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 2023  agosto 01 Martedì calendario

La nuova Cosa Nostra

Come sta Cosa Nostra orfana del suo re? Il procuratore di Palermo Maurizio Delucia, fa una pausa per poi aprire il libro della nuova mafia siciliana, quella che già prima – e a maggior ragione dopo – l’arresto dell’ultimo stragista Matteo Messina Denaro, aveva finito per essere subalterna alla confinante (geograficamente) ’ndrangheta calabrese. E che ora fa i conti con una strategia di re-start con tutti i più pericolosi protagonisti della stagione di attacco allo Stato – o comunque della cosiddetta ala militare – in carcere o al camposanto. «Un’organizzazione impoverita prima di diventare di nuovo forte militarmente deve ritornare ricca economicamente» dice il capo dei pm palermitani di fronte alla commissione parlamentare antimafia. Ecco il punto è questo. Dal 1992 in poi sono finiti in carcere i capi, un’azione continua «come non lo era mai stata in passato». E questo ha avuto un senso (e un peso) nel tortuoso percorso della lotta vera al crimine perché ha «finito per minare il senso di impunità da un lato e creare un vulnus nel pensiero mafioso declinato sulla percezione della convenienza per le giovani generazioni di aderire – ha detto il procuratore di Palermo in una recente audizione di fronte alla commissione parlamentare antimafia – a strutture criminali di questo tipo». C’è dunque una mafia che vuole e deve rilanciarsi su traiettorie di discontinuità perlomeno col recente passato.
Nei primi giorni dello scorso giugno il mercantile Plutus, battente bandiera di Palau, era salpato dal porto di Santo Domingo. Prima tappa negli scali intermedi di Trinidad e Tobago. Il 7 luglio scorso aveva attraccato per alcune ore a Las Palmas (Gran Canaria, Spagna) per poi passare attraverso lo stretto di Gibilterra e puntare verso la Sicilia. A ridosso delle coste italiane più di un investigatore annota che la nave cargo compie diversi cambi di rotta rispetto al tragitto segnalato alle autorità marittime. Strano. E poi qualcuno ha disattivato il sistema di rilevamento. È in quei frangenti che il peschereccio “Ferdinando di Aragona”, partito dalle coste calabresi, si avvicina alla nave. Dalla Dda di Palermo l’ordine arriva perentorio e i finanzieri del Gico intervengono. Una quindicina di persone stanno trasbordando 5,3 tonnellate di cocaina purissima da un’imbarcazione all’altra. Arresti e maxi-sequestro il secondo più imponente avvenuto in territorio italiano dopo le 5,5 tonnellate di oro bianco intercettate nel 1995 a Borgaro Torinese. Come allora anche oggi c’è anche la ’ndrangheta dietro un carico così imponente. In questo segmento «abbiamo indagini recentissime – dice Delucia – che provano come Cosa Nostra stia riallacciando e riaprendo i rapporti con le cosche calabresi e che certificano come l’importazione venga accordata con loro». Ancora: «Anche se le ’ndrine hanno nei fatti un monopolio del traffico di cocaina è altrettanto evidente come un brand come quello di Cosa Nostra non si abbandona». Un affare per tutti. La nostalgia dei fasti (e dei metodi) del passato affiora anche in un rinnovato controllo delle piazze di spaccio fino a qualche tempo fa delegato a organizzazioni criminali di matrice nordafricana.
Il controllo del territorio non passa di moda. Lo provano gli arresti – recenti – nel quartiere Zen/2. Tra le vie Agesia di Siracusa e via Fausto Coppi un supermarket di sballo h24. I carabinieri della Compagnia di San Lorenzo hanno arrestato 17 persone, moltissimi italiani in un un’indagine condotta tra ottobre 2021 e febbraio 2022. Lauti guadagni (300 mila euro mensili) e richieste da tutta la provincia. Il vecchio adagio “a volte ritornano” non vale solo per i canali di business, ma anche e per alcune famiglie emigrate in America durante la sanguinaria gestione di Cosa Nostra da parte di Salvatore Riina. Scapparono per sfuggire a una mattanza o a una condanna morte emanata come un editto dal più violento dei Corleonesi per annientare la resistenza interna alla sua scalata dentro la “Commissione”. Ed è così che adesso, lontano l’eco delle pistole di quella stagione, vecchi volti si riaffacciano cercando di recuperare il vecchio potere. Il logaritmo per raggiungerlo è però sempre lo stesso: i soldi. E non c’è nulla di meglio del traffico di droga per appianare handicap rispetto a chi è sempre rimasto a fare affari in Sicilia. Lo dice Delucia: «Ad Agrigento registriamo un ritorno del fenomeno della “Stidda” nato a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta che per un certo periodo era sembrato ai più debellato. Abbiamo però contezza di vecchi soggetti (e nuovi) che si riavvicinano per creare un’organizzazione che in qualche modo è dialogante con Cosa Nostra palermitana». Ma sono tornati anche i Fascella di Santa Maria del Gesù. E sempre di questo “mandamento” sono finiti in manette negli ultimi mesi il boss di Partanna Mondello Michele Micalizzi, 73 anni, il genero del boss Rosario Riccobono, e Salvatore Marsalone, 69 anni, negli anni Settanta uno dei più fidati trafficanti di droga per il “principe” Stefano Bontade
Una lotta che si combatte con ritorni al (e dal) passato, ma anche con la migliore tecnologia moderna in termini di comunicazioni. I boss siciliani comprano telefonini criptati dai narcos della ’ndrangheta. Software complicati da “bucare”. Non sempre però. Il Gico della Guardia di Finanza è riuscito ad individuare alcune utenze telefoniche criptate dislocate a ridosso dell’autostrada A 20 Palermo-Messina poco prima del maxi-sequestro da 5 tonnellate. Erano numeri olandesi connessi al server fast.m2m che consente di effettuare scambio di informazioni attraverso una rete chiamata: “Machine to Machine (M2M)”. Sul punto il procuratore di Palermo è stato chiaro: «Il meccanismo delle intercettazioni ci pone in un certo ritardo rispetto ai metodi tecnologici che le mafie utilizzano. Abbiamo – dice Delucia – ormai una serie di comunicazioni importanti tra mafiosi che transitano su piattaforme criptate e noi siamo in ritardo. Alcune forze di polizia europee sono riuscite a entrarci, noi ancora no». E tra le difficoltà che costellano la strada di questa lotta c’è anche «una diminuzione di pentiti sia in termini di qualità che di quantità. Questo – dice il capo dell’ufficio giudiziario di Palermo – dipende anche dallo stato attuale di Cosa Nostra dai numerosissimi arresti del passato»