3 luglio 2023
Tags : Alessio Boni
Biografia di Alessio Boni
Alessio Boni, nato a Sarnico (Bergamo) il 4 luglio 1966 (57 anni). Attore. «Amo ricordare il più bel complimento che abbia mai ricevuto. Una volta ero a Lecce per presentare […] La meglio gioventù e, dopo la proiezione, venne una signora con la figlia, una ragazza non vedente e mia fan sfegatata. Mi disse che l’avevo emozionata perché, pur non potendo guardare i tratti del mio viso, le arrivava la mia forza interiore, il mio recitare col cuore» (a Emilia Costantini) • Secondo di tre figli maschi (il primo, Marco, a lungo motociclista, il terzo, Andrea, sacerdote). «Mio padre aveva creato un impero delle piastrelle: si aspettava che i figli maschi seguissero le sue orme, invece nessuno di noi l’ha fatto. […] Mia madre è un pilastro della famiglia: hanno sempre lavorato insieme, era un’imprenditrice nata, si occupava lei delle vendite, gestiva tutto» (a Margherita Corsi). Da adolescente, comunque, «facevo il piastrellista a Bergamo, come papà Ignazio, mio fratello, mio zio e mio cugino. Dai 14 ai 18 anni: sveglia alle 6 e 30, mattonelle, panino a pranzo, mattonelle, doccia, dalle 18 alle 23 corso serale di ragioneria, diploma con un risicato 40 su 60» (a Giovanna Cavalli). «“Nei fine settimana andavo con la mia Vespa 50 Special azzurra in riva al lago. Allora c’era tanta nebbia che non si riusciva a vedere la sponda opposta e provavo una malinconia tremenda”. Voleva scappare da quel mondo? “Non mi piaceva il concetto di vivere in un paese, non mi piaceva il fatto che fosse già stato tutto deciso per me. Insomma, non mi sentivo nella mia dimensione: volevo andare via di lì, volevo mordere la nebbia, andare sull’altra sponda”» (Anna Bogoni). «“Decisi: scappo, vado nelle forze dell’ordine. Faccio la domanda, mi prendono in Polizia. Ero contento, pensavo di diventare un Serpico, ma non mi piacevano tutte quelle gerarchie ingessate e scappo di nuovo, vado negli Stati Uniti, e ‘vedrai, lavorerò in qualche ditta importante, farò import-export, imparerò l’inglese’… Invece faccio il lavapiatti, il babysitter, anche in nero, sì, cari americani, anche in nero! Ma i soldi per mantenermi non bastano mai, e torno in Italia con le pive nel sacco. Non mi arrendo, il piastrellista proprio no, e mi metto a fare l’operatore turistico, comincio ad appassionarmi nel creare quegli spettacolini per gli ospiti del villaggio. Riuscivo sempre a coinvolgere il pubblico. Il capo animatore, osservando le mie discrete capacità di intrattenimento attoriale, un giorno mi dice: perché non provi al centro? Io lo guardo e, siccome eravamo sul Gargano, gli rispondo: il centro di Vieste? E quello ribatte: ma no, il Centro sperimentale di cinematografia! Decido di nuovo: vado a Roma, per tentare lo scritto, tanto mi cacceranno… Invece passo lo scritto, poi la seconda fase, e alla terza fatidica fase mi trovo davanti dei mostri sacri”. Chi erano? “Luigi Comencini, Giulietta Masina, Mauro Bolognini… Esordisco, con voce impostata: ‘Buongiorno’. E Comencini subito mi chiede: ‘Bergamo o Brescia?’. ‘Oddio!’, penso, ‘si sente così tanto?’