17 luglio 2023
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Biografia di Ignazio La Russa (Ignazio Benito Maria La Russa)
Ignazio La Russa (Ignazio Benito Maria La Russa), nato a Paternò (Catania) il 18 luglio 1947 (76 anni). Politico (Fratelli d’Italia; già Popolo della libertà, Alleanza nazionale, Movimento sociale italiano). Avvocato. Presidente del Senato (dal 13 ottobre 2022). Già ministro della Difesa (2008-2011). Senatore (dal 23 marzo 2018), ex deputato (1992-2018). Già vicepresidente del Senato (2018-2022) e della Camera (1994-1996). Cofondatore ed ex presidente (2013-2014) di Fratelli d’Italia. «Me ne frego, della liturgia! […] Se avessero voluto uno solo per dirigere il traffico dell’aula di Palazzo Madama, avrebbero potuto eleggere un semaforo. Io non rinuncio, e non rinuncerò mai, al mio pensiero» • «Il padre Nino, penalista principe del foro etneo, sposò nel 1937 Maria Concetta Oliveri, signorina di una facoltosa famiglia paternese. Poco dopo, da fervente fascista, andò in guerra e fu catturato dalle truppe britanniche […] a El Alamein, e rimase prigioniero in Egitto fino al 1946. Tornato in patria, non rinnegò le sue idee e s’iscrisse al Msi. L’anno dopo nacque Ignazio Benito Maria, secondo di quattro figli» (Mario Barresi). «Tre fratelli e una sorella. Tutti divorati dal sacro fuoco della politica, più di uno attratto dalla Fiamma. Vincenzo, storico esponente democristiano, che non c’è più, Romano, assessore Fdi alla Sicurezza della Regione Lombardia, […] Emilia unica estranea ai riflettori ma comunque militante accesa di tutte le declinazioni di quello che fu il partito di Almirante, e chiaramente Ignazio» (Maurizio Giannattasio). «Il primo atto politico, lo feci a dieci anni, alle elezioni comunali di Paternò: ci doveva essere un comizio a Ragalna, che allora era una frazione, e lo doveva tenere mio padre. Ma lui era impegnato in un comizio più importante, e allora al suo posto ci andò l’avvocato Barbaro Mirenna, che mi portò appresso. Mirenna, un avvocato eccellente, faceva parte dello studio di mio padre. Prima mi fece battere a macchina mezza paginetta di un discorso che avrei dovuto tenere. Io parlai, ma a modo mio, senza tenere conto di quella mezza paginetta. Fu il mio primo discorso politico» (a Tony Zermo). «Maestro d’oratoria e poi parlamentare di lungo corso (dopo un subentro nel 1958, cinque legislature piene dal 1972), La Russa padre incantò […] dal palco Michelangelo Virgillito. Il finanziere paternese trapiantato a Milano […] volle l’avvocato-politico al suo fianco. Fra i più spregiudicati “rialzisti” di piazza Affari, scalò Liquigas e Lanerossi, piazzando il fidatissimo compaesano ai vertici. Quando Virgillito, “il commendatore più pio d’Italia”, morì, nel 1977, La Russa senior camminava già sulle proprie gambe nei salotti della finanza meneghina: legato prima al calabrese Raffaele Ursini e poi, soprattutto, a un altro paternese doc, il più che controverso Salvatore Ligresti, che gli fece conoscere e frequentare Enrico Cuccia. In questo humus padano con striature di “muoviti fermo”, il piccolo Ignazio viene allevato da rampollo della Milano bene. Studi a St. Gallen, in un college della Svizzera tedesca, e laurea in Giurisprudenza a Pavia. Ma la politica, fragorosamente di destra, c’est de famille» (Barresi). Ignazio La Russa infatti «milita sin da giovanissimo nel Msi, e quando Almirante riorganizza i giovani militanti nel Fronte della Gioventù, all’inizio dei ’70, diventa segretario nella piazza centralissima. Astro nascente del neofascismo missino ma anche, giocoforza, ufficiale di collegamento con i duri di San