La Stampa, 1 agosto 2023
L’era della povertà
Prendiamo il celebre inizio dei Promessi sposi: «Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi... vien quasi a un tratto, tra un promontorio a destra e un’ampia costiera dall’altra parte». “Promontorio”, “seni”, “catene”, “volge”? Parole rare, inusuali: per la maggioranza degli italiani il notissimo incipit manzoniano – «Ma che è, ostrogoto?», direbbe Alberto Sordi – oggi suona astruso. È come una lingua straniera per il 70 per cento dei connazionali dai 16 anni in su: proprio così, circa i tre quarti degli abitanti adulti della Penisola attualmente non sono in grado di afferrare il senso complessivo di uno dei capisaldi del nostro insegnamento letterario scolastico. Al massimo ne comprendono quello che i sociologi e gli addetti ai lavori chiamano “codice ristretto": la parola “lago”, certo, suona familiare mentre sfugge il complesso del discorso, i dettagli e la suggestione del paesaggio. I residenti nello Stivale che oggi posseggono la piena comprensione del testo sono infatti appena il 6 o il 7 per cento della popolazione. Si sta verificando un cataclisma, siamo entrati in quella che le più recenti ricerche sul nostro sistema scolastico chiamano l’era della “povertà educativa”. L’incapacità di misurarci con il mondo che ci circonda e con la sua comunicazione scritta non riguarda solo la letteratura, l’informazione e le arti ma coinvolge pure, è un altro drammatico risvolto, la facoltà di svolgere con padronanza le minime operazioni matematiche, come accedere al proprio conto in banca con il bancomat.
Chi sono dunque e come mai sono veramente una pletora i nuovi poveri dal punto di vista culturale? Ne fanno parte i giovani che sui banchi non imparano abbastanza ma pure gli adulti che usciti dalle aule hanno scordato le nozioni di base e che si qualificano come analfabeti di ritorno. L’obsolescenza conoscitiva colpisce come un virus coloro che, pur avendo raggiunto o superato l’obbligo scolastico, hanno buttato alle ortiche le basilari competenze. L’Italia è il paese più scarsamente dotato d’Europa proprio dal punto di vista delle nozioni essenziali e la sua popolazione è incapace di rinnovarsi e di tenere il passo con il progresso scientifico e tecnologico.
L’impoverimento culturale oggi continua a essere quasi totalmente ignorato: lo denunciano i sociologi e studiosi di sistemi educativi Orazio Giancola e Luca Salmieri nella ricerca La povertà educativa in Italia. Dati, analisi, politiche (Carocci editore). Un popolo di santi, di poeti e di navigatori è ora anche un popolo di ignoranti? Macché: il morbo contemporaneo è molto più grave dell’ignoranza. Se non conosciamo infatti la storia dell’Ucraina o non sappiamo far di calcolo possiamo facilmente compensare le nostre carenze: possiamo informarci e capire. Però se mancano gli elementi basilari è tutt’altra musica. Siamo di fronte a una gran massa di “analfabeti funzionali” che, diversamente dagli “analfabeti strumentali” – quelli che non hanno mai imparato a leggere e a scrivere -, sono persone che sanno vergare il proprio nome e compitare un breve avviso rivolto al pubblico, ma non sono in grado di farsi coinvolgere dai testi scritti; sanno svolgere una moltiplicazione a due cifre ma non sanno interpretare un semplice grafico (il meteo, per esempio) basato su percentuali. Questo grave handicap conoscitivo domina in Italia nonostante la crescita e l’estensione della scolarizzazione. Com’è potuto accadere?
La Penisola è il paese Ocse con la più bassa quota di laureati (18 per cento della popolazione adulta) e il più basso investimento pubblico in istruzione (il 7 per cento della spesa per servizi); si colloca addirittura nella terzultima posizione europea, prima della Grecia e della Romania. Gli insegnanti nostrani sono i meno retribuiti del vecchio continente e i nostri studenti nei test internazionali e nazionali sono scarsi: la colpa di tutto questo bailamme è della scuola?
Troppo facile fare del sistema scolastico il capro espiatorio, avvertono i due sociologi. Da tempo si muovono in questa direzione studiosi del livello di Luca Ricolfi, Paola Mastrocola ed Ernesto Galli della Loggia, sbagliando però in maniera clamorosa. I primi due, denunciano Giancola e Salmieri, attribuiscono la decadenza dell’istruzione italiana all’inettitudine degli insegnanti, troppo poco punitivi e troppo superficialmente “democratici” ed egualitari. Docenti che non premierebbero adeguatamente i giovani meritevoli, come si faceva in altri tempi. Un fatto sul quale, spiegano i sociologi, non esistono però concreti riscontri: non vi sono dati comparativi tra il moderno insegnamento e quello del passato. Galli della Loggia lamenta invece la progressiva marginalizzazione dei saperi classici a favore di quelli “pratici” e “tecno-scientifici” (ma, sempre secondo Giancola e Salmieri, le indagini internazionali evidenziano che gli alunni italiani mediamente sono carenti più nella dimensione “pratica” e scientifica che non in quella umanistica).
Da cosa dipende allora la diffusa indigenza conoscitiva? La responsabilità delle difficoltà dei giovani nell’apprendimento affonda senza dubbio le proprie radici nelle ristrettezze della famiglia di origine. Ma adesso le più moderne indagini guardano anche al capitale umano e culturale. Papà e mamma vivono in stato di necessità? Non necessariamente accompagnano nella crescita figli disappetenti nei confronti di cultura e di nozioni varie. Anzi, se sono consapevoli dell’importanza dei libri, del cinema e dell’informazione, potranno crescere con il loro “capitale umano” un pargolo vincente nelle aule, nella vita e nelle professioni. Non sempre va così, esiste la sventura del circolo vizioso: le scarse competenze iniziali possono condurre a minori opportunità di svilupparle in seguito. In questo serpentone che si morde la coda sono intrappolati milioni di italiani privi di competenze di base che costituiscono il trampolino di lancio per la conquista del benessere e dell’inclusione sociale. Sono italiani che, proprio per la loro povertà, non riescono ad adeguarsi alla complessità dei cambiamenti sociali, culturali e tecnologici (non sanno usare internet), che non sono in grado di continuare ad apprendere lungo tutto il corso della vita. Il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, evoca l’importanza di una scuola fatta di doveri (ha pure parlato dell’importanza delle “umiliazioni” necessarie per i più giovani): ma i doveri di chi governa sono oggi l’aggiornamento e l’abbattimento delle nuove povertà che ci collocano come il fanalino di coda dell’Europa