26 luglio 2023
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Biografia di Marco Boato
Marco Boato, nato a Venezia il 27 luglio 1944 (79 anni). Politico. Docente universitario. Giornalista. Dal luglio 2021 co-presidente del consiglio federale di Europa Verde. Ex Lotta continua e Dp, nel 1979 e 1983 fu eletto deputato con il Partito radicale, nell’87 senatore con il gruppo Federalista Europeo, nel 1992 deputato con i Verdi, nel 1996 deputato con l’Ulivo (relatore alla Commissione Bicamerale sulla riforma della giustizia), nel 2001 deputato con il Girasole (firmò la legge per la distruzione delle intercettazioni riguardanti i parlamentari, bocciata dalla Consulta nel 2007), nel 2006 deputato con i Verdi (Segretario di Presidenza), nel 2008 non fu ricandidato («Prc mi ha messo il veto e, in nome del rinnovamento, ha proposto Lidia Menapace, 85 anni»).
Titoli di testa «Ho la politica nelle ossa».
Vita Madre cattolica, papà laico, entrambi iscritti al Partito d’Azione. Tra i primi studenti della neonata facoltà di Trento: «Mi iscrissi nel ’63, ero la matricola 250. Feci il mio tema di maturità su argomenti di sociologia, vinsi il premio nazionale Enciclopedia italiana e mi iscrissi». «Arriva a Trento nel 1963, dove fonda il Gruppo democratico Intesa universitaria triestina, di cui fa parte anche Renato Curcio. È una strana figura di contestatore: veste in giacca e cravatta e va ogni giorno a messa (è un ex chierichetto). “Era potentemente cattolico”. Partecipa a tutte le maggiori occupazioni avvenute in Facoltà, dal 1966 al 1968. Intervistato dalla Rai nel 1968 dirà: “Il nostro obiettivo è esportare la rivoluzione nelle fabbriche”» [Diario] • «La nostra laurea non valeva nulla e ne volevamo il riconoscimento, il movimento esplose per quello: nessun intento rivoluzionario all’inizio. La prima occupazione nel gennaio ’66 durò 18 giorni. Poi ce ne fu una seconda per il piano di studi. A marzo ’67 la protesta si radicalizzò perché il rettore Volpato chiese l’intervento della polizia durante una settimana di dibattiti sul Vietnam. Nel ’68 ci fu un’altra occupazione, 67 giorni, ma finì con un accordo» • «Il movimento studentesco fu un movimento di modernizzazione ed ebbe un impatto molto forte sulle strutture sociali e le gerarchie ecclesiali. La Chiesa subì dei contraccolpi sperimentando un’emorragia di sacerdoti e la riduzione degli ingressi in seminario. Per molti di noi fu anche un momento di crisi personale, perché era difficile conciliare la dimensione della fede con quella politica. E molti scelsero di allontanarsi dalla fede. Da cattolico praticante non ho vissuto quegli anni in modo traumatico, anzi furono anni di grande arricchimento sia sul piano politico che religioso» • «Una fotografia in bianco e nero lo ritrae venticinquenne, in piazza del Duomo, mentre si gode i primi passi di libertà dopo sei giorni di custodia cautelare. Dietro di lui Mauro Rostagno, che sarà ucciso dalla mafia nel 1988; accanto, un compagno che di lì a poco sceglierà la lotta armata. Boato era il leader di Lotta Continua in Trentino, e un rapporto dei carabinieri lo accusava di essersi presentato a una manifestazione armato e mascherato: “Tutte falsità, perché io il ’68 l’ho fatto in giacca e cravatta rifuggendo ogni forma di violenza, anche di piazza”. Fu assolto, e viene da dire ovviamente: l’impressione è che, oltre alla violenza, nei suoi primi settantott’anni di vita Boato abbia frequentato poco anche la semplice scortesia» [Raffaele Oriani, il venerdì] • Nel 1969 fonda, assieme ad Adriano Sofri, Paolo Sorbi, Mauro Rostagno, Guido Viale, Paolo Brogi e Giorgio Pietrostefani il movimento politico comunista Lotta Continua • Mario Monti