24 luglio 2023
Tags : Sabina Guzzanti
Biografia di Sabina Guzzanti
Sabina Guzzanti, nata a Roma il 25 luglio 1963 (60 anni). Autrice e interprete satirica. Regista. «La satira nasce da un impulso, quando vedi qualcosa che odi. L’odio è prezioso. Il conflitto è importante per la società» • Prima dei tre figli nati dal matrimonio tra il giornalista e politico Paolo Guzzanti e la sua prima moglie Germana Antonucci, è sorella maggiore di Corrado (1965) e Caterina (1976). «“Tutti e tre siamo molto legati. […] Quando ci ritroviamo – e avviene abbastanza spesso – a casa, succede una cosa curiosa: ci mettiamo a parlare in un modo tutto nostro, una specie di lingua segreta, velocissima, a scatti. La capiamo solo noi: una questione di vibrazioni. E poi scoppiamo a ridere come tre matti”. Tutti e tre comici. “Non è casuale, sa?”. Perché? “La comicità è spesso una reazione alla sofferenza”. Infanzia difficile? “Diciamo complessa. […] Mamma e papà andavano ancora all’università quando siamo nati io e Corrado. Giovanissimi… Il loro è stato un rapporto burrascoso, si sono separati più volte e questo ha preso molta della loro attenzione, che, dunque, non è arrivata a noi. Ma ci sono state anche cose belle”. Per esempio? “Ci hanno insegnato a esercitare lo spirito critico. Io ho fatto la scuola montessoriana, quindi sperimentale, eppure ero una ribelle fin da bambina. Un giorno radunai tutte le sedie che potei trovare e costruii due enormi navi in corridoio. Mi fecero capire che non stava bene: i bidelli impiegarono sette ore per rimettere tutto a posto. Io stavo solo facendo teatro”. Era brava a scuola? “Ho letto Gramsci in seconda media, in terza ho messo mano al Manifesto di Marx ed Engels. Scrivevo commedie sin dalle elementari. Certo, erano commedie scritte da una bambina”» (Roberta Scorranese). «“Mio padre ci ha trasmesso attenzione e conoscenza per il comico in generale”. Faceva le facce, le voci. Imitò pubblicamente Pertini… “È vero, aveva una certa dimestichezza con le imitazioni. Ma ci faceva soprattutto leggere molti fumetti, ci faceva ascoltare Arbore. Ci trasmetteva la sua passione per Dario Fo, per Franca Valeri. Questo mi è tornato utile”» (a Claudio Sabelli Fioretti). «Ho cominciato a recitare verso i 16, 17 anni, negli spettacoli scolastici organizzati dalla professoressa di greco. Mi dicevano che ero intonata, avevo una certa naturalezza e facevo un grande uso di cipolle per le scene in cui dovevo piangere. Gradualmente ho capito che recitare mi piaceva. […] A un certo punto ho intuito che recitare poteva coincidere con una ricerca profonda capace di coinvolgere tutto il mio essere, quasi un’esperienza mistica» (a Fulvia Caprara). Dapprima iscrittasi alla facoltà di Filosofia, l’abbandonò per l’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico. «Quando mi iscrissi all’Accademia di arte drammatica, mi caddero le braccia: si faceva Alfieri, quando io sognavo un teatro diverso, nuovo. Se mi ribellai? No, perché sapevo che c’era una strada da seguire. In classe con me c’era Margherita Buy, che già allora era Margherita Buy. L’anno dopo arrivarono Zingaretti e Popolizio». In accademia «“ho avuto un paio di punti di riferimento. Uno fu Luca Ronconi, l’altro Aldo Trionfo, almeno fino a quando non subì un’involuzione. Ci fece scoprire Carmelo Bene, amare Jean Genet. Sapeva come muoversi nel linguaggio delle avanguardie. Poi come direttore dell’Accademia fu deludente”. Quanto a Ronconi? “Veniva dalla stessa Accademia, dove si era formato negli anni Cinquanta. Negli anni in cui c’ero io seguiva i saggi di recitazione di alcuni allievi. Lo ricordo molto