Babila, qualcuno nazista, qualcuno anarchico di destra, comunque ingovernabili. La sede del Fronte è a due passi dalla piazza nera e tocca a Ignazio mantenere i contatti e gestire la manifestazione “contro la violenza rossa” del 12 aprile 1973, vietata all’ultimo momento dalle autorità. Il “giovedì nero” porta alla morte di un poliziotto, Antonio Marino, ucciso da una bomba Srcm da esercitazione. Per il Msi è un disastro. […] Il fratello minore di La Russa, Romano, è tra quelli che si scagliano contro i dirigenti del Msi. Lo stesso Ignazio rischia guai grossi sia con la magistratura che all’interno del partito, respinto di nuovo ai margini del quadro politico nel giro di un solo tremendo pomeriggio. Quel La Russa immortalato da Marco Bellocchio nella prima scena di Sbatti il mostro in prima pagina mentre dal palco esorta a unirsi “gli italiani che non hanno rinunciato a chiamarsi uomini”, capelli lunghi, la stessa barba che sfoggia oggi solo più folta e nera, sguardo spiritato, non è mai uscito di scena, non è mai stato rinnegato» (David Romoli). Allora «girava con un cane lupo, Schranz, una femmina piuttosto aggressiva di cui ha poi raccontato: “Aveva imparato da sola a reagire non appena sentiva la parola ‘compagni!’: a quel punto si metteva a cercare e ad acchiappare quelli con l’eskimo. Ma giuro che non gliel’avevo insegnato io”. Sarà» (Filippo Ceccarelli). «Una notte, sotto casa La Russa, nel centro di Milano, in via Capranica, la Fiat 500 blu di Ignazio prese fuoco. Tanti anni dopo, Alberto Franceschini, fondatore delle Brigate rosse, confessò: “Sono stato io”. Lotta continua gli aveva dedicato perfino un libretto dal titolo Picchiatelo. E lo picchiarono, ma anche La Russa ne ha date» (Carmelo Caruso). «Un ragazzo […] mi diede del fascista e mi cacciò dall’università a pedate. […] Poi lo incontrai di nuovo: gli diedi due sberle. È stata l’unica volta che ho usato le mani. Le ho prese invece una volta: la mia fidanzata, poi moglie, mi salvò da un colpo di chiave inglese in testa. Loro erano 2 mila, noi 100». «Avvocato penalista (come il padre) con studio a corso di Porta Vittoria a Milano, nella professione […] è restato fedele alle sue idee politiche: La Russa assiste la madre del giovane missino Sergio Ramelli, assassinato a Milano nel 1975, e rappresenta la parte civile nel processo contro le Brigate rosse per l’omicidio a Padova dei missini Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola (giugno 1974, il battesimo di sangue delle Br). […] Nel curriculum c’è però anche la difesa del capo delle Brigate rosse, Mario Moretti, in un processo per direttissima per porto e detenzione d’armi. Tra i suoi clienti anche Salvatore Ligresti» (Riccardo Ferrazza). «Ma La Russa ha anche preso le parti dei commercianti di via Padova, che combattevano contro il senso unico, o, ancora, quelle di un caposala, accusato di ricevere mazzette. Nel 1985 è grazie a queste sue battaglie che conquista oltre cinquemila preferenze alla Regione Lombardia. Spende oltre quaranta milioni di lire di manifesti. Un’enormità per l’epoca. […] Ignazio era […] il figlioccio di Pinuccio Tatarella, […] l’ideologo dell’Msi. […] Il 14 agosto del 1987 Tatarella, da Bari, chiama La Russa, che si trovava a Taormina, e gli dice: “Dobbiamo fare vincere Fini al congresso di Sorrento. Ci serve Maurizio (Gasparri). Dove si trova?”