ItaliaOggi, 4 agosto 2023
Cesare Pavese censurato dal Pci
Lo scorrere degli anni ridimensiona l’immagine stereotipata di Cesare Pavese antifascista perenne, comunista puro, anomalo politicamente, per penetrarne aspetti prima tenuti celati e man mano resi più avvicinabili da nuovi documenti. Si tratti di spunti, di lettere, di dimenticati o volutamente nascosti brani d’archivio, si scoprono momenti dell’esistenza di Pavese che non ci si sarebbe aspettati.
Marcello Veneziani ne ridimensiona la stessa iscrizione al Pci nel dopoguerra (la tessera non sempre fu confermata dallo scrittore) perché ritiene che a Pavese servissero due strade per sfuggire ai drammi della vita: il mito e il suicidio. Si sofferma su Pavese nel denso volume Il mito, che esce presso Vallecchi, per un quinto dedicato a spiegare la presenza e la funzione del mito in Pavese e per il rimanente incentrato in una ricca antologia di brani pavesiani su mito, poesia e letteratura.
La lettura concepita da Veneziani è fortemente personale: «Pavese scelse il mito come la chiave della sua opera e del suo sguardo sul mondo. Ritenne il mito il culmine stesso della sua vita letteraria e della sua concezione della vita, la postazione più alta e più vera per capire l’uomo, il mondo, il destino, la poesia, l’intreccio tra vita e morte. E al tempo stesso il rifugio più alto, più inafferrabile in cui ritirarsi senza cedere alle promesse e alle speranze della fede».
Veneziani è attento a non chiudere il mito nel mondo classico o nel rifarsi al testo considerato per eccellenza espressione del mito in Pavese, ossia i Dialoghi con Leucò. Difatti, collega il mito a tanti fattori della vita e degli scritti pavesiani: l’infanzia, le adorate Langhe, la cultura classica, senza dubbio, ma un’intera concezione del mondo e della vita.
Il divenire storico appare in certa misura estraneo alla visione del mito, mentre la formazione del mito deriverebbe dal portarsi lontano dalle origini, dalle Langhe, dal paese di nascita. Il mito nasce, nel pensiero e nell’operare di Pavese, in parte sulle orme dell’irrazionale, seguendo filosofi distanti quali Giambattista Vico e Friedrich Nietzsche, evitando letture pur consolidate, come quelle operate da Benedetto Croce e Giovanni Gentile.
Da notare che la casa Einaudi, subito dopo la guerra portavoce di un marxismo ortodosso in perfetta linea con Palmiro Togliatti, con la “ditta” comunista, col “bottegone” del Pci, proibì di pubblicare Nietzsche, i cui frammenti pavesiani sono stati editi da non molti anni. Nietzsche in Pavese «non è il profeta del Superuomo, della Volontà di Potenza, e nemmeno dell’Anticristo; ma è il filosofo-filologo che ama il pensiero, la tragedia e la mitologia greca» (si noti un nuovo affiorare del motivo mitico). Veneziani si pone controcorrente pure nel ritratto di Pavese: «intellettuale solitario, disorganico, tesserato nel ’36 al Partito fascista per insegnare, poi iscritto al Pci nel 1945 ma estraneo allo storicismo marxista, censurato in vita all’Einaudi e censurato post mortem dagli intellettuali organici del Pci per il suo diario sconveniente, tenuto nascosto per ben 40 anni».
Secondo Veneziani, i rapporti difficili con la censura einaudiana derivavano anche dall’essere attratto «dal mistero del sacro nella natura e non dallo storicismo progressista». In sintesi: dialogava con gli dèi, non con l’Urss. Anche l’insistenza su temi americani risultarono sgraditi al mondo comunista, facili a cadere sotto l’accusa di fascismo (come si vede, i decenni passano senza che dal mondo progressista si cambino indirizzi). Nel periodo di guerra, inoltre, Pavese si collocò a sé. Se erano note le parole di compassione verso i caduti dell’altra parte («i morti repubblichini»), solo nel 1990 nuovi documenti pubblicati permisero di comprendere quanto Pavese potesse sentirsi vicino all’ultimo fascismo e alla socializzazione.
Non va taciuta un’annotazione di Veneziani. Pavese non soppresse le pagine preoccupanti per la sua adamantina immagine, «quasi a lasciare ai posteri la possibilità e la responsabilità di riaprirle e il compito di rifare i conti con una storia controversa, all’epoca ancora incandescente». L’adesione al mito che Veneziani attribuisce allo scrittore è netta: «Uscire dal mito è vivere spenti».
Cesare Pavese, Il mito, a cura di Marcello Veneziani, Vallecchi ed., pp. 214, euro 18