Avvenire, 3 agosto 2023
Viminale è in difficoltà
La nave del decreto flussi, che con l’innesto nel circuito economico di quasi mezzo milione di lavoratori stranieri nel prossimo triennio potrebbe contribuire a traghettare il Paese verso prospettive di crescita più rosee e robuste, rischia di trasformarsi in un Titanic.
A minarne lo scafo e la capacità di galleggiamento potrebbe essere infatti la tenuta complessiva della macchina burocratica del ministero dell’Interno, indebolita dalla prospettiva imminente di migliaia di pensionamenti senza un adeguato rimpiazzo. Secondo i sindacati, già si avvertono i primi segnali di scricchiolio dalla stiva: dalla sanatoria- lumaca del 2020, ancora non ultimata, alle proteste dei poliziotti, oberati da turni estenuanti oppure spostati su mansioni amministrative. Ma partiamo dal principio.
Il maxi-decreto L’obiettivo, messo nero su bianco un mese fa nel decreto flussi della Presidenza del Consiglio dei ministri, è di quelli che meritano la massima attenzione, perché possono qualificare davvero, e in modo concreto, le politiche del governo Meloni nei confronti dell’immigrazione legale. L’aspirazione dell’esecutivo, com’è noto, è quella di consentire in tre anni 452mila ingressi autorizzati di lavoratori stranieri, a fronte delle pressanti necessità di manodopera (almeno 833mila persone) manifestate da imprese e associazioni datoriali italiane. Tuttavia, dopo i proclami del governo, negli uffici periferici di prefetture e questure – che innervano sul territorio nazionale la spina dorsale del Viminale – è partito un preoccupato tam tam sotterraneo, che si potrebbe riassumere in una domanda di fondo: nel prossimo triennio, materialmente chi si occuperà di vagliare i requisiti delle centinaia di migliaia di richieste che arriveranno? Già, perché i dati messi in fila negli ultimi tempi ancora dai sindacati disegnano, per il personale del dicastero guidato dal ministro Matteo Piantedosi, scenari futuri tutt’altro che rassicuranti, con il rischio di serie ripercussioni sulla gestione delle incombenze quotidiane.
Lo spettro dell’esodo
Una dolente fotografia della situazione viene scattata dai sindacalisti della Federazione lavoratori pubblici e funzioni pubbliche. «Attualmente – dice ad Avvenire Dario Montalbetti, coordinatore nazionale della Flp Interno – in tutte le strutture del Viminale, comprese le prefetture e questure, l’età media del personale civile in servizio è di 58 anni». Ciò significa che, «nei prossimi 6 anni, degli attuali 15mila lavoratori civili, ne andranno in pensione 11.500. E almeno finora l’amministrazione non ha previsto un numero sufficiente di assunzioni per rimpiazzarli». Le proiezioni, già a partire dal prossimo triennio (proprio quando scatterà il piano del maxi decreto flussi) sono il primo campanello d’allarme: «Fra il 2024 e il 2026, circa 6mila dipendenti dell’Amministrazione civile dell’Interno, in gran parte donne, se ne andranno in pensione, soprattutto per raggiunti limiti di età – analizza Montalbetti -. Se poi allarghiamo l’orizzonte al triennio successivo, 2027-2029, i pensionamenti prevedibili riguarderanno in totale quasi tre quarti del personale attualmente in servizio». I suddetti 11.500 su 15mila, appunto. Per sostituirli, cosa si dovrebbe fare? Bisognerebbe effettuare «quasi 2mila assunzioni l’anno, a partire dal 2024 e fino al 2029». E sta accadendo? «No. La programmazione finora annunciata dal ministero dell’Interno per il prossimo triennio, ne prevede meno di 2mila, comprese 800 persone già assunte tra il 2022 e il 2023». In concreto, considera amaro il sindacalista, «già da questo possiamo renderci conto che c’è qualcosa che non va», tenuto conto che «l’amministrazione si trova già in una situazione di pesante sotto-organico di personale. E, pertanto, la semplice sostituzione di coloro che andranno in pensione non sarebbe sufficiente a garantire funzionalità ed efficienza, e in alcuni casi persino la sopravvivenza, sia delle prefetture e questure che degli uffici centrali ministeriali».
Il tampone dei precari
Un quadro aggravato dal fatto che i primi tentativi di far entrare altro personale non siano stati finora molto efficaci. Secondo la Flp, una parte consistente dei 400 funzionari amministrativi recentemente assunti dalla graduatoria del concorso Ripam per le esigenze del Pnrr, «non ha assunto servizio, anzi alcuni che lo avevano fatto si stanno dimettendo». Ma soprattutto c’è preoccupazione perché – anche per gestire il decreto Flussi -, il ministero dell’Interno ha optato per l’impiego di personale in affitto, somministrato dalle agenzie per il lavoro interinale. E qui sta il nodo più grande: come si fa a ipotizzare, avverte la Flp, che ben 452mila ingressi (136mila nel 2023, 151mila nel 2024 e 165mila nel 2025) possano «essere gestiti da 1.120 lavoratori in affitto, quando per far fronte a tale situazione sarebbero necessarie almeno 2.500 persone?».