. Credevo di non avere un accento così forte. E, la selezione, non la passo, però è un’iniezione di fiducia, […] perché mi sono reso conto di quanto fossi ignorante. Così cerco lavoro, lo trovo come cameriere, poi mi iscrivo alla scuola di Alessandro Fersen e qui scopro che Stanislavskij non era il centravanti di una squadra di calcio russa, ma un pedagogo del teatro. Scopro anche, grazie all’insegnante di dizione, che avevo una cadenza dialettale forte: non mi ero mai sentito, me ne accorgo durante un saggio e per la vergogna credo di non aver parlato per due giorni”» (Costantini). «Di giorno insegna in palestra, di sera fa il cameriere al Puff di Lando Fiorini, “per me come un secondo padre”. Divide una stanza con altri 4 ragazzi: “Un ballerino, un cantante, un attore e uno studente. Io declamavo i classici con la matita in bocca per correggere la dizione bergamasca. ‘Ahó, la smetti?’”» (Cavalli). «“All’inizio volevo fare solo cinema. Il teatro mi sembrava una roba noiosa per vecchi. Però una sera degli amici romani mi propongono di andare al Sistina. Non c’ero mai stato e ho chiesto consiglio su come vestirmi, figuratevi la risposta… Assisto alla Gatta Cenerentola con Peppe Barra protagonista e mi si scoperchia il cervello: capii che volevo fare teatro, e qual era la scuola più importante? L’Accademia Silvio D’Amico. Vado, mi iscrivo per fare il provino”. […] Che succede? “La commissione era severissima, erano mazzate… Mi è successa una cosa stranissima. Avevo preparato un brano da I sette contro Tebe, ma poco prima che toccasse a me non ricordavo nemmeno la battuta iniziale. Dieci secondi di terrore, una follia: mi vedo recitare dall’esterno, come se stessi in estasi. Sono arrivato fino alla fine senza rendermi conto di ciò che avevo fatto. Però superai la prova”» (Costantini). «“Se non mi avessero preso sarei andato a Milano, forse mi sarei iscritto a Psicologia”. Però l’hanno presa. “Sì. Siamo passati in 18 su 180. Era la scuola da cui erano usciti Vittorio Gassman, Gian Maria Volonté, Anna Magnani. Avevo 22-23 anni, studiavo tantissimo”. […] Suo padre come ha reagito? “Male. Per lui ero un marziano, ero il figlio che non aveva voglia di lavorare, secondo l’etica bergamasca. L’ha vissuto come un tradimento: ‘Vuoi andare via? Allora ti arrangi’. Non ci siamo parlati per due anni”» (Bogoni). «Mia madre ha fatto la differenza! Ricordo che mi disse: “Tu vai, vedrai che qualcosa riuscirai a fare, ne sono sicura!”. […] Quando studiavo a Roma ogni tanto mia madre, di nascosto da mio padre, mi mandava 200-300 mila lire. Comprendevo perfettamente il sacrificio che comportava per lei togliere dal budget di famiglia quella somma e accantonarla per me. Quel gesto significava tanto, e non soltanto in termini economici: voleva proprio dirmi “Non mollare”» (ad Agata Patrizia Saccone). «Ho frequentato l’Accademia d’arte drammatica con un grande maestro, Orazio Costa Giovangigli. Nella mia classe c’erano Gigi Lo Cascio e Fabrizio Gifuni, che sarebbero diventati i miei amici più cari. A teatro ho avuto la fortuna di lavorare con Ronconi, Peter Stein, Micha van Hoecke, ho fatto L’avaro di Molière con Strehler» (a Silvia Fumarola). «“Lavorare con Strehler è stata una grande fortuna: grazie a lui capivo le cose, entravo nei codici, e improvvisamente mi sono sciolto. Anche oggi sono un artigiano delle parole e cerco, quando mi esprimo, di toccare il pubblico”. […] Il teatro gli ha regalato incontri indimenticabili. “Mastroianni e Gassman erano grandi e mai aridi: per essere un bravo attore ti devi sensibilizzare e conoscere l’arte. Chi recita deve saper contemplare la vita e poi riuscire a portarla in scena”. Nel tempo libero leggeva qualsiasi cosa, naturalmente ad alta voce per aggiustare la pronuncia: i russi, Dante, Leopardi» (Irene Maria Scalise). «E come è arrivato in tv? “Carlo Lizzani mi scelse per La donna del treno accanto ad Antonella Fattori. Ma devo molto al personaggio di Marco Oberon in Incantesimo su Rai 1”. Parliamone: ci fu la rivolta delle fan quando lasciò la serie. “Ma no… Mi ha dato la popolarità, è stato importante, ho imparato un