. Era a Vulcano con la famiglia. Si telefonavano con i gettoni. In auto, Tatarella raggiunge Catania. Da Catania, La Russa e Tatarella si spostano a Milazzo e poi, in aliscafo, a Vulcano da Gasparri. Mogli, secchiello e bermuda. C’è la foto. Ricorda Gasparri: “Fu la nostra vacanza, sospesa per ragioni politiche. Dovevamo avviare la macchina. Fini, come spesso capitava, era altrove”» (C.Caruso). «Tra i colonnelli del Msi La Russa è stato quasi sempre finiano, anche nello scontro congressuale che nel 1990 vide il falco Rauti, appoggiato da molti dei futuri alti ufficiali di An, prevalere sul moderato allora delfino di Giorgio Almirante» (Romoli). «Nel 1992 sbarca in Parlamento, alla Camera, tra le file del Msi. Due anni più tardi segue convintamente Gianfranco Fini nella scelta di svincolare definitivamente il partito dai richiami postfascisti e fondare Alleanza nazionale, di cui La Russa presiede l’assemblea congressuale che ne sancisce la nascita nel 1995. Tra il 2001 e il 2003 sarà anche capogruppo del partito alla Camera» (Fausto Caruso). La popolarità gli giunse in quegli anni, anche grazie alla fortunatissima imitazione che ne fece Fiorello. «Adesso che non è più un brutto anatroccolo, tutti da lui pretendono un “digiamolo” dal vivo, perché gli italiani ormai lo ri-conoscono, anche quelli che non lo conoscono. […] L’Unità, senza neppure un accenno di sorriso, si era appellata, sia pure dopo ventidue pagine di paziente scorrimento, all’antifascismo di Fiorello perché smettesse di imitarlo: “Non si possono dare attestati di simpatia a un post-fascista, a un erede di Mussolini”. Dunque davvero, prima di Fiorello, era un brutto anatroccolo questo politico di An con il naso adunco e righignato, con le nari larghe, la barbetta sotto il mento, le ciglia aspre come setole, gli occhi come due palle di fuoco, e l’ormai famosa voce, che è rasposa più che rauca. E difatti chi aprisse […] l’archivio di un giornale alla voce La Russa scoprirebbe mille episodi dove il sospetto fascista è descritto […] sempre come il brutto da liquidare con sprezzante e divertita intolleranza. E invece Fiorello per la prima volta gli ha dato dignità umoristica, e ha messo in scena una satira all’italiana dove la vittima sembra un compare, perché davvero La Russa incarna quello stereotipo, davvero somiglia al fascista stupido e violento. E La Russa sa di somigliargli. Perciò rivendica e cerca l’ironia, per prendere le distanze da quel sé stesso che Fiorello così bene strapazza. […] Così la più riuscita delle irrisioni ha fatto giustizia di tutte le irrisioni patite» (Francesco Merlo). Le prime tensioni con Fini si verificarono nel 2005, dopo che Nicola Imberti su Il Tempo ebbe rivelato di aver accidentalmente udito, «alla Caffetteria di piazza di Pietra, La Russa dire a Matteoli che a Fini “tremano le mani. È malato”. La Russa e Matteoli furono sollevati dalle loro cariche. La Russa si difese da avvocato: “Fini ha agito per legittima difesa putativa. È come se io ti punto una pistola giocattolo e tu spari con una Smith & Wesson”» (C. Caruso). La Russa «continua a seguire la parabola politica della destra italiana anche nella scelta di far confluire An nel Popolo della libertà di Silvio Berlusconi. Durante il quarto governo del Cavaliere […] è ministro della Difesa: in queste vesti convince Berlusconi a partecipare all’intervento internazionale in Libia contro Gheddafi nella primavera del 2011, fonda la società Difesa Servizi spa col fine di valorizzare i beni del ministero e ottiene il riconoscimento del 17 marzo come festa della proclamazione del Regno d’Italia» (F. Caruso). Tra i progetti a lui più cari quello della mini-naja, «uno stage di tre settimane per chi, tra i 18 e i 30 anni, desidera formarsi per il volontariato e avvicinarsi ai valori militari» (a Giulia Cerasoli). Nel 2010, quando Fini abbandonò polemicamente il Pdl per costituire