raccontò all’Espresso del suo primo incarico universitario alla facoltà di Sociologia di Trento, nel 1969, quando incontrò Boato: «Ero un docente e mi comportavo come tale. Capo del movimento era Marco Boato e ricordo che il primo giorno lui e altri leader studenteschi, che davano del tu ai docenti, dissero quasi incidentalmente: “Ah, naturalmente faremo l’esame politico a ognuno di voi”. Quella notte non ho mica dormito» [Stefania Rossini, l’Espresso] • «Lotta continua, e altre formazioni della nuova sinistra di allora, nacquero verso la fine degli anni ’60, in diretto rapporto con i movimenti studenteschi e operai del “biennio rosso” ’68-’69. Contro questi movimenti si scatenò la strategia della tensione e delle stragi, a partire da Piazza Fontana il 12 dicembre 1969 a Milano e con diversi tentativi golpisti nella prima metà degli anni ’70. Al terrorismo di destra, anche con complicità istituzionali negli apparati dello Stato, cominciò purtroppo a contrapporsi anche un terrorismo di sinistra, illudendosi di potersi sostituire alla forza dei movimenti con la lotta armata. Nacquero così le Brigate rosse, poi Prima Linea, i Nap, Azione Rivoluzionaria e molti altri gruppi minori, con una varietà crescente di sigle, anche in concorrenza tra di loro. Bisogna tuttavia non ridurre gli anni ’70 solo al terrorismo nelle sue diverse matrici. Sull’onda dei movimenti collettivi e anche del forte movimento femminista, negli anni ’70 e oltre si ottennero sul piano politico-istituzionale molte conquiste per i diritti civili: referendum, divorzio, maggiore età a 18 anni, obiezione di coscienza al servizio militare, consultori, diritto di famiglia, decreti delegati per la scuola, riforma penitenziaria, chiusura degli ospedali psichiatrici, servizio sanitario nazionale, interruzione volontaria della gravidanza, riforma della polizia, rappresentanza militare e anche il diritto di cambiare sesso. Non bisogna ridurre gli anni ’70 solo agli “anni di piombo» [Gianfranco Mascia, Ecologica] • Nel 1973 fu tra i promotori dell’organizzazione politica e culturale Cristiani per il Socialismo • «È sempre stato un grande oratore, fin dai cortei degli anni Settanta; fu lui, tanto per capirci, a esser spedito a tirare le fila conclusive della tre giorni di convegno sulla repressione (dove nulla ormai poteva esser ridotto a unità) che a Bologna, nel 77, segnava la fine di una stagione, preannunciando il riflusso. E fu scelto per una ragione semplice: era uno dei più bravi a parlare, ma anche uno che, cattolico e lontanissimo da qualsiasi tentazione violenta, non se la faceva sotto dalla paura considerando che in sala c’era gente - come si saprà ufficialmente poi - con la P38 dentro lo spolverino» [Jacopo Jacoboni, Sta] • Debuttò nel ’79 tra i radicali. Ammira ancora Marco Pannella? «Figura straordinaria. Ma per continuare ad amare Pannella bisogna stargli a distanza di sicurezza. Quando dopo tre anni lasciai il Pr per fondare con Alex Langer i Verdi, scrissi a Marco e alla Bonino: “Non sono uscito per le vostre idee, ma per la vostra prassi. Nelle une siete liberali, nell’altra intolleranti”...» [Giancarlo Perna, Il Giornale] • «Dalla primavera 1979 io sono stato eletto alla Camera dei deputati come indipendente nelle liste del Partito radicale. Da allora io non ho mai cessato di visitare le carceri italiane, lungo le mie sei legislature parlamentari. Ma soprattutto alla fine degli anni ’70 e durante gli anni ’80 ho incontrato nelle carceri, oltre ai detenuti “normali”, moltissimi detenuti “politici”, sia di sinistra che di destra. Ho cercato in quegli anni di promuovere il processo di “dissociazione” dal terrorismo, e conseguentemente ho anche presentato