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 2023  luglio 30 Domenica calendario

Il mondo di Barbie

«Avete mai pensato di morire?» esclama Barbie nel bel mezzo di uno dei suoi spassosissimi party organizzati a BarbieLand per coronare serenamente un altro giorno perfetto. E cala il silenzio. «Oddio, non so perché l’ho detto. Avete mai pensato di morire... dalla voglia di ballare?». La celeberrima bambola Mattel, dal 1959 amata e idolatrata da generazioni di bambine, semina sgomento tra i presenti, poi aggiusta il tiro della domanda così terribilmente inopportuna e la festa può ricominciare, con la musica alta, le luci stroboscopiche, le coreografie strabilianti, l’euforia e tutto il resto. Ma nel cielo di cartapesta del suo impeccabile mondo rosa shocking si è aperta una crepa tutt’altro che trascurabile e niente tornerà più come prima.
Questo l’incidente che rompe l’equilibrio nella trama del tanto atteso e acclamato film campione d’incassi diretto da Greta Gerwig, scritto insieme al marito Noah Baumbach.
La percezione della morte, insomma, come iniziazione ad un percorso di crescita e di scoperta di sé. C’è un cast di eccellenti interpreti, a cominciare dai protagonisti Margot Robbie e Ryan Gosling (nel ruolo di Ken), i quali riescono nell’impresa di dare spessore e vivacità ad una narrazione apparentemente elementare ma articolata quanto basta.
Quanto basta a far divertire e poi anche riflettere. Con Barbie le ragazzine, future donne, venivano incoraggiate ad essere ancora più ambiziose ed emancipate, sognando di poter diventare chiunque volevano (e non solo belle), da medico a Presidente degli Stati Uniti, da sirena ad astronauta, chiunque volevano... forse tranne loro stesse. Complice di paradossi, stereotipi e forzature, Barbie è stata spesso associata alla coercitiva proposta di una perfezione estetica illusoria e conformista. Considerata uno dei simboli del consumismo vacuo, la bambola fashion, fornita di mille possibili combinazioni di abiti e rigorosamente in posa sui tacchi alti ha, secondo le acerrime critiche ricevute nel corso dei suoi decenni di gloria, contribuito a perpetuare un modello di sensualità non solo potenzialmente stereotipato ma anche subdolamente funzionale alla dominazione maschile.
E ora come ne esce la piccola bionda, snodata, mutevole e intraprendente dal film a lei dedicato? Benissimo: sufficientemente riscattata dalle stratificazioni ideologiche che ne avevano minato la genuina natura ludica e trasformata, alla fine di un lungo percorso di maturazione, in una ragazza in carne ed ossa, come il Pinocchio di Collodi, ma sulle vie di Los Angeles e in attesa di ricevere una visita ginecologica che ne concluda anche simbolicamente la parabola.
Nel film su Barbie (e su Ken) innanzitutto si ride. E menomale. Spolverato dalla retorica aggressiva del femminismo più agguerrito e meno disponibile al dialogo, il racconto di Gerwig e Baumbach è innanzitutto un’intelligente lettura delle dinamiche socioeconomiche che condizionano le relazioni uomo-donna, pur conservando un’intrinseca leggerezza.
Per certo dà un esilarante contributo all’acceso dibattito sulle questioni di genere. Non un capolavoro, bensì un esperimento cinematografico nel complesso riuscito grazie a una miscela audace di concetti chiari e ben espressi, leggibili a più livelli da un pubblico trasversale portato a ripensare, senza troppe pretese, ai delicati rapporti di potere che intercorrono tra uomini e donne.
Parole come «capitalismo sessualizzato», «oggettificazione del corpo femminile», «plutocrazia», «fascismo» sono inserite dentro alla sceneggiatura con sorprendente sincerità: Barbie è un film che si prende gioco del sistema da dentro la stessa cornice e attraverso gli stessi schemi che cerca di decostruire, un’operazione coraggiosa (e in parte anche commerciale) che non poteva che essere imperfetta.
Aldilà della “Barbie-mania” dilagata sui social ancora prima dell’uscita nelle sale, l’indiscutibile successo è indicativo di una storia che suscita eccezionale curiosità, mentre ripropone a suo modo ben note controversie: qual è il ruolo della donna nella società contemporanea e quali sono le invadenti pressioni che riceve? Quale posizione deve assumere l’uomo rispetto alla sua autodeterminazione? Siamo proprio sicure che sostituire il patriarcato con il matriarcato sia la soluzione? Dobbiamo davvero somigliare agli uomini anche in termini di esclusività e arroganza per continuare a prenderci quello che ci spetta? Non staremo forse esagerando nel relegarli ai margini del nostro universo?
«Tutti odiano le donne, sia gli uomini che le donne: è l’unica cosa su cui siamo d’accordo», dice a un certo punto uno dei personaggi. E se fossero le donne le peggiori nemiche delle donne? Sicuramente spesso sono le migliori amiche della fallocrazia: «È più bello e più facile essere stupide», sostiene una delle bambole succubi di KenLand, la terra che i Ken hanno creato quando hanno scoperto che possono esistere e avere i loro giorni speciali anche senza che Barbie li guardi, in un gioco di rivalse ridicole sì, ma non così lontane dalle rivalità uomo-donna che viviamo in numerosi ambiti della nostra vita ogni giorno.
C’erano tanti modi per raccontare luci e ombre del femminismo nelle sue molteplici sfumature. La Gerwig ne ha scelto uno difficile scommettendo su un essere inanimato, impastato di glitter e fantasia, che un bel giorno si sveglia e mentre attraversa la paura, l’insicurezza, lo smarrimento, la depressione, la tenerezza e l’impegnativo confronto con l’altro sesso, scopre di avere un desiderio molto forte: quello di non essere mai più, per nessun motivo, rinchiusa dentro una scatola.