metodo di lavoro. Dieci ore sul set, una catena di montaggio. Ma non volevo rimanere incollato a un ruolo”» (Fumarola). All’epoca, grazie a quella parte televisiva, «Alessio è un sex symbol. “Mi offrono un calendario, rifiuto: erano un sacco di soldi”. Lascia perdere Elisa di Rivombrosa» (Cavalli). «Poi è arrivato al cinema. Dove siete? Io sono qui di Liliana Cavani, Senza paura di Stefano Calvagna, […] ma soprattutto La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana. Quello è il film che gli ha cambiato la prospettiva» (Scalise). «Biondo, occhi azzurri, una bellezza delicata perfetta per i ruoli romantici. Alessio Boni, Matteo nella Meglio gioventù, ha spiazzato tutti con un personaggio intenso, complesso, chiuso nel suo disagio esistenziale. Un giovane uomo inquieto, con pensieri, sentimenti, domande che non trovano risposta, se non in un gesto estremo. […] L’incontro con Marco Tullio Giordana ha dato una svolta alla sua carriera» (Fumarola). Era avvenuto «“grazie a Lo Cascio. Gira I cento passi e vince il David di Donatello: andiamo, io, Fabrizio Gifuni e un altro amico, a festeggiarlo. Tutti a brindare, su quel barcone sul Tevere. Una serata bellissima, eravamo più felici di lui. Giordana vede questa felicità, l’affiatamento. Si avvicina: ‘Si vede che siete amici veri’. Tre mesi dopo arriva la sceneggiatura della Meglio gioventù”. Dalla vita alla fiction. “Sì, abbiamo trasferito nel film la nostra amicizia, fatta di prestiti di soldi, case, macchine. Una fratellanza risultata vincente sullo schermo. È ovvio che io e Lo Cascio non sembriamo fratelli. Prima di iniziare vedevo la differenza: non ci somigliamo. Ma alla fine del film nessuno pensa che non siamo fratelli. Un’alchimia”» (Fumarola). «Quando acquistai un po’ di visibilità nei primi film, se usciva la mia foto sul giornale, seppi da mia madre che papà ne comprava una decina di copie e le distribuiva a parenti e paesani. Mi fece tenerezza. […] E la consacrazione arrivò con La meglio gioventù: alla presentazione al Festival di Cannes era presente la famiglia intera. Io mi giro e vedo mio padre – nordico, austero – commosso. Era orgoglioso di me, pur non riuscendo mai a dirmi “bravo”». Giordana «gli affida poi anche il ruolo del padre del bambino di Quando sei nato non puoi più nasconderti (2005) e quello del regista Golfiero Goffredi in Sanguepazzo (2008). Recita in molte serie televisive, con ruoli da protagonista, e continua a frequentare il grande schermo, spesso con ruoli di personaggi introversi e travagliati, come in La bestia nel cuore (2005) di C. Comencini, Viaggio segreto (2006) di R. Andò e Arrivederci amore, ciao (2006) di M. Soavi» (Gianni Canova). «Nel 2003 si è preso una pausa obbligata dal teatro, cinque anni: “Quando fai tanto cinema non riesci a conciliare le cose, il teatro ti assorbe continuamente, però nel 2008 mi è venuta una gran voglia di tornare sul palcoscenico e l’occasione è arrivata grazie al regista Roberto Andò e a Il dio della carneficina: per due anni sono stato in tour con Silvio Orlando e Anna Bonaiuto”» (Scalise). «Ruolo dopo ruolo, scopro nuovi mondi in cui sognare: interpreto Caravaggio, Giacomo Puccini, il principe Andrej Bolkonskij, Walter Chiari, Ulisse e perfino Dio nello spettacolo teatrale Il visitatore diretto da Valerio Binasco. […] La curiosità mi porta “dall’altra parte della barricata”. Nel 2015 esordisco alla regia teatrale con lo spettacolo I duellanti». In seguito ha continuato a recitare con grande frequenza, tanto per il cinema (La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi, Tutte le mie notti di Manfredi Lucibello, Non