per primo una proposta di legge, che poi è stata ripresa e approvata. Nessuno all’epoca andava a parlare con i detenuti di destra, ma io decisi di farlo. Una volta a Roma e una volta a Padova, due di questi, ormai usciti dal carcere, vennero a cercarmi per ringraziarmi di aver rotto il muro che li circondava. Con i detenuti di sinistra – tra cui molti degli arrestati delle inchieste padovane del “7 aprile” e poi del “21 dicembre” – stabilii un dialogo e un confronto, tanto più credibile quanto più forte era stato lo scontro politico precedente. Mi ero sempre battuto contro il terrorismo e anche più in generale la violenza politica, ma avevo sempre adottato un atteggiamento garantista con tutti e non avevo mai condiviso i “teoremi” giudiziari» [Mascia, cit.] • Nell’1981 «da radicale, partecipò al famoso ostruzionismo contro il fermo di polizia e detiene il record del più lungo discorso della storia parlamentare italiana. “Record mondiale. Un giorno parlai 16 ore, il giorno dopo 18,5. Lo feci, come imponeva il regolamento, stando in piedi, senza potermi appoggiare, senza leggere e senza interruzioni per bisogni fisiologici”» [Perna, cit.] • Mattia Feltri racconta che Boato e Massimo Teodori, un altro deputato radicale che in quegli stessi giorni fece un discorso di poco più corto del suo, «per prepararsi avevano trascorso settimane alla biblioteca della Camera. Stesero tracce di pagine e pagine». Boato inoltre ha detto a Panorama che quella volta ebbe vari «momenti di cedimento, soprattutto nella notte, con le gambe che non reggevano». Il vicepresidente Luigi Preti, trovandosi a presiedere l’Assemblea durante la notte del 10-11 febbraio 1981, occupata da Boato, ricorse al binocolo per verificare se l’oratore si servisse di appoggi o tentasse di sedersi, e gli negò più volte di sorseggiare un cappuccino, attenendosi strettamente al regolamento, che ammette soltanto l’uso di acqua zuccherata • «Nel 1982 con il convegno di Trento nacquero le prime liste elettorali in Trentino-Alto Adige e poi via via in tutta Italia, finché nell’87 stupimmo tutti eleggendo tredici deputati e due senatori. Arrivammo in Parlamento tutti rigorosamente in bicicletta» [Oriani, cit.] • Lei era in Parlamento anche negli anni di Tangentopoli, una stagione feroce nello spazzare via un’intera classe politica. Lei come l’ha vissuta? «In modo drammatico. Certamente il sistema della corruzione andava perseguito, e del resto non mi pare che oggi sia diminuito. Ma il modo in cui è avvenuto, però, mi ha trovato molto critico e credo abbia lasciato guasti profondi, che durano tuttora» [Giulia Merlo, Il Dubbio] • «Come ricorda l’ex parlamentare radicale (poi verde) Marco Boato, garantista storico e relatore delle omonime “bozze” di riforma avanzate in seno alla “Bicamerale D’Alema” (1996-97), a volte il blocco delle proposte di riforma della giustizia è avvenuto per pressione diretta o indiretta (e mediatica) di settori della magistratura paladini dello status quo – e contrari, per esempio, alla separazione delle carriere. Torna con la memoria, Boato, al 1992 – piena Tangentopoli – e ai lavori della Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali anche detta “De Mita-Iotti”. In particolare, torna ai giorni d’autunno in cui, dice, “ci fu la prima ufficiale e clamorosa interferenza di un gruppo di pubblici ministeri appartenenti all’Anm e in servizio a Milano e a Torino. Un’interferenza che in qualche modo riuscì a bloccare i lavori della Commissione in materia di giustizia”. Oggetto dell’interferenza, un capitoletto del documento formale di indirizzo per il successivo lavoro della Commissione, depositato il 18 novembre del ’92, specie l’ultimo