di musicista. E infatti Nannerl smette, appena superata l’adolescenza: «Suo padre si rifiuta categoricamente di farla diventare una musicista professionista, tanto meno una compositrice», anche se sappiamo, dalla corrispondenza famigliare, che a comporre aveva iniziato. Nannerl diventerà moglie e madre, avrà degli allievi privati, ma niente concerti in pubblico. Come lei, tantissime altre hanno dovuto rinunciare, tranne le cantanti: non era possibile privarsi della bellezza delle loro voci per creare un’opera e una drammaturgia, un conflitto o un’intesa d’amore, con le voci maschili. Eppure, «in epoche famose per essere fortemente misogine, con figli di cui occuparsi, una casa da gestire, una vita pubblica limitata, alcune donne hanno abbattuto queste barriere e le loro composizioni sono state suonate, ascoltate, applaudite. Non è forse questa la prova definitiva della qualità del loro lavoro?». L’autrice – che non è una musicologa e dunque le si possono perdonare alcune disinvolte affermazioni – va alla ricerca di quante ce l’hanno fatta, arricchendo quella ben visibile traiettoria della saggistica contemporanea che intende sottrarre all’oblio e valorizzare la presenza creativa femminile nella storia. Il percorso inizia da Saffo, la cui attività di poetessa, musicista e fondatrice di una scuola d’arte, ha dovuto affermarsi oltre una narrazione biografica che le rimproverava una «morale corrotta», e attraversa duemila anni di storia. Si incontrano musiciste già note, tra tutte Ildegarda di Bingen, badessa, compositrice, scienziata tedesca, attiva nel dodicesimo secolo. E altre le cui tracce sono più labili, come la francese Elisabeth Jacquet de la Guerre, autrice nel 1694 di Céphale et Procris, prima opera scritta da una donna per l’Académie Royale. Anna Magdalena Wilcke, seconda moglie di Bach, madre di tredici figli, non è stata soltanto, da musicista qual era, una collaboratrice di Johann Sebastian, ma forse – qui la Laleu riprende un’ipotesi cara allo studioso Martin Jarvis – l’autrice delle sei Suite per violoncello attribuite al consorte, tra i sigilli supremi della sua arte. Una verità non dimostrabile; certo invece è che una copia di quest’opera è firmata da lei, mentre il manoscritto originale con la sigla di lui non è mai stato trovato. La vicenda della cantante, pianista e compositrice austriaca Marianne Martines, che tra fine Sette e inizio Ottocento riuscì ad affermarsi, suggerisce alla Laleu una considerazione radicale, ma difficilmente smentibile, almeno allora e per molto tempo ancora: «Una vita da musicista per una donna è possibile se si rispettano alcune condizioni: uno status sociale elevato, l’indipendenza economica, nessun marito che ostacoli la carriera e tanto sostegno».
Alle limitazioni di genere si sono aggiunti i pregiudizi razziali, che hanno ostacolato la vita nella musica di tante artiste afroamericane. Con partecipe emozione, l’autrice di Mozart era una donna racconta di Marian Anderson, esclusa per il colore della pelle da una scuola di musica di Philadelphia, che trovò nella first lady Eleanor Roosevelt un aiuto decisivo per contrastare pregiudizi e divieti. Gli ultimi capitoli fotografano una realtà contemporanea meno sessista: le molte donne presenti in orchestra, impegnate anche a suonare strumenti tradizionalmente riservati agli uomini, come le trombe e i corni, le numerose bravissime direttrici. Però le compositrici stentano ancora ad affermarsi nei teatri d’opera: bisognerà aspettare il 2025 perché La Scala (fondata nel 1778) accolga la prima opera scritta da una donna, Silvia Colasanti.