sono un assassino di Andrea Zaccariello, Yara di Marco Tullio Giordana, Terezín di Gabriele Guidi) quanto per la televisione (La Compagnia del Cigno di Ivan Cotroneo, Il nome della rosa di Giacomo Battiato, Enrico Piaggio. Un sogno italiano di Umberto Marino, Giorgio Ambrosoli. Il prezzo del coraggio di Alessandro Celli, Il maresciallo Fenoglio di Alessandro Casale) e per il teatro, in cui ha riscosso particolare successo come protagonista dell’adattamento di Don Chisciotte del quale ha anche curato la regia, insieme a Roberto Aldorasi e a Marcello Prayer. Prossimamente «“andrà in onda la serie Rai La lunga notte di Giacomo Campiotti, in cui interpreto Dino Grandi, il gerarca che nel 1943 destituisce Mussolini. E poi c’è il progetto per Bergamo capitale della cultura”. Che farà? “Preparo, […] con Marco Balsamo, l’Iliade che andrà in scena il 12 dicembre. Rappresenta la fine della peste, gli dèi che sfidano gli eroi: la metafora perfetta di quello che abbiamo vissuto”» (Fumarola) • Autore del romanzo autobiografico Mordere la nebbia (Solferino, 2021). «L’ho scritto durante il lockdown, dedicandolo a Lorenzo, il figlio che a cinquant’anni ha stravolto tutta la mia vita. La nebbia del titolo è quella che respiravo da ragazzino, sulle rive del lago d’Iseo. È una metafora del futuro: m’impediva di vedere l’orizzonte, e allora in bici le correvo incontro per morderla, per scoprire cosa nascondesse, proprio come fanno i ragazzi nei confronti d’un futuro incerto ma pieno di nebulose promesse. È uno sguardo a ritroso su quel che ero e che sono diventato» (a Paolo Scotti) • Due figli dalla giornalista Nina Verdelli, figlia dei celebri giornalisti Carlo Verdelli e Cipriana Dall’Orto. «I miei figli Lorenzo e Riccardo sono nati nel 2020 e nel 2021. E il periodo del Covid, durissimo, per me è stato gioioso: potevo stare a casa con la mia famiglia, recitavo le poesie con la mia compagna, Nina, col pancione, che mi riprendeva. Ero obbligato a stare con chi amo e stavo benissimo» • La prima fase della pandemia fu però anche un periodo doloroso, soprattutto per la violenza con cui la provincia di Bergamo ne fu travolta. «Ero a Milano. La mattina mia madre mi dava il bollettino: è morto questo amico, quest’altro. Zia Laura se n’è andata a 66 anni, in una bara che non abbiamo potuto salutare. Si ricorda tutti quelli che cantavano sui balconi alle 18? Io non ce la facevo. Un amico di Bergamo mi ha raccontato di morti lasciati in casa per 3-4 giorni, mascherine che non arrivavano, respiratori che non c’erano. Io ogni giorno leggevo una poesia in video, per stare accanto a chi soffriva: una pillola di bello» (Marina Cappa) • «Boni ha dovuto, sì, neutralizzare l’accento orobico, ma non ha né dimenticato né ripudiato le origini. […] “Non ho mai smesso di tifare Atalanta: accade da quando era in Serie B, perché è facile scommettere sul cavallo di razza, meno su un ronzino”» (Piera Anna Franini) • «L’amicizia è insostituibile, soprattutto per un attore. Fatalmente narcisisti, noi tendiamo a gradire soprattutto i complimenti. Difficile trovare qualcuno che ci dica la verità: più sei famoso meno hai amici sinceri. Ma dai miei, che sono ancora oggi quelli dei tempi dell’Accademia d’arte drammatica – Pierfrancesco Favino, Luigi Lo Cascio, Fabrizio Gifuni –, sono sicuro che non avrò mai giudizi ipocriti» • Ha raccontato di aver ricevuto, e rifiutato, proposte sessuali da parte di un produttore statunitense, peraltro sposato e con prole • Sostenitore di varie associazioni benefiche, tra cui Medici senza frontiere. «Se mi chiedono di prestare la mia voce per un’operazione