il Fatto Quotidiano, 31 luglio 2023
Da Cinecittà fino a Hollywood, Spinotti è l’occhio dei due mondi
“Cazzo, cazzo, cazzo”: gli attributi di un grande direttore della fotografia, Dante Spinotti. L’apprendistato negli sceneggiati Rai, con il dominus Sandro Bolchi e il “serio democristiano” Nazareno Marinoni: “‘Scusa Sandro, non ti pare che i vestiti dei partigiani siano troppo stirati?’ ‘Caro Nazareno, dei vestiti dei partigiani alla gente non gliene frega un cazzo. Motore!’”. Poi, sulla dorsale Marco Ferreri: “‘Lei non può pensare di restare in Rai se vuole fare cinema’” ed Elio Petri, l’approdo al grande schermo: “Sergio Citti mi voleva a Roma”. Il film si appellava La fame, “ma la Rai, con il consueto bigottismo, scelse di intitolarlo Il minestrone (1981)”: Ferretti alle scenografie, Benigni tra gli attori, Cerami co-sceneggiatore, Baragli al montaggio, Piovani alle musiche. Interessa di più Franco Citti, che “affonda le unghie nel volto del fratello Sergio” e beneficia Spinotti di un secondo attributo: “‘A Da’ – mi disse mentre illuminavo il set con panni bianchi – non se vede un cazzo co’ ‘sti cosi. Vedi de levalli’”. Il terzo, al cospetto del Michael Mann di Manhunter, Dante se lo tiene in bocca: “Quando gli domandai come lo vedesse, lui mi consegnò la stampa di un dipinto di René Magritte, L’impero delle luci. ‘Questo è il nostro film’, disse. Ah… grazie al cazzo, pensai. ‘Chiaro’, risposi”.
Prefazione di Anthony Hopkins: “Armato di cinepresa e cappuccino, crea la magia”, il memoir, scritto con Nicola Lucchi, Il sogno del cinema contempla film prediletti ancora adolescente, La guerra dei mondi da H.G. Wells; futuri sindaci meneghini, Paolo Pillitteri, che s’improvvisano registi di Milano o cara; l’epitome stessa dell’autore, Ermanno Olmi; colleghi riveritissimi, da lui e da Vittorio Storaro, quali il Gianni Di Venanzo di 8½, stroncato da un’epatite; e una fede assoluta nei propri mezzi, a maggior gloria dell’intera categoria: “‘Tu quando hai capito che per fare un film serviva anche un direttore della fotografia?’”, al che “La domanda giusta dovrebbe essere… quando ho capito che serviva anche un regista?”. Succede di tutto, anche di girare un film con Olmi di giorno e un altro di notte, e come non concedersi un aiutino? “Con dell’acqua il Villescon garantiva qualche ora in più di lavoro, con il caffè notti insonni, ma era berselo con del whisky che assicurava giorni di vera autonomia”, alla voce “le mirabili qualità dell’anfetamina”. Possono mancare le donne? Con Stefania Sandrelli è dolce stil novo o, meglio, mitomania: sragionando sul legame tra immagine e destino, Spinotti se ne uscì con un “potrai anche avere mariti, amanti e amici, ma quando sei dentro questo mirino, sei soltanto mia. You are mine, baby”. È bravo, il nome gira, e lo vogliono molti, e poi tutti. E tutte: Lina Wertmüller per Sotto… sotto… strapazzato da anomala passione (1984), dove alle giovani attrici non le manda a dire, “Stronza! Deficiente! Perché non guardi là? Ridi, cretina!”. Nel novero c’è la Lario: “‘Io non sono una stronza!’, ribatté una volta Veronica che, forse più decisa nel carattere, godeva già dell’ala protettiva del noto imprenditore che talvolta veniva a trovarla sul set”. Sì, Berlusconi. Un inseguimento a Cinecittà da parte di un Enrico Montesano inferocito “rischiò di far abortire la piccola che Veronica portava in grembo”: dovette mollare il film, “regalando al suo illustre compagno il definitivo abbandono delle scene” e partorendo Barbara. Spinotti incrocia anche Monica Guerritore, e durante Fotografando Patrizia che “mi vedeva sotto un tavolo, a misurare la luce tra gambe seminude e sfioramenti” viene eroticamente interpellato: “‘Dante, sicuro che lì sotto non ti scappa qualcosa?’ ‘Monica’, le risposi forse poco onestamente, ‘quando faccio questo lavoro tu chiamami pure George Eastman’”, fondatore della Kodak.
Se non l’eroe, è l’occhio dei due mondi. Natali a Tolmezzo, cursus honorum in California, passa da Steven Spielberg, che “mi dà appuntamento all’aeroporto di Van Nuys e per tre quarti d’ora mi parla del suo odio per il colore verde”, a Olmi, che vince il Leone d’Oro con La leggenda del santo bevitore, incarnato dall’olandese Rutger Hauer: “‘Rudighe! Ostia!’, Olmi era solito riprenderlo”. In carnet Insider, L’ultimo dei mohicani e L.A. Confidential, Spinotti, 80 anni il prossimo 22 agosto, con Heat, regia di Mann e interpretazioni di De Niro e Pacino, firma “il mio film migliore”. Per interposto regista, Brett Ratner, è passato anche dal #MeToo, e lascia che sia “la magnifica Cate Blanchett” a sgonfiarlo: giunta nell’ufficio di Ratner, “sorrise dicendo: ‘Devo prima occuparmi di te sessualmente o possiamo bypassare i preliminari e parlare di lavoro?’”.