Corriere della Sera, 1 agosto 2023
Speranze (e realtà) sul pnrr
Nel secondo trimestre di quest’anno, secondo i dati pubblicati ieri dall’Istat, la nostra economia si è contratta dello 0,3% rispetto al trimestre precedente. Un risultato in controtendenza rispetto all’economia dell’Ue che nello stesso periodo è cresciuta dello 0,3%: zero la Germania, + 0,5% la Francia. Nel ‘24 rimarremmo sotto l’1% (0,9 per l’FMI, 0,7 per Prometeia), il tasso di crescita più basso nell’Ue, avvicinandoci ai livelli dei passati 30 anni in cui la nostra economia crebbe, in media, di mezzo punto l’anno. Dopo la rapida uscita dal disastro del Covid speravamo di non tornare più allo «zero virgola».
Ma che cosa è cambiato rispetto al trentennio 93-23 per far sì che quella speranza non fosse un’illusione? Poche le riforme radicali: qualche tentativo, per lo più abbandonato a metà strada, sul mercato del lavoro, in particolare nulla sui centri per l’impiego e quindi sulla formazione dei lavoratori disoccupati; poco o nulla sulla concorrenza, basta guardare alle code per trovare un taxi; nulla sul riordino dei 30 miliardi di agevolazioni fiscali; solo da qualche mese i primi interventi per accelerare i tempi della Giustizia civile. Sull’età della pensione, oltre dieci anni fa l’ex ministra Fornero fece un tentativo coraggioso, in seguito evidentemente smontato se, come notava Giuliano Cazzola ieri sul Foglio, nei primi sei mesi di quest’anno per ogni 100 pensioni di vecchiaia dei dipendenti privati sono state erogate 132 pensioni anticipate e addirittura 271 nel pubblico impiego.
L e imprese hanno fatto miracoli, ma c’è un limite alla loro possibilità di sostituirsi all’inefficienza dello Stato.
Negli ultimi due anni la crescita è stata sostenuta dagli aiuti dello Stato alle famiglie, soprattutto a quelle più in difficoltà. Secondo uno studio dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), le politiche del governo hanno ridotto di circa la metà l’impatto dell’inflazione, soprattutto dei prezzi del gas, sui bilanci delle famiglie. Per le famiglie a reddito più basso l’effetto è stato ancora più pronunciato: l’intervento dello Stato ha ridotto dell’88% l’impatto dell’inflazione sui loro bilanci.
Ma si è trattato di interventi emergenziali che non potevano durare. Il rallentamento della crescita nel primo trimestre è anche dovuto al venire meno di alcuni di quei sostegni. Passato il Covid e con l’inflazione in rapida discesa occorre riprendere il cammino delle riforme.
Una speranza oggi c’è ed è il Pnrr, un programma che parte dalle criticità che ciascun Paese dell’Ue ha individuato nei propri «Programmi nazionali di riforma» e dalle proposte che ha formulato per superarle, riconoscendo che ciò richiede un mix di riforme e investimenti. Il Pnrr italiano comprende oltre 60 progetti di riforma, dalla scuola alla sanità, con obiettivi ambiziosi e precisi. Ad esempio, per accorciare i tempi della Giustizia civile si propone di «ridurre l’arretrato del 65% in Tribunale e del 55% in Corte di Appello entro fine 2024; del 90% in Tribunale e in Corte di Appello entro giugno 2026. E per contrastare l’evasione fiscale si impegna a ridurre la propensione all’evasione, rispetto al valore del 2019, del 5 per cento nel 2023 e del 15 per cento nel 2024».
Gli investimenti pubblici sono importanti, soprattutto in alcuni settori come la sanità, ma senza riforme rischiano di essere denaro gettato al vento. La scuola è un esempio evidente: finché sarà gestita dai sindacati degli insegnanti non c’è denaro sufficiente a correggerne i difetti. Sono le riforme che mettono in grado l’economia di un Paese di funzionare.
L’Italia ha ricevuto, per attuare il piano, finanziamenti europei pari a circa il 12% del Pil sull’arco di cinque anni, in parte nella forma di sovvenzioni a fondo perduto, in parte di prestiti a tassi inferiori a quelli ai quali ci potremmo finanziare sul mercato.
Del Pnrr si discute per lo più limitandosi agli investimenti. Ma, come detto, sono le riforme il cuore del piano.
La scorsa settimana il governo ha resa pubblica una proposta di revisione del programma. Le revisioni si differenziano in riallocazioni di fondi tra una misura e l’altra e cambiamenti nei tempi e contenuti delle riforme. Mi concentro su queste ultime in quanto, come detto, le riforme sono il fulcro del programma, e su due esempi illuminanti.
Il nuovo Codice degli appalti è una delle riforme più importanti in quanto ogni investimento pubblico richiede una gara d’appalto e le gare oggi si trascinano per anni fra un ricorso e l’altro. Il programma di riforma iniziale poneva due obiettivi: aggregare le stazioni appaltanti, cioè accorpare gli uffici responsabili per le gare di appalto, perché una stazione appaltante troppo piccola non ha le competenze per svolgere le gare rapidamente e rischia di infilarsi in un ricorso dopo l’altro. Secondo, digitalizzare le gare per accelerare le procedure. Una prima modifica al piano ha eliminato la dimensione minima delle stazioni appaltanti. Innanzitutto, prevedendo l’innalzamento da 150 mila a 500 mila euro della soglia sotto la quale le amministrazioni possono appaltare anche senza essere qualificate; e poi prevedendo che se ad esempio due Comuni – ciascuno al di sotto della taglia minima – formano un’entità chiamata «Unione di Comuni», questa è automaticamente abilitata a gestire un appalto, indipendentemente dalla dimensione dei due Comuni che la formano. Quanto alla digitalizzazione delle gare si chiede di spostare in là di un anno il termine per realizzarla.
Un’altra modifica proposta riguarda la lotta all’evasione fiscale. Il programma iniziale prevedeva che le amministrazioni riducessero la propensione all’evasione delle imposte, rispetto al 2019, del 5 per cento nel 2023 e del 15 per cento nel 2024. Il governo chiede che questa regola sia modificata, osservando che molte imprese oggi hanno problemi di liquidità, e quindi non riescono a pagare le imposte entro le scadenze stabilite. Propone quindi di rinviare l’introduzione di nuove norme di contrasto all’evasione. Si tratta di una richiesta a dir poco bizzarra: la liquidità di un’impresa non ha nulla a che fare con l’evasione. La modifica richiesta sembra più un segnale agli evasori.