spiritoso. Poteva prendere la frase di un testo teatrale e ricamarci all’infinito. Poteva parlarti di una cosa precisa, che so, il colore di un fiore o di una stoffa, e darti contemporaneamente l’idea dell’ampiezza che c’era dietro a ogni parola pronunciata. Ero affascinata ma al tempo stesso mi sentivo totalmente inadeguata”. Perché inadeguata? “La sensazione era di grande incertezza sulla strada da intraprendere. Oltretutto, ci fu una specie di cortocircuito durante il saggio finale. Ci avevano affibbiato, credo su istigazione di Trionfo, dei monologhi secenteschi, roba difficile scritta in lingua barocca. Andai in scena per ultima”. Che accadde? “Dovevo interpretare una condannata a morte. Puoi immaginarti a vent’anni con che spirito. Vabbè, entro in scena e subito dal pubblico parte un urlo: ‘Nuda!’. In quel momento mi girarono talmente le scatole che sarei scesa dal palco e avrei preso quel tizio a capocciate”» (Antonio Gnoli). «Mi sono diplomata all’Accademia d’arte drammatica, sono stata disoccupata per anni e anni e mi sono messa a lavorare da sola perché non mi voleva nessuno. All’inizio usavo molto i testi di Corrado e mi occupavo di persona della raccolta dei soldi necessari a mettere in piedi gli spettacoli». «Comica per necessità», conquistò pubblico e critica già al suo esordio teatrale: nel 1987, in Il tempo restringe, «spettacolo scritto per lei da suo fratello Corrado con apporti di suggerimenti e di idee direttamente suoi, presenta una sfilza di personaggi femminili tutti tolti di peso dal mondo dello spettacolo, soprattutto televisivo. “L’idea di questo spettacolino mi è venuta perché, dovendo andare a fare un provino per la trasmissione di Trapani Proffimamente e non avendo niente di pronto, ho pensato insieme a mio fratello di buttar giù qualche appunto di satira di costume. Ovvio che, trattandosi di una base per uno spettacolo televisivo, la televisione e i suoi divismi ne fossero il principale obiettivo”» (Simonetta Robiony). Proffimamente non stop (Rai 1, 1987) rappresentò il suo «battesimo con la censura. Ero vestita da suora e stavo per entrare in scena, quando un funzionario mi bloccò, dicendo che non potevo andare in onda così conciata. Punto e a casa». La Guzzanti si presentò allora al Politecnico, «un teatro romano aperto a ogni proposta, dove è andata in scena con il suo Il tempo restringe. Ed è stato subito il successo: tre settimane di repliche e un record d’incassi che l’ha portata a furor di critiche sul palcoscenico di Riso in Italy, la rassegna di teatro comico della primavera romana, che l’ha definitivamente consacrata tra le speranze del teatro italiano. È venuta fuori una partecipazione al film Affetti speciali con i Gemelli Ruggeri, un piccolo ruolo ne I ragazzi di via Panisperna di Gianni Amelio, il programma tv Matrjoška, […] con Antonio Ricci» (Robiony). «“Io mi ero messa l’animo in pace quando Antonio Ricci mi chiamò per far parte del gruppo. Italia 1, seconda serata, c’era Moana Pozzi…”. Certo, a un certo punto apparve nuda. “Era bellissima. Io un giorno mi avvicinai per parlarle, così, tanto per fare conversazione, e lei mi guardò dall’alto in basso come si guarda una nullità. Poi se ne andò senza dire una parola”. Anche Matrjoška venne censurato. “Ovviamente. Ricci era geniale, sapeva – e sa – fare la televisione”» (Scorranese). Il grande successo le giunse tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà dei Novanta partecipando ai programmi satirici condotti da Serena Dandini su Rai 3 (La tv delle ragazze, Scusate l’interruzione, Tunnel, Avanzi), in cui rivelò tutto il suo talento di