il Fatto Quotidiano, 30 luglio 2023
Intervista ad Alberto Camerini
È la commedia dell’arte in musica rock. È allegria, disperazione, irrisione.
Movimento, follia, maschera.
È catalizzatore di emozioni negative da cucire sulla propria pelle, senza anestesia, per restituire un sorriso.
È colore. È Arlecchino.
È Alberto Camerini.
È Rock ’n’ Roll Robot o Tanz Bambolina.
È un uomo di settanta e passa anni che sa, sulla sua esistenza, cosa vuol dire essere un artista.
Un vasto numero di suoi colleghi la definisce “geniale”.
(Sorpreso) Davvero? Non lo sapevo, mi stupisce; quello che realizzo è per me stesso, per il mio piacere e non sono un megalomane o un mitomane come dovrei o come potrei sembrare.
Perché?
Di solito i cantanti hanno un ombelico gigantesco, un narcisismo sfrenato, un egotismo inarrestabile; (pausa) mi sono ritrovato famoso per via di una provocazione visiva, per uno spettacolo teatrale, grazie al mio costume di scena e alla pettinatura.
Da Arlecchino…
Provenivo da una scuola di mimo, frequentata insieme a Maurizio Nichetti e non ricordo neanche il motivo di questa scelta; (pausa) forse, in realtà, non mi sono mai chiesto il perché.
Possibile?
So solo che allora ero iscritto all’università, ma era occupata, era il momento della protesta dentro gli atenei e da Architettura ero passato a Filosofia; (sorride) anche se i miei mi volevano medico. Nel frattempo già suonavo la chitarra e da professionista, per questo non ricordo il motivo di aggiungere pure la scuola di mimo.
Da artista poliedrico.
In parte credo ci sia dentro la mia infanzia in Brasile: ci ho vissuto i primi undici anni di vita e lì il Carnevale è fondamentale, molto più che in Italia; il Brasile in quei giorni si paralizza…
Come mai il Brasile?
Famiglia ebraica, si sono trasferiti lì negli anni Trenta.
I suoi genitori?
Mio padre pittore, mamma figlia di uno scultore, non mi hanno voluto iscrivere al Conservatorio, per loro un luogo troppo reazionario e conservatore.
Addirittura.
I miei erano anticlericali e partigiani.
E lei?
(Pausa) Lo sono ancora oggi, anzi più che mai.
Da anticlericale e partigiano studiava al liceo Beccaria di Milano…
Ed ero pure un secchione: ho finito il Classico in appena quattro anni: ho preparato la Maturità in tre mesi, ho tentato e sono passato.
Quindi era già geniale…
(Ride) È un aggettivo utilizzato troppo spesso e comunque se rispondessi di “sì” passerei da pallone gonfiato.
Lo è mai stato, pallone gonfiato?
(Ci pensa molto a lungo)
Insomma, un po’ sì, mentre in vecchiaia sono diventato un fanfarone e pure borioso.
Quando pallone gonfiato?
All’apice del successo, nei primissimi anni 80: lì ho capito che la gloria dipende da tanti fattori, ma nel frattempo sono salito sulla giostra della fama, della presunta gloria e per un periodo mi hanno riconosciuto come tale.
Conseguenze…
Che dentro la CBS (al tempo la sua etichetta discografica) ritenevo doveroso fare tutto quello che mi pareva; (sorride) all’inizio loro comandavano e io eseguivo con forme di servilismo esasperante.
E poi?
Ho perso di vista la realtà e non ho capito che esistevano pure gli altri; (ci ripensa) se fossi geniale non lo direi, ma gli unici fenomeni che ho ascoltato nella mia vita sono Prince e Michael Jackson, oppure Charlie Parker; (altro ripensamento) però come aggettivo mi diverte.
Bene…
A patto che oltre a me venga inserito il mio amico Eugenio Finardi: lui al genio ha abbinato la sregolatezza, senza cadere nello stereotipo; (pausa) Eugenio fa parte della mia vita, dei miei affetti veri.
Insieme dagli anni 70.
Quando ero appena un musicista molto tecnico, all’inizio concentrato solo sulla chitarra, strumento considerato povero perché portabile; (pausa) gli anni 70 sono stati terribili per delle condizioni economiche assurde e una violenza crescente.
Era nell’area di “Re Nudo”.
Poi sono entrato in Avanguardia operaia, pensate che follia.
Ha conosciuto qualche “compagno che sbagliava”?
Tutti sbagliavano.
Ha mai rischiato di “sbagliare”?
Neanche per idea, non mi ero reso conto fino in fondo di dove ero finito; a quel tempo il mio unico problema era capire come piacere al pubblico e diventare famoso.
Famoso, perché?
Per affermare la mia personalità, ne avevo bisogno; (silenzio) con gli anni ho compreso che è un istinto da controllare.
È pericoloso.
C’è anche il contrappeso: il rovescio della medaglia è terribile.