capoverso (“… in tale prospettiva di riordino della magistratura la Commissione ritiene si debba anche modificare lo status del pubblico ministero differenziando tale organo dalla magistratura giudicante ma dotandolo nel contempo di garanzie di autonomia e indipendenza”). Un argomento “che è di attualità anche oggi”, dice Boato, “trattandosi di fatto di separazione delle carriere, soltanto in parte realizzata in seguito, dopo il fallimento della Bicamerale D’Alema, quando si è cercato, con la riforma dell’articolo 111 della Costituzione, di affrontare il tema del giusto processo”» [Marianna Rizzini, Foglio] • «Arrivò in piena Commissione bicamerale nel 1994, quando si abbozzò una riforma della giustizia, e fu distribuito a tutti noi un fax intestato all’Anm e sottoscritto da decine di magistrati, che ci intimava di non affrontare la riforma della giustizia in Bicamerale. E il tema della giustizia sparì subito. [Marco Boato, ex deputato con Verdi e Ulivo, Panorama]• Votò contro l’arresto preventivo di Previti. Con quali conseguenze tra i suoi? «Ma votai a favore delle sue dimissioni da deputato dopo la condanna. Garantista non significa innocentista. Quel voto contrario mi ha scatenato contro la canea dei giustizialisti professionali, i Travaglio, Flores d’Arcais, Beppe Grillo. Sono giornalmente tormentato da persone ispirate dai loro blog. Ma vado per la mia strada» [Perna, cit.] • Giornata tipo nei 23 anni in parlamento: «Lavoro dalle 8 alle 24. Pranzo alla Camera. Ristorante una volta l’anno quando mia moglie viene da Trento». Per ogni sua legislatura, 6 in tutto, ha consegnato agli elettori un rapporto con tutto quello che ha fatto: «Sono di vecchia scuola: un deputato deve dare conto dei voti ricevuti» [a Perna, cit.] • Nel 2008 non viene ricandidato: «La Sinistra arcobaleno si è posta la regola di non ricandidare chi, come me, ha più mandati. Naturalmente ha fatto molte deroghe, dal verde Pecoraro Scanio, ai rifondazionisti, Bertinotti e Folena». Per lei, invece, niente. «Prc mi ha messo il veto e, in nome del rinnovamento, ha proposto Lidia Menapace, 85 anni. Era già un maturo consigliere della Dc negli anni ’60, quando io ero ragazzo», dice, con malizia. Con l’esclusione, le è caduto il mondo addosso? «Ho elaborato il lutto in tre minuti e in mezz’ora, d’accordo col mio partito, ho indicato la verde Klaudia Resche, 38 anni di Merano, come mia sostituta» [Perna, cit.] • Che pensa di Veltroni? «Lo stimo. Ma non l’ho apprezzato quando, con le sue scelte, ha messo in crisi Prodi». Ohibò, difende Prodi? «Rimarrà come l’unico che sia riuscito due volte, nel 1996 e 2006, a battere Berlusconi. Mentre non ci è riuscito Rutelli e, temo, non riuscirà Veltroni». Il Cav? «Una grande anomalia italiana». Dopo anni non lo ha ancora metabolizzato? «Non accetto la sua demonizzazione, ma il discorso sul predellino è più da Stato sudamericano che da democrazia matura» [ibid.] • «Quarant’anni di speranze e scoppole elettorali per tenere al centro del dibattito pubblico inquinamento, biodiversità, effetto serra, energie rinnovabili, parchi naturali. I racconti di Marco Boato oscillano tra alto e basso, grandi ideali e piccole beghe elettorali: “Nel 2009, i compagni più prossimi alla sinistra radicale pensavano di avere in mano il congresso, e invece vincemmo noi per quindici voti: il sabato votammo, la domenica se ne erano già andati senza salutare”. Nel 2013, il mancato accordo con il Pd di Bersani costringe Boato e Angelo Bonelli a ripiegare sull’improbabile alleanza con l’ex pm di Palermo Antonio Ingroia: “La legge elettorale ci ha impedito di coltivare il nostro simbolo, e ci ha spesso obbligato ad apparentamenti di fortuna”. Alto e