imitatrice, qualifica che avrebbe in seguito accolto con fastidio. «Io, le imitazioni, in passato le ho fatte perché dovevo lavorare: mica sono stata sempre convinta di saperle fare. Tutto cominciò con Rita Levi Montalcini. Ero in cucina, la sentii alla tv e cominciai a fare la sua voce. Il mio compagno di allora arrivò con gli occhi spalancati e disse: “Ma sei uguale”. E così cominciai». «Claudio Martelli, Silvio Berlusconi, Irene Pivetti, Valeria Marini, Ambra, Che Guevara, Massimo D’Alema. Meglio di Zelig. Ogni volta entra nel personaggio, lo viviseziona, lo frulla. Poi lo restituisce ai telespettatori come un clone, più reale del reale ma con le contraddizioni spiattellate senza misericordia. Un’operazione radicale, spietata, che Sabina Guzzanti conduce col sorriso sulle labbra. […] “Le imitazioni sono un sistema per sfruttare meglio il mezzo televisivo. Usando un personaggio noto a tutti – un primo grado di lettura universale – si salta la prima fase di contatto col telespettatore”. Comunque sempre imitazioni sono. “Dal punto di vista della recitazione sono personaggi che non esistono. La mia Marini è surreale. E anche D’Alema. Un D’Alema che si innamora di se stesso non è un’imitazione. Come anche il Martelli che lascia la politica e apprezza il gusto della vita. Si ricorda?” Ricordo. Loro come la prendono? “In silenzio. Quando i giornalisti glielo chiedono, rispondono sempre ‘Mi sono molto divertito’”» (Sabelli Fioretti). «Nello scegliere un personaggio, innanzitutto cerco una chiave, un motivo per cui sfotterlo, un archetipo, una malattia, un filone di decomposizione della nostra società. Se trovo questa chiave procedo, altrimenti no. […] Non faccio la fatica di entrare nei percorsi mentali di un altro se questo racconta solo di se stesso. Non ne vale proprio la pena» (ad Alessandra Rota). «La lunga militanza nell’intrattenimento televisivo […] rivela un talento versatile ed eclettico del quale il cinema – a differenza del teatro – si serve in poche occasioni. Di solito impiegata in piccoli ruoli, ancorché gustosi (come in I cammelli, 1988, di G. Bertolucci), ha la possibilità di riversare il suo istrionismo camaleontico nei tredici personaggi – alcuni creati ex novo, altri mutuati dal repertorio televisivo – interpretati in quell’autentico one (wo)man show che è Troppo sole (1994) di G. Bertolucci» (Gianni Canova). «Troppo sole è anche il titolo della canzone che hai portato a Sanremo nel 1995… “Sì. È stato un rituale per far cadere il governo Berlusconi, che effettivamente, poi, cadde [in realtà quell’anno la rassegna canora iniziò il 21 febbraio, oltre un mese dopo la caduta del Berlusconi I – ndr]. Ero vestita da squaw con una ‘Riserva indiana’: un gruppo composto da una Daria Bignardi ancora non famosa, da Antonio Ricci, Sandro Curzi e Nichi Vendola. Li convinsi facilmente, perché tutti alla fine vogliono andare a Sanremo”» (Vladimir Luxuria). «Nel 2002 esordisce nella regia con Bimba. È clonata una stella, dove interpreta una donna vistosa e procace che scopre di essere il clone di un’attricetta americana» (Canova): fu un fiasco, tanto di pubblico quanto di critica. Nel frattempo la Guzzanti continuava invece a partecipare con successo ai programmi satirici condotti da Serena Dandini su Rai 2 (Pippo Chennedy Show, L’ottavo nano), e iniziò a condurne di propri: dapprima La posta del cuore (Rai 2, 1998), quindi Raiot. Armi di distrazione di massa (Rai 3, 2003), molto connotato politicamente e sospeso all’unanimità dal consiglio d’amministrazione della Rai dopo la messa in onda della prima puntata, cui era seguita una querela da parte di Mediaset