Repubblica, 31 luglio 2023
Crescere tra le pistole. Così la camorra alleva i suoi piccoli soldati
NAPOLI – Certi bambini crescono in mezzo alle pistole. Ma queste non sono le pagine del romanzo scritto più di vent’anni fa da Diego De Silva, qui sono le carte delle inchieste di camorra a raccontare che, a Napoli e nella sua area metropolitana, troppo spesso anche i più piccoli si ritrovano, loro malgrado, al centro di pericolosi giochi criminali. «Non dobbiamo meravigliarci, purtroppo – avverte Cesare Moreno, presidente del progetto dei “Maestri di strada” – perché accade quotidianamente. Chi appartiene a una famiglia malavitosa finisce per vedere armi tutti i giorni e quasi si convince che facciano parte dell’arredo».
Ad Acerra, diciotto mesi fa, le microspie piazzate nell’abitazione di un affiliato a uno dei clan della zona captano questa scena: un bimbo di 7 anni seduto sulle ginocchia del padre. Il genitore sfoglia un giornale e scherza con il figlio. Indica una foto e gli chiede: «Questo chi è?». E poi un altro. Il bambino li riconosce entrambi chiamandoli per nome. Ma quelli fotografati in prima pagina non sono calciatori, né personaggi dello spettacolo, bensì gli arrestati in un blitz antimafia.
Ancora più scioccante è ciò che accade qualche mese prima, quando quello stesso bambino torna a casa e racconta alla madre di aver visto un arsenale in casa del nonno: «Stavano con le pistole, stavano caricando, Tre, quattro, cinque pistole. Un caricatore pieno di botte. Se lo potevo fare veramente, mi rubavo la pistola», commenta. È ancora troppo piccolo, dunque parla senza preoccuparsi del fatto che, in quel momento, sono presenti anche altre due persone, estranee al nucleo familiare. La madre si preoccupa soprattutto per questo e prova a cambiare discorso. Il bambino però insiste: «Mamma, io adesso sono entrato, nel salone... le stavano a caricare». La donna a quel punto lo rimprovera: «Ti credo ma devi stare zitto». Poi rincara la dose: «Ti faccio andare in carcere a te, mica vado io. Ti faccio portare in collegio».
Poco dopo, il bimbo ricostruisce l’accaduto anche al padre: «E allora, vado dentro dal nonno. Ci sta quello che lavora... piglia e caccia la pistola sulla tavola. Tre pistole, una pistola, cinque pistole, colpi... colpi. Poi, sulla tavola, un caricatore carico, pieno di botte. Tre botte dentro». Il pm Giuseppe Visone, titolare delle indagini, ha trasmesso gli atti alla magistratura minorile che dovrà valutare le iniziative a tutela del bambino e lo stesso hanno fatto i pm Stefania Di Dona e Salvatore Prisco, che coordinano l’indagine dove è emerso un altro episodio. Siamo a Bagnoli, periferia occidentale di Napoli, settembre 2022. Nel quartiere il clima è diventato pesante. Il clan camorristico guidato da Alessandro Giannelli ha bisogno di armi e dal carcere il boss, utilizzando un cellulare, organizza una “staffetta” per ritirare mitra e pistole. Incarica sua padre e una 23enne, di andare all’appuntamento. E ordina: «Andate là con due macchine, una lei e una voi. Falle portare anche il bambino». Si riferisce al figlio di pochi mesi della ragazza, usato «al fine di eludere i controlli», sottolineano gli inquirenti. Le armi vengono consegnate in un garage le immagini riprendono anche la ragazza che «preleva il figlio dell’auto e lo porta con sé, verso l’uscita». Poi la 23enne va a casa, pulisce le pistole e scatta qualche foto mentre le tiene in pugno.
«Se dovessi scrivere oggi “Certi Bambini” – argomenta De Silva – sarebbe molto più violento. Il protagonista, Rosario, era un personaggio quasi romantico, programmato come un elettrodomestico, un robot, che si ritrova quasi a sua insaputa trascinato dagli eventi, fino a diventare un soldatino di camorra. Non a caso il titolo originale era “Le istruzioni di Rosario”. Adesso, invece, il protagonismo dell’infanzia nelle attività criminali è molto più profondo. La camorra mira a un’adesione afflittiva, fisiologica, con modelli di comportamento molto precisi».
Ne ha viste tante, Cesare Moreno: «A scuola – racconta – ho avuto bambini che, nell’intervallo, giocavano al carcere: perquisizione, colloquio, domandina. Una volta un alunno di 9 anni mi raccontò che aveva accompagnato il nonno a commettere una rapina». Moreno invita ad essere realisti: «Togliere i bambini alle famiglie rappresenta una soluzione estrema. Però si può lavorare per creare, in ogni quartiere, un luogo di vita diversa, un’oasi di pace in una situazione di conflitto. Non riusciremo ad eliminare la guerra, ma possiamo ricavare degli spazi di pacificazione». E con quel bambino che accompagnò il nonno rapinatore come è finita? «Diventato grande, ha denunciato i genitori. Però nel frattempo si era già perso, ha trascorso buona parte della sua vita in carcere».