Quale?
L’aspetto più evidente è che tutta la tua vita viene controllata, setacciata, devi rispondere di ogni angolo della tua esistenza ben oltre l’aspetto artistico; (sorride) magari a qualche collega piace, a me no.
Cantava Battiato: “E non è colpa mia se esistono spettacoli con fumi e raggi laser, se le pedane sono piene di scemi che si muovono…”.
Negli anni 70 l’ho visto suonare dal vivo, mai conosciuto di persona; poi un decennio dopo vado in Sicilia, vicino a Catania, in vacanza con mia figlia e un giorno trovo in spiaggia due tizi su una pedana, seduti in meditazione in riva al mare. Erano Battiato e Juri Camisasca. Ho aspettato. Affascinato, l’ho salutato.
E…
Personaggio incredibilmente colto, straordinario, mi è sempre piaciuto e mi è soprattutto piaciuto quando a un concerto ha riproposto i suoi pezzi progressive invece di suonare i soliti successi; (sorride) ho ripensato agli anni 70.
Quando partiva con il suo amico Finardi.
Nel 1975 siamo anche saliti in moto per assistere al raduno sull’isola di Wight: io con una Gilera 125, lui con una Guzzi 50; (pausa) purtroppo non sono riuscito ad ascoltare il concerto di Hendrix, il penultimo della sua vita.
Come mai?
Dormivamo, eravamo stravolti, io ho anche saltato quello degli Who; al risveglio abbiamo trovato la tenda distrutta e le moto a terra con le forcelle storte. Siamo tornati in treno, un viaggio durante il quale abbiamo discusso sempre di politica e del Vietnam; (pausa) ecco, Hendrix è stato un genio, ha stravolto lo strumento.
Di Hendrix sono celebri i due concerti a Roma, quando usciva con la sua amica Patty Pravo.
Era splendida, ci conosciamo sin da ragazzini, poi ci siamo rivisti a Roma ma stava, e sottolineo “purtroppo”, con Riccardo Fogli; (pausa) con lei mi sono limitato al ruolo di chitarrista: suonavo nel suo gruppo.
Da chitarrista come si ritiene?
Medio, da scuola media superiore.
E uno come lei, come si è trovato dentro al contesto sanremese?
In quel caso la casa discografica mi ha piazzato con le cosiddette spalle al muro: ‘Camerini, ti abbiamo dato tutto, adesso concludiamo con Sanremo’. E allora ho detto sì, ma avevo 33 anni.
Quindi?
Un calvario. E da quel momento in poi la CBS non mi ha più promosso, se non con attività generiche.
Cosa ha combinato?
Ho seguito le mie convinzioni, ho pure portato i musicisti che pretendevo, non quelli indicati da loro. Oggi ho capito che avevano delle ragioni. Mentre io mi divertivo a spiazzare il pubblico, quasi a spaventarlo, mentre in questo mestiere è necessaria la precisione e non l’ego.
A un certo punto la maschera di Arlecchino l’ha cannibalizzata.
Purtroppo è esattamente andata così; io volevo solo risultare un personaggio con l’obiettivo di salvare la persona, non ci sono riuscito e alla fine anche la musica è passata in secondo piano.
Una delusione.
Enorme.
Finardi ha parlato del suo rapporto con le droghe…
Il mio è stato molto morbido, non ho seguito il suo percorso.
Finardi ha parlato di eroina.
(Sorpreso) Lo ha rivelato? Eugenio è andato giù duro, pesante; (resta zitto) io mi sono fermato agli spinelli, pure per una questione fisica: non sono debordante, pesavo poco, al tempo appena 45 chili.
Le è andata bene…
Tanto, tantissimo; se me l’avessero offerta avrei assaggiato l’ecstasy, non è successo, però ho provato il Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Quando?
Nei primi anni Novanta, nel periodo del mio divorzio, un po’ com’è successo ad Alda Merini; lì la mia famiglia si è polverizzata.
Oggi come vive?
Come tutti, come un poliziotto, come un impiegato statale; non ho una rendita, ho il minimo per campare.
Concerti?
Sì, ma tutti aspettano Rock ’n’ Roll Robot e Tanz Bambolina, giusto qualche fan over sessanta arriva a chiedermi Alberto o Gelato metropolitano; (pausa) forse mi lamento un po’ troppo per i miei guai fisici e il Tso.
E “domani”?
Sto provando a scrivere un libro; mio figlio lavora nell’editoria e mia figlia Valentina ha pubblicato cinque romanzi e altre storie per bambini; (sorride) i miei figli scrivono molto meglio di me, con una facilità che non conosco.
La musica?
Un po’ meno, è uno sforzo fisico troppo impegnativo e ho passato i settant’anni.
Aveva previsto di arrivare al 2023?
No, e mi fa un po’ paura, per questo sono cambiato e ho smesso il ruolo di buffone.
Lei chi è?
Un essere umano: artista, musica, parole e immagini.