per «gravissime menzogne e insinuazioni» (poi archiviata). «C’è stato un tentativo evidente di guadagnarsi la censura da parte della Guzzanti, che ha associato alla satira, cioè al suo mestiere, un altro mestiere, quello del comizio politico “de paese”, “de borgata”. […] Se uno attraverso la satira – come avvenne con Daniele Luttazzi – vuole fare campagna elettorale a favore del proprio partito, non va più in televisione. Molto semplice: non è censura, sono regole, regole sane» (Giuliano Ferrara). «C’è una Sabina pre-Raiot e una post. Quella puntata, […] più che la sua cancellazione, segna l’inizio di un incupimento che negli anni successivi soffocherà ogni ricordo delle risate bipartisan suscitate dalle sue imitazioni e dai suoi travestimenti della prima ora» (Giuseppe Marino). Emblematico il suo intervento alla manifestazione antiberlusconiana «No Cav Day» organizzata l’8 luglio 2008 in piazza Navona a Roma: le volgarità proferite in quell’occasione dalla Guzzanti le valsero l’iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura di Roma per le offese indirizzate a papa Benedetto XVI (l’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano negò poi l’autorizzazione a procedere «ben conoscendo lo spessore e la capacità di perdono del Papa») e una causa civile per diffamazione intentatale dall’allora ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna, che nel 2012 la Guzzanti sarebbe poi stata condannata a risarcire con 40 mila euro. Nel frattempo, «nel 2006 vince il Nastro d’argento per il miglior documentario con Viva Zapatero! (2005), in cui, ripercorrendo le vicende che hanno portato alla chiusura del suo programma televisivo Raiot (2003), ragiona sulla libertà di informazione. Riunire una banda di comici per sostenere la causa dell’estinzione delle aragoste in Sardegna è, invece, il pretesto narrativo alla base dell’incontro tra vecchi amici in Le ragioni dell’aragosta (2007), dove approfitta di un evento inventato per raccontare piccole storie di amicizie, ironie, malinconie e riflessioni sulla funzione della satira nella società» (Canova). Seguirono i documentari Draquila. L’Italia che trema (2010), sulla ricostruzione successiva al terremoto avvenuto a L’Aquila il 6 aprile 2009, Franca, la prima (2011), su Franca Valeri, La trattativa (2014), sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, e Spin Time. Che fatica la democrazia! (2021), sull’occupazione di un palazzo del centro di Roma, raffigurato come un laboratorio di democrazia e di cultura. Rare, negli ultimi anni, le sue apparizioni televisive, concentrate su La7, dove nel 2012 condusse Un due tre stella (Aldo Grasso: «Guzzanti ha molti rospi da togliersi ma il programma procede tra noia e tristezza, tra comizietti e saccenterie: propaganda infida») e in seguito ha partecipato più volte a Piazzapulita e a Propaganda live. Più intenso il suo impegno su internet, dove ha lungamente curato la serie satirica Tg Porco. Informazione e vendetta, in teatro (da ultimo col suo Le verdi colline dell’Africa, ispirato a Insulti al pubblico di Peter Handke) e nella narrativa distopica, con 2119. La disfatta dei Sapiens (Harper Collins Italia, 2021), incentrato sulla difesa del libero arbitrio («Nel futuro che racconto, il 2119, ne è rimasto molto poco: c’è un algoritmo che sta per cancellarlo completamente, e un gruppo di eroi impedisce che ciò avvenga»), e ANonniMus. Vecchi rivoluzionari contro giovani robot (Harper Collins Italia, 2023), «una commedia in cui un gruppo di hacker della terza età si diverte a far fallire un raffinato sistema di intelligenza artificiale. Fa ridere, però