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 2023  agosto 04 Venerdì calendario

L’estate difficile del grano italiano

Strattonato dal clima e dagli eventi internazionali, il comparto cerealicolo italiano deve fare i conti con una produzione non all’altezza delle aspettative, problemi di approvvigionamento, prezzi sull’ottovolante, speculazioni di mercato e, soprattutto, un’assoluta incertezza sul futuro. Ed è un puzzle complicato quello su cui si è ragionato ieri al ministero dell’Agricoltura al tavolo sul grano con rappresentanti dei coltivatori delle imprese di trasformazione.
Italmopa, l’associazione delle industrie molitorie italiane, fornisce numeri che non lasciano spazio a molte ipotesi: il raccolto italiano di grano 2023 lascia a desiderare in qualità e spesso anche in quantità. Si produrrà più frumento tenero ma «la qualità del nuovo raccolto presenta, globalmente, alcune severe criticità rispetto alle esigenze dell’industria molitoria». Detto in altri termini, si supereranno probabilmente le 3 milioni di tonnellate (il fabbisogno è pari a 6,5), ma con una qualità inferiore determinata dal clima avverso. Addirittura, dice Italmopa, «una parte significativa della produzione normalmente destinata all’alimentazione umana potrebbe essere declassata». I mugnai hanno già fatto la loro previsione: gli acquisti dall’estero di grano tenero, che sono già il 65% di tutto quello che viene trasformato, sono destinati a consolidarsi e forse a crescere. Peggio sta andando per il grano duro. Sempre Italmopa spiega: «Ci sono significative criticità sotto il profilo quantitativo ma anche qualitativo». Anche qui il maltempo ha fatto la sua parte. Si prevede un raccolto di circa 4,15 milioni di tonnellate, molto meno delle previsioni di qualche mese fa e, soprattutto, qualitativamente «insoddisfacente».
A tutto ciò si aggiungono i dati produttivi mondiali. Che cambiano a seconda della fonte. Secondo il Consiglio internazionale dei cereali (rilanciato da Confagricoltura), la produzione di grano dovrebbe attestarsi a 784 milioni di tonnellate, con un calo di oltre due punti percentuali sul 2022. Mentre il Dipartimento di Stato americano all’agricoltura ha reso noto che le scorte di grano presso i principali esportatori ammontano a 55 milioni di tonnellate, il livello più basso da dieci anni. La FAO registra invece “aspettative” al rialzo in alcuni paesi produttori.
E su questa situazione già piuttosto critica che pesano le conseguenze delle tensioni internazionali. Italmopa parla di «marcato nervosismo sui mercati». Il grano è ancora una volta un’arma di guerra.
La partita dei cereali in Italia si intreccia con quanto sta avvenendo tra Mosca e Kiev oltre che nel resto del mondo. Guardando alle quotazioni del Chicago Board of Trade, punto di riferimento mondiale del mercato, la quotazioni dei contratti future del bushel (l’unità con cui si misura il peso del prodotto e che negli Stati Uniti, per convenzione, equivale a 27,216 kg di grano) ha sfondato i 10 dollari. Tutto è stato messo in ulteriore crisi dopo la chiusura dei corridoi commerciali aperti grazie all’intesa tra Onu, Turchia, Russia, e Ucraina, gli attacchi ai depositi, le promesse di Putin rivolte ai paesi africani, le speculazioni che si rincorrono da un mercato all’altro. Coldiretti fa notare come «la guerra abbia riacceso l’interesse degli speculatori sul mercato delle materie prime agricole che in molti casi diventano più interessanti di quelli finanziari oppure dei metalli preziosi», con il risultato che «le quotazioni dipendano sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto, a danno degli agricoltori e dei consumatori». La prova? Il minor raccolto nazionale non ha provocato un aumento dei prezzi pagati agli agricoltori che «in questo momento» si vedono il grano sottopagato del «30% in meno rispetto allo scorso anno, sotto i costi di produzione». Tutto senza dire delle previsioni più “casalinghe” che riguardano tutti noi. Secondo Assoutenti, una famiglia di 4 persone che oggi spende in media in Italia 1.320 euro all’anno per pane e cereali, sarebbe costretta, con un aumento dei prezzi al dettaglio del 10% per i prodotti derivati dal grano, ad una maggiore spesa pari a 132 euro annui. Quindi che fare? La via d’uscita sembra essere quella degli accordi alternativi e dell’aumento della produzione. Una strada lungo la quale l’Europa potrebbe giocare un ruolo importante. Dice a questo proposito Confagricoltura: «L’Ue deve lavorare per allentare la pressione sui mercati globali immettendo grano europeo e proporsi come un attore regionale autorevole per sopperire ai livelli minimi di sicurezza alimentare».