Futuro e libertà per l’Italia (Fli), La Russa scelse di rimanere nel partito guidato da Berlusconi. «La verità è che io avrei potuto seguire Gianfranco se avesse rotto con Berlusconi su posizioni di destra, da destra, e non con quella tragica deriva centrista, che la sinistra addirittura salutava con tutti gli onori, in visibilio… […] Comunque, sì, certo: un rimpianto rimane. Fini poteva essere il leader di un grande centrodestra, e invece ha deciso di autodistruggersi» (a Fabrizio Roncone). Nel dicembre 2012, dopo che Berlusconi ebbe annullato d’imperio le annunciate primarie del Popolo della libertà, fu La Russa stesso a promuovere una scissione «da destra». «Io ero andato da Berlusconi a dirgli che volevo fare una separazione consensuale e lui, con la cortesia dell’ospite che però non vede l’ora di mandarti a casa, mi diceva “Ma no, Ignazio, rimanete, c’è spazio per tutti”. “Silvio, ma tu vuoi rifare Forza Italia: che c’entriamo noi?”. Poi lancio Centrodestra nazionale in diretta da Vespa. Arrivano Giorgia, Guido Crosetto e Rampelli. Poi tra cento nomi decidiamo che quello con più appeal è Fratelli d’Italia» (a Tommaso Labate). Cofondatore e primo presidente del partito (fino al 9 marzo 2014, quando gli subentrò Giorgia Meloni), tra le file di Fratelli d’Italia La Russa fu confermato alla Camera nel 2013 e quindi eletto al Senato nel 2018 e nel 2022. Il 13 ottobre 2022 l’aula di Palazzo Madama lo proclamò presidente al primo scrutinio, con 116 voti (12 più del necessario), nonostante il rifiuto dei senatori di Forza Italia, con la sola eccezione del presidente uscente Maria Elisabetta Alberti Casellati e di Silvio Berlusconi (che pure poco prima, a quattr’occhi, era parso rivolgergli un improperio). «“Devo dire che essere stato eletto anche con voti non del centrodestra rende la mia elezione ancora più emozionante”. […] Nel suo discorso c’è l’offerta di una riconciliazione, e forse non poteva essere altrimenti dopo aver ricevuto la seconda carica dello Stato dalle mani di Liliana Segre, la bambina ebrea sopravvissuta alla Shoah che ha commosso tutti, gelando l’anima di molti colleghi di partito di La Russa. Lui però ci crede, che la storia deve chiudere i suoi conti. “Dopo il discorso mi ha chiamato Luciano Violante. Mi ha fatto piacere citarlo. Dovevo, perché fu coraggioso lui a citare i ragazzi di Salò quando si insediò (da presidente della Camera, del Pds, nel 1996, ndr). Io sono il secondo a parlare di riconciliazione. Spero che questa sia l’occasione giusta e che non la inseguiremo per sempre”» (Ilario Lombardo). Pochi giorni prima della Festa della Liberazione del 2023, che avrebbe poi onorato partecipando alla cerimonia ufficiale presso l’Altare della Patria, «la seconda carica dello Stato dice di “condividere appieno i valori della Resistenza, vista come superamento di una dittatura”. Ma fa subito un distinguo: “Il problema è che di quei valori si sono appropriati il Pci e poi la sinistra. Questo è un fatto storico. E a questo mi sono sempre opposto”. […] Sottolinea: “Nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo”. […] “Quante inutili polemiche […] sulle mie frasi. C’è stata una bufera quando ho ricordato la nascita del Msi. Mi permetto di rammentare che ai funerali di Almirante c’era pure il presidente della Repubblica”. In realtà pure altre dichiarazioni del presidente del Senato hanno portato le opposizioni a contestarne l’imparzialità. Come l’infelice – e poi corretta – rivisitazione dell’eccidio di via Rasella: “Quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti”, esclamò prima di chiedere scusa. La Russa dice di non avere