secondo me questo è un tema serio: mi sconvolge vedere con quanta allegria e spensieratezza ci affidiamo alla tecnologia». «Quali progetti ha ora? “Vorrei girare un film, ma dovrei trovare un sacco di soldi, e sono un po’ negata per questo aspetto del lavoro. Poi continuo a scrivere, fare teatro e andare a Propaganda live su La7”» (Miriam Massone) • Nubile. Alle spalle una relazione con David Riondino. «Siamo stati insieme tanti anni. Un amore bello e complesso, lui colto e gentile. Una storia lunga, complicata, ma oggi siamo molto amici» • Già buddista. «“Lo sono stata per anni e ha rappresentato un modo di conoscermi meglio. Non pratico più”. Perché? “Ha smesso di parlarmi”» (Gnoli) • In passato ha dichiarato di aver votato per Sinistra e libertà e per il Movimento 5 stelle. «Tutto sommato, nelle sue varie imitazioni, ha trattato bene Giorgia Meloni… “Ho stima per lei. Una donna presidente del Consiglio penso ci faccia sentire tutte più forti”. […] Ha mai desiderato candidarsi con qualche partito? “Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello”» (Emilia Costantini) • Alla morte di Silvio Berlusconi (1936-2023), ha pubblicato su internet una propria fotografia in cui si sta truccando per imitarlo, commentando: «Non posso dire che mi mancherà, ma…» • Ha dichiarato di aver perso oltre 150 mila euro con le truffe finanziarie di Roberto Torregiani, socio del «Madoff dei Parioli» Gianfranco Lande. «Mi sono sentita un’imbecille, sensazione che non fa mai bene» • Grande passione per la fantascienza, letteraria (soprattutto Isaac Asimov) e cinematografica (incluso Avatar), e per la musica classica. «Mio nonno era musicista: mi ha insegnato il solfeggio e le basi. Ho sempre ascoltato Bach e Schumann» • Nel 2022 ha conseguito la patente nautica senza limiti • «Dai l’impressione, a volte, di essere molto dura. […] “Quella che tu chiami durezza è un bisogno di coerenza e di verifica che le mie azioni corrispondano alle idee che difendo o condivido. Ma poi nella vita privata sono molto mite. La timidezza può fare degli scherzi”. […] Che difetti ti riconosci? “Di essere troppo giudicante sia verso me stessa che nei riguardi degli altri”» (Gnoli). «Sono molto più stronza di come mi dipingete» • Ha dichiarato di non avere televisori in casa • «Distinguerei tra web e social. Il web resta uno strumento democratico, i social sono invece uno strumento di manipolazione, fatto apposta per creare dipendenza e per controllare la gente» (a Renato Franco) • «Chi è che fa ridere di gusto Sabina Guzzanti? “Checco Zalone. E poi, certo, mio fratello”» (Scorranese) • «L’essenza della satira di Sabina è di voltare le spalle alla morale corrente» (Corrado Formigli). «Teppistella ignorante» (Ferrara) • «Non mi sento un’attrice. […] Sono sempre stata un’autrice, che elabora i propri testi, dove la scrittura è fondamentale» (a Gnoli, nel marzo 2021). «Non mi considero un’imitatrice, ma un’attrice» (a Luxuria, nell’aprile 2022) • «La satira esercita il senso critico basato sulla propria onestà intellettuale. Quando ci sono ammiccamenti vari, non è satira». «Oggi tutto “non è” qualcosa. La satira non è satira, l’informazione non è informazione, volendo questo parlamento non è un parlamento. Ops…» • «La televisione ha esaltato le tue qualità satiriche, ma ti ha anche messa da parte. “Ho sofferto per un ingiusto ostracismo, frutto di conformismo e pavidità. Ma alla fine non fare televisione è stata anche una salvezza: ho avuto il tempo per dedicarmi ad altre cose, ai documentari e alla scrittura”» (Gnoli) • «Tornassi indietro rifarei tutto, magari meglio» (a Stefano Landi).