umanitaria, o di fare un viaggio per vedere i posti dove si combatte e si soffre, mi offro al volo. Per me è un arricchimento» • Molto poco mondano. «Preferisco mangiare con un contadino piuttosto che frequentare un salotto chic» • «Non suono strumenti, solo un po’ la chitarra quand’ero quattordicenne, ma adoro l’opera, ho visto centinaia di balletti, dal Bolšoj al Mariinskij, e quando ascolto la Norma di Bellini mi vengono i brividi sulla schiena. Prima di andare in scena, per trovare il mood giusto ascolto in cuffia Chopin, se ho bisogno di uno spunto poetico; Beethoven, se me ne serve uno più vigoroso. La musica classica è per me come la poesia. Leggere riassunto in un solo verso il sentimento che io impiegherei pagine e pagine a esprimere è qualcosa di esaltante» • «Pratico diverse discipline. Yoga, soprattutto la mattina per andare in scena la sera: respirazione diaframmatica e concentrazione del corpo sugli esercizi aiutano tanto nella recitazione. Cammino, nuoto e vado in bicicletta: niente di troppo dispendioso perché il teatro richiede tanta energia, quindi non corro, sennò arriverei stremato sul palcoscenico. Quando posso, però, mi dedico all’enduro sulle dune in Tunisia, Libia e Marocco» (a Gabriella Mancini) • «Recitando fa i conti con l’egocentrismo? “Sarei ipocrita se dicessi di no, ma c’è anche l’umiltà di migliorare, di esprimere cosa hai dentro, di restituire le tue emozioni agli altri. E poi è un lavoro in cui impari a essere solidale”. […] Idealmente ha un modello? “Gian Maria Volonté, il più grande”. Capitolo bellezza, inevitabile. Lei è nato come attore da soap. “La bellezza non è l’unica risorsa nella vita, ma non voglio neanche dire che non serva. Ci vogliono anni di lavoro per scrollarti di dosso le soap, l’idea del belloccio stupido. Devi escludere tutto, esattamente come succede alle attrici, se vuoi far capire chi sei”» (Fumarola) • «Amo il mio lavoro e il vero successo per me è poter fare nella vita ciò che la mia passione – anni addietro – ha dettato alla mia scelta… Perché lo amo? Perché completa la formazione di un uomo. […] Un attore ha il dovere di afferrare il pieno significato della vita, ha il compito di interpretarla e – se riesce – rivelarla. Sarà la sua consacrazione» • «Lavoro tanto e ringrazio il cielo quando mi chiamano. Non stacco del tutto neppure in vacanza: non ne avverto il bisogno» • «Professionalmente, qual è oggi il suo sogno? “La regia cinematografica”. […] Che storia vuole dirigere? “Quella scritta da un grande autore, ma non posso anticipare altro”» (Cappa) • «Sono convinto che ogni gesto dovrebbe essere guidato da un pizzico di incoscienza e istinto. Chi lascia i sogni nel cassetto muore lentamente» (a Marica Stocchi) • «“Ben vengano gli ostacoli: non è stato un cammino in discesa, ho avuto momenti di depressione. Fare l’attore non è ‘solo’ imparare a usare la voce, avere una buona dizione, acquisire scioltezza: devi anche andare oltre, andare dentro di te”. Nella sua vita di attore ha posato per i fotoromanzi, ha girato serie tv, è stato protagonista di film importanti e di spettacoli teatrali. […] Rifarebbe tutto? “Sì, certo. Non mi sono mai posto un limite, se mi arriva un bel personaggio. Si tratta di leggere un audiolibro? Mi piace. È tv, è teatro? Non mi importa, io faccio l’attore. Le etichette sono solo italiane. Nel nostro mondo forse un po’ la pago, il cinema storce il naso, ma se mi propongono di fare Walter Chiari, Caravaggio, Ulisse, dico Ulisse in tv, mi ci butto a capofitto. Voglio migliorarmi come uomo, sempre, e decido io quale occasione professionale mi aiuta a farlo”» (Bogoni).