Il Messaggero, 31 luglio 2023
L’arte di non fare nulla
Vox populi vox Dei, siamo d’accordo ma davvero l’ozio è il padre di tutti i vizi come sussurrano i proverbi popolari? L’archeologo pisano, docente alla Sapienza di Roma e corrispondente dell’Istituto Archeologico Germanico, Massimiliano Papini, firma Il riposo dell’imperatore. L’otium da Augusto alla tarda antichità (Laterza, pp.448 25) e ripercorre l’età imperiale romana da un punto di vista insolito e interessante, narrando le attività cui gli imperatori si dedicavano per ritemprarsi dalla fatica e dalle tensioni del governo. Ne emerge un quadro vario e ben documentato dell’otium, in contrapposizione al negotium ovvero gli impegni politici e militari – restituendo al lettore un’immagine più concreta e meno idealistica dei protagonisti più noti dell’impero romano.
IL PRIVILEGIO
Premettendo l’intraducibilità del termine otium – che non include soltanto la totale inattività e che viene associato ad aggettivi che lo qualificano in modo positivo o negativo, esagerato, moderato o talvolta persino operoso l’archeologo classe 1970, individua quello litteratum ovvero una sobria e austera tregua dagli impegni per dedicarsi agli studi cui si contrappone l’otium luxuriosum che si concretizzava in divertimenti assai più futili, lievi e decisamente carnali. In entrambi i casi, l’otium chiarisce Papini era un privilegio per ricchi.
I padroni del mondo antico andavano via dalla pazza folla delle città, riparando fra gli orti o in campagna, sul mare o nei giardini delle ville di cui gli imperatori disponevano sempre in grande quantità, luoghi tutt’altro che austeri che l’archeologo ricostruisce e documenta con attenzione, deliziando il lettore. Sfilano sulla pagina grandi nomi legati all’impero, ciascuno simboleggiando una tipologia di riposo che ne qualificava la propensione al vizio o alla virtù.
LE ATTIVITÀ
Ecco Ottaviano Augusto, il più morigerato, che prediligeva le ville imperiali di Capri dedicandosi alle lettere e scrivendo opere di vario genere, pur con la consapevolezza di possedere un modesto talento umanistico; ma negli stessi luoghi pieni di bellezza, riposò anche lo spigoloso carattere di Tiberio che si dedicava al celebre malum otium, concedendosi secondo le fonti – ogni tipo di lusso e perversione sessuale, senza porsi limiti. E così via, ecco Commodo che pare amasse davvero deliziarsi dei giochi gladiatori. Vespasiano, invece, si svegliava in piena notte e si occupava della corrispondenza mentre Nerone componeva versi e suonava la cetra, ma non solo. Questo dicono le fonti in nostro possesso ma Papini già autore di Città sepolte e rovine nel mondo greco e romano e Fidia. L’uomo che scolpì gli dei (entrambi con Laterza) – esercita il pensiero critico e invita il lettore a riflettere perché, oggi come allora, la storia è narrata sempre dai vincenti e se gli studi dimostrano che l’incendio che distrusse Roma non venne appiccato da Nerone in un accesso di follia, possiamo anche legittimamente dubitare che Traiano elogiato da Plinio – si dedicasse solo ai piaceri nobili come alla caccia dei cinghiali o che Domiziano amasse infinitamente annoiarsi perseguitando le mosche e infine, il caso di Adriano che non sarebbe davvero il princeps pensoso ma un despota capriccioso che amava rincorrere l’efebo Antinoo fra le statue della villa di Tivoli; ed eccoci alle prese con immagini vivaci e vitali che si discostano di gran lunga dal ritratto che ne fece Marguerite Yourcenair nel suo capolavoro.
L’INGANNO
Ciò che ne deduciamo è che delazione e inganni sono vecchi come il mondo e sebbene il riposo potesse apparire in contraddizione col ruolo di imperatore, era necessario per recuperare la virtus. Tuttavia, la noia e il potere sono una miscela assai pericolosa, lasciando socchiusa la porta ai vizi, facendo vacillare qualsiasi buon proposito del princeps. E del resto, chi poteva opporsi al volere dell’imperatore e ai suoi desideri? Chi mai avrebbe potuto opporgli un degno rifiuto senza rischiare di perdere letteralmente la testa?
C’era solo da augurarsi che l’otium prescelto fosse colto, morigerato e dignitoso. In taluni casi la storia è stata assai generosa cancellando vizi e debolezze e talvolta, invece, si è abbattuta senza riguardi sugli imperatori, condannandoli all’oblio. Ecco perché il lavoro dello studioso è così necessario. Voltata l’ultima pagina, l’archeologo Massimiliano Papini ci consegna una visione equa, distaccata e colta, riconciliandoci anche con gli aspetti non sempre aulici della nostra natura, fallibile perché umana.