basso: il basso è la rincorsa affannosa della sopravvivenza politica. L’alto sono i temi di sempre, e un nome che è diventato un talismano, la garanzia che quella dei Verdi resta comunque una storia diversa: Alex Langer, italiano e tedesco, ebreo e cristiano, scrittore e parlamentare europeo» [Oriani, cit.] • I verdi tedeschi sono da sempre Die Grünen. Quelli italiani sono stati tra l’altro Verdi del sole che ride, Verdi arcobaleno, Verdi girasole, Ecologisti e Civici, fino all’attuale Europa Verde-Verdi. Qual è il bilancio di tanta abbondanza onomastica? «La nostra è una storia difficile ma non priva di successi. Si deve ai Verdi se abbiamo una legge sui parchi nazionali, una legge sull’assetto idrogeologico, una legge sulle energie rinnovabili e una legge sulla fauna. E si deve a Edo Ronchi, nostro ministro dell’Ambiente nel primo governo Prodi, se l’Italia è un Paese all’avanguardia nella raccolta differenziata dei rifiuti» [ibid.] • «Nel 2022 avete conquistato qualche seggio solo grazie all’alleanza con Sinistra italiana. E se foste una forza troppo piccola per rappresentare temi tanto grandi? “Se sparissero i Verdi gli altri partiti avrebbero vita facile a cancellare i temi ambientali dall’agenda politica. E poi noi siamo piccoli, ma facciamo parte dei Global Greens, ovvero dell’unica organizzazione politica autenticamente mondiale”» [Oriani, cit.] • «Il domani come lo vede? Avete rapporti con i giovani di Fridays for Future? “Confuso tra ragazzi, bambini e maestre non mi sono perso una sola manifestazione dei Fridays for Future di Trento. Ci guardano con simpatia ma guai a chiedergli un’adesione esplicita: quarant’anni fa noi facevamo da apripista alle loro battaglie, oggi loro ci vedono come se fossimo un partito tra i tanti”» [Oriani, cit.] • «E se fosse molto semplicemente il momento di mollare? «Tutt’altro. I nostri temi sono sempre più cruciali. E poi non possiamo tirarci indietro proprio ora che Alex ispira anche i vertici del Pd: ha sentito Elly Schlein parlare di conversione ecologica?”» [Oriani, cit.] • Favorevole a dare armi a Kiev: «Se (in Ucraina) si continuasse ad escludere il ricorso alla forza, si continuerebbe a lasciare libero il campo ai più forti e meglio armati. Ecco perché, come ieri in Bosnia, oggi un intervento militare in Ucraina non è contro la pace, ma la premessa per realizzare infine un accordo diplomatico di pace» [Franco Locatelli, Firstonline]. Tra i suoi libri Il ’68 è morto, viva il ’68 (Bertani 1979), Alexander Langer. Costruttore di ponti (La scuola, 2015), Il lungo ’68 in Italia e nel mondo (La scuola, 2018).
Religione Lei è credente? «Ho il dono della fede fin da piccolo». Però, si batté per l’eutanasia di Welby che la Chiesa condanna. «Sono contrario all’eutanasia, ma anche all’accanimento terapeutico. Nei giorni scorsi ho lasciato il mio testamento biologico a mia moglie. Ho scritto: “Sono credente e amo la vita. Se cadrò in coma irreversibile decidi tu”. Sperando che non mi tenga vivo artificialmente». Lei è pro aborto. «Considero l’aborto un disvalore. Più volte, anche perché purtroppo non abbiamo figli, mi sono dichiarato pronto ad aiutare chi avesse voluto evitare questa scelta. Per me, però, è un valore l’autodeterminazione della donna e la fine delle mammane». Al dunque, è un «cattolico adulto» che s’impipa della Chiesa. «Rispetto la Chiesa. Ma rivendico la mia autonomia laica di cattolico credente. Non tollero invece le varie Binetti che pretendono di parlare a nome di tutti i cattolici. Ma chi l’autorizza? Io no» [a Perna, cit.].
Amori Sposato con una tedesca «È luterana, ma è una santa» (religione senza santi, ndr).
Titoli di coda «Sono garantista. Ce l’ho nel sangue».