il Giornale, 31 luglio 2023
Riscoprire John Fante
P er gli amanti del maudit in letteratura, l’8 maggio del 2023 ricorreva il quarantennale della scomparsa di John Fante. E giù articoli a catinelle per evidenziare il ribellismo del più noto scrittore della terza generazione di emigranti italoamericani negli Stati Uniti. Controcorrente, testardo (alcuni cedono alla paronomasia, usando ben altro epiteto!), maledetto: tutto qui? Siamo proprio certi che oggi sia importante ricordare il «Burro» di Denver solo e unicamente per i suoi eccessi comportamentali, dati per lo più da un’eccessiva attrazione per la bottiglia e per le donne? Nato a Denver nel 1909, e vissuto nell’epoca d’oro di Hollywood, John Fante ha rappresentato, in quegli States che tra mille contrasti affermavano il ruolo di prima potenza mondiale, la singolare commistione tra genio e sregolatezza in chiave italoamericana. «Lui, ad esempio, era un italiano puro, di una stirpe contadina che si perdeva nella notte dei tempi lui era muratore e ai suoi occhi non esisteva mestiere più sacro sulla faccia della terra»: nel 1938, il romanzo Aspetta primavera, Bandini, apriva una breccia inedita nel panorama culturale di quegli anni, la cui lezione è valida ancora oggi. L’identità non era rappresentata secondo i canoni di un distaccato grigiore accademico, bensì diventava carne e sangue, elemento insostituibile del vissuto di tutti i giorni. In quegli anni, la vicinanza allo sceneggiatore Daniel Mainwaring, la frequentazione della libreria Stanley Rose sull’ Hollywood Boulevard e le frequenti soste al Musso Frank’s Grill, ristorante frequentato da penne del calibro di Caldwell e Faulkner, non spezzavano la volontà di vivere un’esistenza nella quale il «demone della scrittura» potesse coesistere con la cura della moglie, le attenzioni per i figli e il culto per i miti della comunità italoamericana. Come dimenticare l’emozione di Arturo Bandini, l’alter ego più famoso dello scrittore, allorquando in Chiedi alla polvere dichiarava, senza timori verso i suoi comprimari di altra provenienza, di aver notato «con soddisfazione che Joe di Maggio teneva ancora alto l’onore degli italiani, perché era in testa alla classifica dei battitori». Correva l’anno 1939 e da settembre i tamburi di guerra già risuonavano in quell’Europa così cara a Fante per essere la terra dalla quale i suoi parenti, da parte di padre abruzzesi del piccolo paese di Torricella Peligna, erano partiti per sfidare la sorte oltreoceano. Una volta superata la tempesta del secondo conflitto mondiale, lungo il quale gli italoamericani subirono ostracismi di ogni genere per il fatto di essere derubricati a «nemici dell’America», Fante non rinunciava a conciliare la ricerca del successo ad ogni costo con la cura della famiglia. È esistito, di certo, il Fante che contraeva debiti di gioco; allo stesso tempo, però, il talento culturale sposava appieno la filosofia di vita del Self Made Men e quella di appassionato difensore della vita. Senza mettere al mondo nuovi figli, la trasmissione generazionale sarebbe stata estinta per sempre. Basterebbe leggere un piccolo estratto del fortunatissimo Full of Life per averne piena coscienza. Nel 1952, anno d’uscita dell’opera, così Fante rispondeva al figlio che lamentava l’impossibilità di controllare le nascite, lasciando trapelare approvazione per l’aborto: «Non i miei nipoti, capito? Lasciali in pace. Lasciali venire. Hanno diritto quanto te». La corrispondenza dall’Italia, tenuta dallo scrittore con la moglie Joyce Smart, riprova quel legame con la terra di provenienza che troppe volte è stato sacrificato ai dettami del politicamente corretto. Ecco cosa scriveva, nel 1957, un Fante in estasi per Napoli: «Il cibo qui è sempre molto, parecchio condito, servito generosamente da camerieri gentili. Dopo aver passato qui qualche giorno, capisco perché volevano che ci venissi. Dobbiamo far sì che questa storia sia contemporanea, per catturare la favolosa ricchezza di quest’ambiente». La lettura di queste missive, per un momento, allontanano del tutto dalla memoria le terribili descrizioni della Napoli post-bellica di malapartiana memoria: la «pelle», in questo caso, trasuda quella vitalità che solo la fame di riscatto sociale può dare. Tutto farebbe virare in direzione di un Fante che ha compiuto il suo percorso di vita umana ed intellettuale su due binari, quello lavoro da una parte, quello della famiglia e degli affetti personali dall’altra. Anche in questo caso, rischieremmo di cedere agli stereotipi e alle contrapposizioni insoddisfacenti. Il Leitmotiv che maggiormente ricorrono negli esegeti del maudit affamato di italianità è quello della sua totale indifferenza alla politica. Nulla di più falso. Come dimenticare quell’anticomunismo verace e intimamente meridionale, che ha accompagnato il creatore di Arturo Bandini per tutta la sua esistenza? «Sulla mia vita, non riesco a capire perché abbiano abbracciato il comunismo. Dov’è il fascino di quella filosofia? Per me è tutto uguale: non sono diversi dai nazisti nella loro fiducia verso il futuro, cupa, umorale e vendicativa». Dalla Malibu degli Anni Cinquanta del Novecento alla sua morte a Los Angeles, posizioni politiche antitetiche al predominio dello stato sull’individuo o a forme di collettivizzazione coatta del vivere civile hanno sempre trovato in Fante un alfiere deciso e pronto a fare valere le proprie argomentazioni. Oggi sarebbe auspicabile guardare oltre e ristudiare l’opera del bardo della comunità italoamericana in una prospettiva del tutto diversa da quella finora dominante. Uno stile di vita segnato dal culto dell’identità, dal senso di appartenenza e dall’imperativo di garantire una discendenza non ha nulla di ideologico o di dogmatico: questo è il messaggio di fondo lasciatoci da Fante, in buona parte ignorato dalla cultura ufficiale. Riprendiamo a (ri)leggere e a (ri)studiare un autore tanto amato quanto frainteso nelle sue linee di fondo. Per tutta la sua vita, il desiderio di certo più selvaggio di Fante è stato quello di diventare indimenticabile per tutto quello che ci ha lasciato. In vista dei prossimi anniversari che ricorderanno le sue opere, è giunto il momento di esaudire, con la giusta dose di smagata criticità, la sua preghiera, finora rimasta inascoltata.