La regolarizzazione infinita
Una cartina tornasole c’è. Se si guarda infatti alla recente esperienza della regolarizzazione di lavoratori stranieri agricoli, colf e badanti – avviata nel 2020 dal governo Conte II e passata poi in mano agli esecutivi Draghi e Meloni – si capisce come le soluzioni tampone non paghino. Secondo le tabelle del Viminale visionateda Avvenire, al 12 luglio scorso – ben tre anni dopo l’avvio delle pratiche – risultavano ancora incredibilmente pendenti «22.680 istanze» su un totale di «207.873» presentate, con lentezze nelle città di Milano, Roma e Napoli. E quelle esaminate? I «permessi di soggiorno richiesti sono 133.144», a fronte di 29.189 domande «rigettate», 4.504 «rinunciate» e 5.883 «archiviate».
L’effetto domino
Nel complesso, viene fuori uno scenario da incubo, che ha già causato un primo effetto domino: «Molte prefetture sono vicine al collasso per la mancanza di personale», sostiene la Flp, «e nelle questure, per sostituire il personale civile che va in pensione, i questori stanno ricorrendo a un sempre più massiccio dislocamento di personale della Polizia di Stato negli uffici amministrativi e contabili», fino a 12mila agenti secondo le stime del sindacato, «compromettendo così il mantenimento dell’ordine pubblico nei territori in cui operano».
Le proteste dei poliziotti
Accade così che al cahier de doléances dei funzionari civili si sommi quello di migliaia di poliziotti. Il 12 luglio, la Silp-Cgil si è mobilitata davanti alle questure della Penisola per denunciare una diffusa situazione di crisi in un «comparto al collasso»: da Milano a Monza («Avremmo bisogno di 100 agenti in più», dicono i sindacalisti brianzoli) fino a Lecce, Bari e Reggio Calabria. «All’appello mancano oltre 10 mila lavoratori, per non parlare di un accordo mai stipulato per l’area dirigenziale, istituita nel 2017, e del rinnovo del contratto di tutto il comparto, scaduto già da due anni», argomenta il segretario del Silp Pietro Colapietro, «chiediamo assunzioni straordinarie, condizioni di vita e di lavoro dignitose e stipendi decenti, ma dal governo non arrivano risposte». Gli fa eco la segretaria confederale Cgil Lara Ghiglione: «Nel Def non sono state previste risorse per i contratti né per le assunzioni necessarie per compensare i pensionamenti, gli stipendi sono fermi al 2021 e l’attenzione alle condizioni di lavoro e al benessere organizzativo di poliziotte e poliziotti è inadeguata». Lo stress si riverbera anche sul piano personale, fino a casi estremi: «Siamo a 28 suicidi da inizio anno in tutti i corpi in divisa, 14 solo nella Polizia».
Le ripercussioni sui cittadini
Le carenze di personale possono incidere sui tempi dei servizi erogati: dalle attese per il rilascio di passaporti o permessi di soggiorno fino alle denunce di presunti reati. «Quando un cittadino chiama il 112 o il 113 racconta Colapietro – spesso non abbiamo personale da mandare dove c’è la richiesta di intervento. Inoltre, per coprire i servizi, il personale è costretto a doppi o tripli turni: 6 ore diventano 12 o perfino 18 di seguito, senza riposo, pranzo o cena. È una situazione insostenibile».
Riunioni e appelli
Anche se il governo (che sui temi della sicurezza ha costruito parte del programma, cercando di dare un’immagine di efficienza) non ne fa materia di comunicazione, le prospettive di un rallentamento del corpaccione del Viminale per mancanza di braccia non lasciano tranquilli né l’Interno né Palazzo Chigi. Dopo il tavolo di confronto aperto a fine maggio dalla premier Giorgia Meloni, a luglio il ministro Piantedosi ha ricevuto al Viminale i segretari generali di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, Maurizio Landini, Luigi Sbarra, Pierpaolo Bombardieri e Francesco Paolo Capone. I cinque, in un clima definito «cordiale e costruttivo», si sono confrontati anche sul «progressivo recupero e potenziamento degli organici», dandosi «appuntamento a metà settembre per ulteriori aggiornamenti». Ma la sabbia scorre nella clessidra e i problemi restano. Dal suo puntuale osservatorio, Montalbetti continua a vigilare. E, con garbo e responsabilità, ha deciso di scrivere una lettera direttamente a Piantedosi ( che ha tenuto per sé la delega per la gestione del personale civile) per caldeggiare contromisure urgenti. «Dal ministro – conclude il sindacalista della Flp – ci aspettiamo risposte efficaci e in termini accettabili». Ossia prima che la nave imbarchi acqua, rischiando di far andare a fondo anche i preziosi spiragli di crescita economica e sociale aperti dal decreto Flussi.