nulla da dimostrare: “Il fatto che io abbia sposato la svolta di Fiuggi parla di me. Che devo fare?”» (Emanuele Lauria). «Ha detto che a volte, come seconda carica dello Stato, si sente “inadeguato”. “Ma poi ho aggiunto: è poco se mi considero, ma è molto se mi confronto… E scusate l’immodestia”» (Lorenzo De Cicco) • Tre figli: Antonino Geronimo dalla prima moglie Marika Cattare, Lorenzo Cochis e Leonardo Apache dalla seconda e attuale consorte Laura De Cicco. «Si nota che sono un appassionato di storia delle tribù indiane d’America?». «Per ora l’unico che sta ricalcando le orme di Ignazio è il secondogenito Lorenzo Cochis, che è stato eletto nel parlamentino di zona nel centro città [a Milano – ndr]. Geronimo fa l’avvocato ed è presidente dell’Automobile Club di Milano. […] Mentre il più giovane Leonardo Apache […] si sta facendo le ossa come rapper con il nome d’arte di Larus. Prima canzone e primo testo, per la gioia di papà: “Sono tutto matto, sono tutto fatto, sono tutto pazzo, ma ti fotto pure senza storie”» (Giannattasio). Il 3 luglio 2023 l’ultimogenito è stato accusato di stupro da una ragazza: negando ogni violenza, il giovane è stato pubblicamente difeso dal padre (poi censurato dalla Meloni) • Molte polemiche dopo che ebbe mostrato alle telecamere alcuni cimeli fascisti presenti nella sua casa milanese, che spiegò poi essere ricordi di famiglia. «La mia cifra politica non è mai stata come cercano di dipingerla. Anzi, ero agli antipodi rispetto ai nostalgici, nel Msi» • «Tifosissimo dell’Inter, […] è azionista di minoranza del Biscione con 10 mila quote. È inoltre grande appassionato di libri fantascientifici e cani» (Massimo Balsamo). «Droghe, mai: “Figuriamoci, io non digerisco neppure i peperoni”. […] Il piatto della vita è la pastasciutta con le melanzane. La canzone: Compagno di scuola di Venditti» (C. Caruso) • «Vip mondanissimo, beniamino di Novella 2000» (Ceccarelli) • «Voce e ironia graffianti» (Virginia Piccolillo). «Più che un patriota, un simpatico marpione o un fantasista esibizionista: l’impressione è che sia vissuto dal grande pubblico come una figura, un personaggio, una maschera e insieme una macchietta al di là del bene e del male» (Ceccarelli). «Il fumetto della destra italiana. […] A La Russa, anche per merito di Fiorello e della sua imitazione, è stato perdonato molto perché La Russa permette ai giornalisti l’evasione, la scrittura, la caricatura. […] I giornalisti, li ha sempre adorati, e maltrattati. Concita De Gregorio, con La Russa, è diventata “Concitina”. A Corrado Formigli pestò i piedi (c’è il video). Si è rotolato nel fango in tutti i sensi (andò ospite da Paolo Bonolis a Ciao Darwin, il programma giungla della televisione italiana) ma si è preso anche le torte in faccia del Bagaglino. Grazie a queste sue scorrerie televisive, alla sua straordinaria resistenza, abbiamo dimenticato gli anni duri di La Russa» (C. Caruso). «Pittoresco scacciapensieri» (Alessandro Giuli) • «La Russa è come la sinistra-sinistra desidera. Si offre come punching ball dello sdegno democratico» (Ugo Magri) • «Entrato in Parlamento nel ’92 inneggiando a Mani pulite, nella cosiddetta Seconda Repubblica ha scaricato i magistrati e […] ha saputo costruirsi una macchina di potere in grado di condizionare affari e politica» (Paolo Biondani) • «Quanto è cambiato dal comizio del 1972 che compare nel film di Bellocchio? “Sono cambiati i tempi, siamo cambiati tutti, le parole che dicevo allora però potrei ripeterle oggi: ‘Viva l’Italia’ e ‘Bisogna superare fascismo e antifascismo’. Già allora il desiderio era di pacificazione”» (Paolo Colonnello).