la Repubblica, 31 luglio 2023
Tutti pazzi per l’esperanto
Si abbracciano e parlano, si baciano e parlano, si salutano e parlano, si sorridono e parlano. E nel flusso continuo di quest’onda vocale morbida, dalle curvature un po’ latine, affiorano pezzi di vocaboli dal suono amico, radici e suffissi che fanno rima, da qualche parte, dentro di noi. Sapori conosciuti, anche se appena accennati. Sono più di duemila, vengono da 67 paesi e sono “esperantisti”: cioè quelli che discorrono e scrivono in esperanto, l’idioma della grande utopia di fraternità. Ogni anno si radunano a congresso, e questa volta tocca all’Italia: il “108 Universala Kongreso de Esperanto” da ieri a sabato 5 agosto a Torino. Sarà una lunga settimana di incontri, spettacoli, conferenze, tavole rotonde, gite e mangiate. Con la santa messa in esperanto. Con la spaghettata in esperanto. Leggiamodal menù: «Pasto kun pesto». A occhio era più difficile il greco al ginnasio.
Il professor Mikaelo Bronstein, poeta e scrittore, è arrivato da San Pietroburgo e ha appena abbracciato il suo amico Eugenij Kovtoniuk: «Io sono russo, lui ucraino, ci siamo conosciuti da ragazzi per merito dell’esperanto, la lingua della pace che io parlo da più di sessant’anni». Eugenij annuisce: «Qui, per me, ci sono soltanto fratelli». I russi sono sei, gli ucraini tre, cioè nove persone dal notevole significato simbolico tra i 1.230 congressisti qui accorsi a loro spese, 50 euro al giorno di iscrizione più vitto e alloggio, ma le tariffe sono state calcolate in base al paese di provenienza e alla disponibilità di ognuno. Perché gli esperantisti sono anche democratici. «Solo l’incomprensione porta all’ostilità».
Ma che senso ha, oggi, l’antica idea dell’oculista polacco Ludwik Zamenhof che a fine Ottocento inventò la lingua che non c’era, perché tutti potessero capirsi? «Siamo la testimonianza di un’utopia possibile» risponde Malcolm Jones da Skipton, Regno Unito. «L’esperanto è una lingua meravigliosa e facile da imparare, ha appena 16 regole e nessuna eccezione: da ogni radice deriva un gran numero di vocaboli, in meno di venti ore anche un cinese e un giapponese cominciano a orientarsi».
Qui ci sono molti “samideani”, quelli cioè che la pensano allo stesso modo. Del resto esperanto significa “colui che spera”, e si tratta di una speranza di comunicazione vera, profonda. Nelle Officine Grandi Riparazioni, il luogo dove la Torino della rivoluzione industriale riparava i treni, oggi magnifico spazio attiguo al Politecnico per spettacoli, mostre, congressi e svago, è un continuo trascorrere di uomini e donne con qualcosa di verde addosso (il colore degli esperantisti, il colore della speranza), in sandali e berretto, con zaini e ventagli, felici nel rivedersi e ripetere “bonvenon”, benvenuto.
«Io ho imparato questa lingua online ed è stato come giocare a Lego, perché si tratta di mettere insieme i pezzi» dice Enzo Aiello da Giaveno, provincia di Torino. La sua insegnante digitale si chiama Luigia Oberrauch, vive a Bolzano ed è qui al convegno anche lei: «Eromaestra elementare, e ora che sono in pensione insegno esperanto in rete, grande alleata per ognuno di noi. Noi esperantisti non siamo una stranezza e non ci sentiamo marginali: quest’anno il tema dei nostri incontri è l’immigrazione, niente di più attuale».
Due milioni di persone parlano esperanto nel mondo, “la seconda lingua ideale” come la definiscono loro, e lo smanettano sugli smartphone. Alessandra Madella, docente di Parma che vive in Cina, lo insegna all’Università di Zaozhuang, nello Shandong: «Per gli asiatici, soprattutto per i bambini, è più facile che studiare l’inglese ed è comunque un ponte per l’apprendimento di altre lingue. Un esperimento nelle scuole elementari della provincia di Shanxi ha dimostrato che gli alunni cinesi che studiano esperanto se la cavano meglio anche con inglese e matematica: e proprio come la matematica, l’esperanto non ha eccezioni e ci si arriva col ragionamento».
Breve ripasso: tutti i sostantivi finiscono in “o”, tutti gli aggettivi in “a”, tutti gli avverbi in “e”, tutti gli infiniti in “i”. Il fatto che non si tratti di una madre lingua, ma di qualcosa imparato da zero, fa sentire tutti sullo stesso piano. Per il congresso torinese non è mancato un omaggio alto, ovvero la traduzione de La bella estate di Cesare Pavese che in esperanto diventa La bela somero. «Il nostro è un continuo incontro tra persone, non tra idiomi diversi in conflitto: è la lingua dell’umanità» racconta padre Gustavo Zanoli, monaco benedettino che ieri ha celebrato la messa in esperanto nella basilica di Maria Ausiliatrice. «Sapete qual è la festa più importante per noi? La pentecoste. Quando lo spirito santo calò dal cielo come un traduttore simultaneo, e tutti si compresero tra loro all’istante». Un po’ come quando i partecipanti al congresso del 1905 a Boulogne sur Mer si misero a piangere e ad abbracciarsi: erano felici perché si capivano.
Oltre duemila partecipanti provenienti da ogni angolo del Pianeta al maxievento in corso fino a sabato 5 Tra conferenze e svagoMikaelo Bronstein, poeta e scrittore arrivato da San Pietroburgo, abbraccia l’amico ucraino Eugenij Kovtoniuk